attualità, politica italiana

"Le cattive compagnie di SuperGiulio", di Gianni Del Vecchio

La richiesta di arresto per l’ex consigliere imbarazza l’uomo forte del governo, Tremonti. «Era un commento sottovoce, come ce ne possono essere tanti, pare comunque che l’incidente sia chiuso, Tremonti ha chiesto scusa in consiglio dei ministri. Brunetta era dispiaciuto ma ha avuto la solidarietà di tutti. Andremo tutti al suo matrimonio». Il ministro allo sviluppo economico, Paolo Romani, ha ovviamente cercato di sdrammatizzare la brutta gaffe del collega all’Economia, pizzicato dalle telecamere a insultare Brunetta durante la conferenza stampa in cui i ministri economici hanno illustrato la manovra.
Giulio Tremonti s’è lasciato andare a un eloquente «Questo è il tipico intervento suicida, è proprio un cretino », mentre Brunetta difendeva i tagli alla spesa del pubblico impiego, il blocco del turnover e quello degli incrementi salariali.
Tutte misure che il titolare di via Venti settembre avrebbe preferito fossero rimaste in secondo piano mentre il politico veneziano le stava spiattellando a tutti i giornalisti.
Quella che in un altro momento sarebbe stata interpretata come una semplice caduta di stile, nel governo litigioso e balcanizzato di oggi finisce per essere un preciso segnale “politico”.
L’ulteriore, e forse più evidente, sintomo di come il vero uomo forte dell’esecutivo non sia più Berlusconi né Bossi, piuttosto Tremonti. La manovra economica varata per decreto è la dimostrazione di come ormai il tributarista di Sondrio sia in grado di far digerire alla maggioranza di centrodestra provvedimenti totalmente agli antipodi con la ragione sociale del Pdl e della stessa Lega. A partire, ad esempio, dall’introduzione di una patrimoniale mascherata: il superbollo sui titoli di stato, che colpirà dieci milioni di contribuenti e porterà nelle casse statali ben otto miliardi, non è altro che un modo furbo e indiretto per colpire la ricchezza delle famiglie. Contemporaneamente, la manovra presenta altre misure impopolari per la constituency berlusconiana: la stretta sulle pensioni medio-alte e il ritorno del ticket sanitario, per citarne solo due.
E Berlusconi davanti a tanto s’è mostrato più che mai impotente negli ultimi giorni. Così come ha dovuto chinare la testa anche ieri, quando s’è trovato a difendere la norma salva-Fininvest.
Il premier ha sostenuto che in consiglio dei ministri s’era discusso del cavillo a lui tanto caro e quindi tutti sapevano, compreso Tremonti «che non ha ritenuto di portarlo al voto, essendo sicuro che tutti i componenti della coalizione fossero d’accordo». Scaricando così parte della responsabilità al ministro dell’economia, nonostante lo stesso Tremonti mercoledì avesse a sua volta passato la patata bollente a palazzo Chigi, e in particolare a Gianni Letta. Le parole del premier tuttavia sono state prontamente smentite da Bossi, che ha scelto senza pensarci due volte da che parte stare: «Non lo sapeva nessuno». Né Tremonti, quindi, né Calderoli, altro ministro tirato in ballo da Berlusconi.
Il momentum favorevole di Tremonti tuttavia viene completamente ribaltato da una indagine giudiziaria che, se non riguarda lui direttamente, ha colpito uno dei suoi più stretti collaboratori, Marco Milanese, suo consigliere politico fino allo scorso 28 giugno. La procura di Napoli ha chiesto alla camera l’arresto di Milanese sulla base di accuse pesanti: corruzione, rivelazione di segreto e associazione per delinquere.
E nelle carte spunta un fatto “misterioso”: Tremonti abiterebbe, nel cuore di Roma, in un appartamento il cui canone di fitto è a carico dello stesso Milanese. Il deputato di origini irpine verserebbe 8.500 euro al mese per una residenza in cui non vive. Circostanza che, per i magistrati, dimostra quanto siano stretti e poco chiari i rapporti fra i due, nonostante le dimissioni di Milanese.

