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Province: abbiamo le nostre proposte di riforma e riduzione. No a demagogia

Il PD si astiene sull’abolizione delle province che non prevedeva una soluzione a norma approvata. I commenti di Bersani, Franceschini,
La Camera ha respinto la legge proposta dall’IDV per abolire le province. Il PD si è astenuto. E’ stato respinto innanzitutto il mantenimento del primo articolo del testo, quello che cancellava le parole «le province» dal Titolo V della Costituzione (225 i voti contrari, 83 quelli a favore, 240 gli astenuti). Poi, è stata bocciata l’intera proposta di legge.

Il segretario del PD, Pier Luigi Bersani, ai giornalisti che gli chiedono di commentare il voto precisa: “Sul tema delle province noi abbiamo una nostra proposta e non ci vengano a fare tirate demagogiche. Il nostro testo prevede certi meccanismi per ridurre e accorpare le province perché bisogna anche dire come si fa. Le province gestiscono diverse cose, per esempio i permessi urbanistici, se tornano alle Regioni poi ci sarà una caterva di lamentele per le lungaggini”.

Perché il PD si è astenuto.
L’astensione è stata dovuta al fatto che il testo all’esame della Camera “propone semplicemente la soppressione della parola province e non dice nulla sul dopo”, come ha spiegato il capogruppo Pd alla Camera, Dario Franceschini. “Siamo anche disposti, nell’ambito di un confronto parlamentare, a discutere della vera e propria soppressione delle province ma nell’ambito di un disegno che ridistribuisca le competenze” e spieghi i risparmi ed i costi, ha aggiunto ed ha sottolineato: “resta il tema del trasferimento delle competenze che è doveroso indicare”, dicendo “a chi vanno con quali costi”. Quindi ha proseguito: “Teniamo aperta la possibilitá di una riforma. Un voto contrario suonerebbe preclusivo della volontá di fare riforme, ed è l’atteggiamento di questa maggioranza”, ha aggiunto ed ha annunciato “ritiriamo l’emendamento soppressivo” del primo articolo della proposta e “ci asterremo su quello dell’Idv”.

Da Davide Zoggia, responsabile Enti Locali del PD arriva lo stop alla faciloneria dei titoloni di giornale: ““Noi siamo contrari a misure demagogiche e raffazzonate che rischiano di produrre più danni che benefici. Siamo convinti che l’architettura istituzionale del paese debba essere rivista e in tale riassetto crediamo che si debba riconsiderare ruolo, funzioni e numero delle province. Parlare di una generale quanto generica abolizione, come fa l’on. Di Pietro, va bene per conquistarsi un titolo di giornale ma non per affrontare una questione complessa che riguarda funzioni, poteri, competenze in coordinamento con le regioni e i comuni. Di Pietro, piuttosto, cerchi di dare il suo contributo e la sua collaborazione per una riforma organica che parta dai rami alti e discenda sui territori, come il Pd si sta impegnando a fare”.

Marco Laudonio

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“Il Pd si astiene e le province restano. Bersani contro i referendari, Bindi no”, di Mario Lavia

