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Manovra sbagliata: non aiuta l`Italia non serve all`Europa", di Stefano Fassina

Oltre ad essere pesante adesso scopriamo che non onora nemmeno gli impegni presi con la Ue: gli effetti nel 2014 saranno pari a 25,4 miliardi, non 40 come indicato nel Def. E’ la manovra delle tre “i”: inadeguata, iniqua, irresponsabile. Pdl e Lega, sin dall`inizio della legislatura, hanno attuato la po- litica economica delle tre “i”. Ieri, è arrivato l`ultimo atto. E una manovra inadeguata, perché non affronta il problema di fondo dell`economia italiana: la stagnazione della produttività, la perdita di competitività e, quindi, la crescita anemica. È l`ennesimo atto di una storia senza futuro.
Non si cimenta nella “battaglia del denominatore”, come scrive Mario Monti, nella sfida per alzare il Pil, fattore fondamentale per la sostenibilità del debito pubblico. Sono ancora una volta assenti le riforme strutturali, la politica industriale, gli investimenti. È un`assenza dovuta al groviglio di rendite alla base, da sempre, del consenso alla destra italiana. È un`assenza dovuta anche all`ideologia mercatista del ministro Tremonti, convinto nell`animo che lo Stato è criminogeno, nonostante le battute alla moda degli ultimi anni.
È una manovra iniqua, perché taglia da subito il potere d`acquisto delle pensioni di 1.100 euro al mese; perché applica da subito un`imposta patrimoniale sul piccolo risparmio investito in titoli; perché innalza da subito i tickets nella sanità; perché costringe anche le Regioni con i conti in ordine a tagliare le prestazioni sanitarie; perché, soprattutto, costringe subito Regioni, Province e Comuni a tagliare l`assistenza alle famiglie ed ai lavoratori, gli asili nido, la scuola, il trasporto pubblico, il sostegno alle imprese.
Ma, rinvia alla prossima legislatura l`innalzamento a livello medio europeo dell`imposta sulle rendite finanziarie e le misure sul costo della politica. Sono colpite le classi medie ed i più deboli. Sono interventi di segno classista, come la lunga serie di tagli e di aumenti di tasse degli ultimi tre anni. E, infine, una manovra irresponsabile: perché il Governo prima assume impegni irrealistici con l`Unione Europea e poi non li onora.
Gli effetti finanziari del Decreto sono pari, nel 2014, a 25,4 miliardi di euro. Siamo lontani, dai 40 miliardi di euro all`anno previsti nel Def. Così, nel 2014, il deficit non sarà prossimo a zero, come promesso, ma, nel migliore dei casi, arriverà all`1,2% del Pil. La retromarcia può costare molto cara e vanificare i sacrifici richiesti. E non porta a nulla il tentativo di scaricare sulla “delega sull`assistenza” i 15 miliardi all`anno mancanti. Non è un disegno di legge delega. È il manifesto politico-ideologico per scimmiottare la Big society di Cameron.
Per essere coerente con gli impegni assunti e credibile, il governo abbia il coraggio di scrivere che dimezza le indennità di accompagnamento e le pensioni di invalidità civile o cancella 1` “integrazione al minimo”, il sostegno fiscale alle pensioni da lavoro di importo modestissimo. Il Presidente Napolitano «auspica che in Parlamento si svolga un confronto realmente aperto». Auspicio sacrosanto.
Ma difficile. Il Decreto va convertito in tre settimane al Senato per essere approvato, senza alcuna modifica, alla Camera ai primi di Agosto. Nei tempi previsti, al massimo, si può fare qualche battuta in Commissione al Senato. Poi, l`ennesimo voto di fiducia. Così, dopo l`impossibilità di discutere a fine Aprile gli impegni con Bruxelles, il Parlamento è messo al margine anche della discussione sulle misure per raggiungerli, nonostante investano la prossima legislatura.
E’ un enorme problema democratico. Ma, è anche un serio problema di credibilità della politica di bilancio.
Soltanto l`avvio di una stagione di riforme profonde e partecipate può disincagliare l`Italia dalla stagnazione economica e dall`insostenibile debito pubblico.?

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La rivolta dei Comuni: «Così chiudiamo», di Alessandro Cecioni

«Insostenibile». Anche le Regioni contro la manovra. Errani: «E’ la tomba del federalismo». Marcegaglia: «Più tagli». Da una parte chi è pronto a ricorrere alla Corte costituzionale e contro i tagli si appella al Parlamento, dall’altra chi li invoca perché «altrimenti rischiamo di diventare come la Grecia». Pronti a ricorrere alla Corte Costituzionale contro una manovra «iniqua e inaccettabile» e non più disposti a partecipare a discussioni sul federalismo che la manovra, di fatto «ha seppellito», sono i sindaci italiani, i presidenti delle Regioni e delle Province. A chiedere che la spesa pubblica subisca nuove sforbiciate è invece Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria. Per l’opposizione è una manovra sbagliata. «Sembra scritta dal dottor Stranamore», dice Bersani citando Kubrick. «Per le famiglie ci saranno minori servizi e più costi», aggiunge Casini. Oggi gli Enti locali proveranno a spiegare un’ultima volta al ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto, perché la manovra è sbagliata, poi resteranno in silenzio fino a che il ministro Tremonti e il presidente del consiglio non si decideranno a sedersi con loro intorno a un tavolo. Una rabbia trasversale quella degli amministratori: «La manovra non è sostenibile, l’Anci (associazione dei comuni d’Italia) ha tutto il mio appoggio», dice Gianni Alemanno, sindaco di Roma. Lo sconforto delle Regioni lo esprime bene Vasco Errani, presidente della conferenza dei governatori: «La manovra varata non assicura il governo del territorio e vanifica il percorso del federalismo fiscale, percorso che non ha ora nessuna credibilità». A rischio, spiega l’Anci, ci sono i servizi essenziali, con «l’impossibilità di svolgere un ruolo a sostegno dello sviluppo locale e di accompagnamento dei processi sociali». E ancora: «Verrà azzerata la spesa per lo sviluppo e gli investimenti e la spesa per il sociale incidendo in un settore delicatissimo». Quello che i Comuni non digeriscono è che i tagli agli Enti locali sono immediati e certi, mentre per quelli ai ministeri seguono criteri «incerti e aleatori». Con un elemento in più: la manovra viene presentata come una riduzione strutturale della spesa, vale a dire come tagli che valgono per sempre, ma i Comuni, carte alla mano dicono che è esattamente il contrario: «Si tratta di tagli che non comporteranno una riduzione strutturale e permanente della spesa pubblica complessiva in quanto riguardano settori che naturalmente e fisiologicamente richiederanno nuove risorse». Quanto alle spese dei ministeri «manca in questa manovra un intervento strutturale e certo sugli 84 miliardi di spesa discrezionale ancora a disposizione dell’amministrazione centrale». C’è invece «una proliferazione di enti, agenzie e autorità indipendenti con costi finanziari significativi del tutto in contraddizione con i processi di riduzione della spesa che colpiscono gli Enti locali». Tagli che «in contrasto con i principi costituzionali di autonomia finanziaria e di gestione riducono le entrate assegnate di ben 3 miliardi di euro, pertanto nel 2014 le risorse da più di 11 miliardi di euro passano a 7 miliardi» per la somma dei tagli precedenti. Alla richiesta di Confindustria di tagli alla spesa «per non diventare la Grecia anche se noi non siamo la Grecia» risponde Susanna Camusso, Cgil: «Bisognerebbe tagliare ciò che è spesa improduttiva, che c’è».

La Gazzetta di Modena 07.07.11