da Europa Quotidiano 08.0.11

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«Gioielli e Ferrari in cambio di favori», di GIOVANNI BIANCONI

«E quindi, se lei dovesse fare un conto delle somme che ha dato?» , domanda il magistrato. «In tutto una milionata, non sono preciso… sulle novecentocinquanta, un milione e cinquanta. Con esclusione della barca e dei regali che tra l’altro, soprattutto nella prima ondata, sono stati numerosi e molto costosi. Tipo un paio di gioielli, un paio di orecchini da sette carati di brillanti, che io sono stato costretto a regalargli, perché erano stati prenotati da lui in un negozio di Capri» . Uno «scapocchione fortunato» Il 19 dicembre scorso l’imprenditore Paolo Viscione, arrestato per truffa e altri reati, decide di denunciare pagamenti e regalie al deputato del Pdl ed ex ufficiale della Finanza Marco Milanese, strettissimo collaboratore del ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Gioielli, orologi, macchine e soldi per essere protetto dalle indagini delle Procure e delle Fiamme gialle, spiega. E il giudice, che vuole arrestare Milanese anche per il reato di associazione a delinquere commesso proprio insieme a Viscione, ritiene il suo racconto «intrinsecamente credibile, non essendovi motivi per dubitare della scelta collaborativa» . Vengono dallo stesso paese, Viscione e Milanese, Cervinara in provincia di Avellino: «Siamo compaesani, ma lui è un ragazzo di cinquant’anni, io ne ho circa settanta, quindi le lascio immaginare in che considerazione veniva preso questo ragazzo, che in effetti sapeva di essere uno “scapocchione”per il padre che io conoscevo, e che a tutti i costi l’ha voluto inserire. Ha avuto un bel successo, perché la fortuna l’ha accompagnato…» . Un «ragazzo» che dalla posizione raggiunta, fianco a fianco con il ministro dell’Economia, intorno al 2004 si è ripresentato a Viscione: «Ha cominciato a portarmi notizie e a intimorirmi sulle posizioni mie che sembravano preoccupanti rispetto a indagini da parte della magistratura… Mi venne a dire che ci stava un problema su Napoli… Chiaramente la cosa mi ha impressionato molto, perché già si parlava di associazione a delinquere finalizzata a reati finanziari» . Insieme al problema, Milanese offriva la soluzione. Non gratuitamente, però: «Dice “qua ci penso io, ci penso io, ci penso io”… Insomma, c’è stata una richiesta di danaro a cui ho dato soddisfazione… Poi abbiamo cominciato a parlare del leasing di un’automobile, una Aston Martin che gli abbiamo preso usata; si è arrabbiato perché era usata e abbiamo cambiato la macchina» . Negli Usa con la Ferilli e De Sica Intorno al 2009 c’è quella che Viscione chiama «la seconda ondata» , quando Milanese gli si ripresenta in un ristorante della capitale: «Mi incontra… “guarda che hai due indagini in corso, una del dottor Piscitelli di Napoli, l’altra ce l’ha la dottoressa non so chi di Roma”» . Le promesse sono sempre le stesse: «Non ti preoccupare, ci penso io… E siamo arrivati al febbraio che lui mi dice “sei intercettato, non si può parlare più”» . Anche stavolta, in cambio dell’avviso il deputato pretende un corrispettivo. «Fa delle richieste esosissime, io le adempio gradualmente» , confessa Viscione che poi fa qualche conto: «Come soldi gli ho dato quattro e cinquanta (450.000 euro, ndr), che avrei dovuto dargliene seicento… Tutti in cash, prelevati dalle banche» . A prenderli e portarli andava un uomo di fiducia dell’imprenditore, «cento, cento, cento alla volta» . In un’occasione Milanese gli avrebbe portato le trascrizioni delle conversazioni registrate, «mi ha fatto leggere proprio i testi delle intercettazioni» , ma