Non basta togliere «la parolina » “province” dalla carta costituzionale, serve un riordino complessivo: Dario Franceschini ieri ha dato “la linea” alla assemblea del gruppo dei deputati Pd (più di 3 ore). E però nella riunione prima Veltroni, poi la Bindi e altri hanno fatto presente che votando contro l’abolizione delle province si sarebbe dato «un segnale sbagliato ». Alla fine la classica mediazione: sulla proposta di Idv- (appoggiata da Udc e Fli) di cancellare le province il Pd si è astenuto.
C’è chi ha fatto due calcoli: se il Pd avesse votato a favore della proposta di Di Pietro la maggioranza sarebbe stata battuta, stante i dissensi nel Pdl. E sempre sulle riforme istituzionali restano le polemiche interne sui referendum sulla legge elettorale che Bersani non riesce a placare. Insomma, sul grande capitolo degli interventi di riforma delle istituzioni nel Pd continuano ad emergere due linee diverse. Province e legge elettorale sono evidentemente questioni ben distinte ma in entrambi i casi emerge tutta la difficoltà di questo partito non solo di parlare con una voce sola ma persino di tenere una linea chiara e maggioritaria.
C’è da dire che su tutte e due le questioni ci si mettono anche forze esterne ad alimentare una certa confusione. Per esempio, ha avuto buon gioco sostenere, come ha fatto Franceschini, che la cancellazione sic et simpliciter delle province – di tutte le province – al di fuori di un intervento organico che, per dirne una, connetta la loro abolizione alla creazione delle città metropolitane, non va bene. Mentre la proposta di Idv invece è parsa più una bandiera, un’idea-manifesto, che non un serio tentativo riformatore per il quale – come ha detto il capogruppo in aula – «siamo disponibili da domani mattina». Così come ha un senso porre la delicatissima questione dei costi con una domanda semplice: «Quanto costerebbe ricollocare tutti i dipendenti delle province una volta cancellate?».
Di Pietro su questo non risponde.
Ma nella riunione dei deputati dem non solo Veltroni, ma anche Rosy Bindi, Gianni Cuperlo e diversi altri hanno fatto un ragionamento diverso: «Soprattutto in questo momento – ha detto Veltroni – non possiamo dare l’impressione di essere conservatori».
L’astensione finale (dopo un ragionamento di Michele Ventura) ha preservato l’unità del gruppo ma di certo non ha convinto Di Pietro, lesto nel criticare i dem («Tradimento!»), e Casini. «Avremmo battuto la maggioranza – dice un big a cui non è piaciuto il film di ieri – soprattutto la Lega, che difende le province alla morte, sarebbe entrata in fibrillazione».
Ma questo è niente di fronte alla spaccatura che si profila sul referendum sulla legge elettorale. Le parole di Bersani («Mi stupirei se dirigenti del Pd promuovessero dei referendum elettorali») hanno gettato benzina sul fuoco, forse anche contro la sua volontà. Peraltro si tratta di una frase antitetica – come diremo – a quella della Bindi. È apparsa come una sconfessione preventiva di Castagnetti, Parisi, Veltroni, Gentiloni, Ceccanti e gli altri che intendono promuovere un referendum per resuscitare il Mattarellum soprattutto per contrastare l’altro referendum già in campo, quello promosso da Passigli (sostenuto dalla Cgil e in ambienti vicini a D’Alema), il cui effetto sarebbe il ritorno al proporzionale.
Stamattina alle 8 gli esponenti prima citati si riuniscono per una valutazione della situazione. Potrebbe essere dato il via libera definitivo alla scelta di raccogliere le firme.
Le novità politiche sono due. L’esplicito appoggio di Rosy Bindi, che Europa aveva annunciato giorni fa, che ieri sera al Tg3 ha spiegato che «nella prevedibile difficoltà di modificare la legge elettorale in parlamento, si guarda con attenzione alle iniziative referendarie ». Ma non certo a quella di Passigli che «di fatto reintroduce un sistema proporzionale che finirebbe per espropriare i cittadini della scelta della coalizione di governo restituendo mani libere ai partiti». Meglio il Mattarellum: «Ovviamente non farò parte di alcun comitato referendario, su questo punto la penso come Bersani: va salvaguardata l’autonomia della società civile e quella dei partiti. Ma mi esprimerò chiaramente a favore di quelle iniziative tese a rafforzare la sovranità dei cittadini ed evitare la beffa di un inaccettabile ritorno al passato». Così la Bindi.
In realtà, nel merito, Bersani non la pensa in modo molto diverso. Non ha intenzione, il segretario, di dare un calcio al bipolarismo e di mettere il suo partito nel bussolotto delle trattative fra i partiti dopo il voto, come sa che anche la sua premiership verrebbe messa in forse. Anche per questo i sostenitori del Mattarellum, che incontrando il segretario la settimana scorsa avevano ricavato l’impressione che egli volesse adoperarsi per “depotenziare” il referendum-Passigli, vogliono vederci chiaro. Senza abbandonare l’idea che Bersani lavori per una sorta di “disarmo bilanciato” allo scopo di favorire una soluzione parlamentare del dossier elettorale. Dunque nel Pd resta il solo D’Alema veramente favorevole al referendum- Passigli, mentre è ancora poco chiaro perché la Camusso voglia mettere a disposizione dei proporzionalisti la forza organizzativa della Cgil.
L’altra novità potrebbe venire da Antonio Di Pietro, l’unico leader delle opposizioni (a parte ovviamente i radicali) contrario al ritorno al sistema proporzionale, agognato invece da Casini, Vendola e Ferrero, mentre Gianfranco Fini non si è ancora pronunciato.
Tonino potrebbe formire ai “mattarellisti” un importante sostegno organizzativo, assolutamente prezioso per raccogliere 500mila firme entro il 30 settembre.

da Europa Quotidiano 06.07.11

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