già prima — a sentire l’imprenditore — il deputato aveva aumentato le sue pretese. Per esempio un viaggio negli Stati Uniti per le vacanze natalizie del 2009: «Questo è volgarissimo, perché si è fatto disdire dieci volte il viaggio, perché doveva partire con la Ferilli, con De Sica… dovevano stare tutti allo stesso piano e si doveva trovare lo stesso albergo…» . Il particolare è riscontrato, secondo il giudice, dalle dichiarazioni di Flavio Cattaneo, fidanzato dell’attrice Sabrina Ferilli, e della fidanzata di Milanese, Manuela Bravi, portavoce del ministro Tremonti. E il viaggio negli Stati Uniti risulta saldato da una delle società di Viscione. La barca, la Ferrari, gli orologi L’imprenditore pagava e trovava altri che pagavano, riferisce ai magistrati. Come quando Milanese voleva vendere una barca, e lui gli trovò l’acquirente: Fabrizio Testa, poi nominato nel Consiglio di amministrazione dell’Enav e al vertice di una società controllata dal- l’ente. È Viscione a convincerlo: «Lo faccio portare da me e gli dico… ti compri la barca, la fai comprare da qualcuno e quello ti farà il piacere sicuramente… Cosi è stato… Fabrizio Testa, inquisito nello scandalo famoso delle fatture false Enav… Non lo voleva Matteoli, non lo voleva Alemanno, Tremonti l’ha fatto nominare…» . Le indagini hanno accertato che «la barca è stata pagata a un prezzo molto superiore a quello effettivo di mercato» da una società che poi «ha quasi contestualmente versato somme alla Fondazione Casa della Libertà, chiara articolazione di natura politica» . Tra le regalie a cui Viscione si sentiva costretto e alle quali ha deciso di ribellarsi, c’è pure una Ferrari Scaglietti, presa e data a Milanese usando la Aston Martin in permuta «più assegni miei, di portafoglio» : E ci sono «gli orologi, adesso ma anche prima, ci stanno gli orecchini alla moglie…» . Gli investigatori hanno rintracciato il venditore di orologi, che conosce anche Milanese, il quale ha ricordato gli acquisti di Viscione per il Natale 2009: «Comprò tre orologi di prestigio, un “Frank Muller”da donna con brillantini e forma a cuoricino e due “Patek Philippe”, mod. 5055 con cinturino in pelle e mod. 5035, entrambi da uomo, dal valore complessivo di mercato di circa 50.000 euro… Gli orologi erano destinati a un nostro cliente, il dottor Marco Milanese, che venne personalmente a sceglierli e a ritirarli» . Disse che uno era per Tremonti, ma il ministro ha detto ai magistrati di non averlo mai ricevuto. Le nomine pagate In cambio di denaro e altre utilità, l’accusa ritiene che Milanese abbia «promesso prima e assicurato poi l’attribuzione di nomine ed incarichi in diverse società controllate dal ministero, ricevendo come corrispettivo somme di denaro e altre utilità» . È successo con le due persone messe ieri agli arresti domiciliari: Guido Marchese, «ricevendo dallo stesso la somma di 100.000 euro» , con Barbieri Carlo, attraverso «lo stesso modus operandi» . A queste conclusioni il giudice è arrivato attraverso conferme autorevoli: il direttore centrale delle relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, e l’amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti. Il primo «confermava quanto già reso evidente dagli atti acquisiti, e cioè che il nominativo del Marchese gli era stato fornito da Marco Milanese» ; il secondo, «pur dichiarando di non ricordare chi gli avesse sottoposto, per raccomandarlo, il nominativo di Barbieri Carlo, confermava però che la sua nomina era stata certamente a lui proposta dall’esterno della società. Precisava, inoltre, che delle nomine per conto del ministero dell’Economia si era sempre occupato il Milanese» .

Il Corriere della Sera 08.07.11

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“Il giudice: pagava l’affitto della casa che veniva utilizzata dal ministro”, di G. Bia.

«Il quadro indiziario sussistente a carico del Milanese è granitico» , scrive il giudice di Napoli Amelia Primavera alla fine dell’ordinanza con cui chiede il carcere per il deputato del Pdl, consigliere politico del ministro Tremonti fino a dieci giorni fa. L’indagine coordinata dal sostituto procuratore Vincenzo Piscitelli e sviluppata dalla Digos e dalla Guardia di finanza «è assolutamente completa, straordinariamente dettagliata, priva di lacune istruttorie e pervasivamente convincente» ; gli elementi raccolti a carico del parlamentare sono «univoci, concordanti e gravi» , e «superano di gran lunga la soglia della gravità indiziaria richiesta dalla legge» per arrestare un inquisito. Ma l’inchiesta non è certo finita. Mancano all’appello, ad esempio, i finanzieri che informavano Marco Milanese sulle indagini che gli interessavano. E il loro ex collega divenuto deputato e uomo di fiducia del ministro ha tutto l’interesse e grandi possibilità di inquinare la ricerca delle prove, vista «la posizione di assoluto rilievo ricoperta, collocato ai vertici della struttura del ministero dell’Economia» . Per questo, secondo la Procura e il giudice, deve andare in galera: «L’unico modo per ridurre i rischi di permeabilità ad ulteriori interventi del Milanese e di pregiudizio all’acquisizione e alla genuinità delle fonti di prova è quello di privarlo, nella misura massima possibile, della possibilità di intrattenere rapporti con altri appartenenti alla Guardia di finanza, che gli deriva in maniera privilegiata dalla posizioni rivestita fino al momento delle dimissioni» . Il 28 giugno scorso Milanese ha lasciato l’incarico di consigliere politico del ministro dell’Economia, ma per il giudice non basta. Perché nonostante le dimissioni, «permane una situazione di oggettiva vicinanza tra l’indagato e il ministro Tremonti, al quale il primo è legato da un rapporto di stretta fiducia che prescinde dall’incarico formale rivestito dal parlamentare e sopravvive alle dimissioni rassegnate» . Un esempio? La casa abitata da Tremonti nel cuore di Roma, in via Campo Marzio, a due passi dal palazzo di Montecitorio. Un’abitazione di prestigio, presa in affitto da una confraternita religiosa, il Pio Sodalizio dei Piceni, alla non modica cifra di 8.500 euro al mese. «L’immobile è stato concesso in locazione a Milanese ma viene di fatto utilizzato dal ministro Tremonti» , scrive il giudice. E gli accertamenti bancari affidati a un consulente d’ufficio hanno accertato che c’è un solo assegno emesso da Tremonti «in favore del Milanese» , per 8.000 euro, nel febbraio del 2008. Il giudice definisce «i rapporti finanziari tra il Tremonti e il Milanese assolutamente poco chiari» , e ne spiega il motivo: «Il Milanese paga mensilmente un canone molto alto il cui complessivo ammontare rispetto alle rate già pagate risulta di oltre centomila euro; le fonti di rimborso da parte del beneficiario Tremonti non risultano all’esame dei conti esplorati dal consulente, il quale riferisce di non avere rinvenuto assegni o bonifici provenienti da Tremonti; l’assegno del febbraio 2008 attiene evidentemente ad altra partita economica tra i due, essendo isolato nel tempo e risultando emesso un anno prima della nascita del rapporto contrattuale con il Pio Sodalizio dei Piceni» . Conclusione: «Ne discende la permanenza di uno stretto ed attuale rapporto fiduciario tra i due esponenti politici che prescinde, evidentemente, dal ruolo istituzionale rivestito dal Milanese» . Tutto questo viene sottolineato per evidenziare come «il Milanese sia ancora oggi un punto di riferimento all’interno della Guardia di finanza, proprio per l’accertata vicinanza al ministro Tremonti» . Il che aggrava il rischio di inquinamento delle prove da parte di chi, secondo l’accusa, era arrivato a «vendere» le nomine negli enti controllati dal ministero in cui lavorava: «La posizione di potere tuttora rivestita dal Milanese, malgrado le sue recenti dimissioni, gli consentirebbe un ampio margine di intervento e di pressione sulle persone oggetto delle successive investigazioni e, in generale, negli ambiti societari e amministrativi dove queste dovranno ancora svilupparsi» . Il fatto poi che la testimone «compagna di vita e destinataria con lui del soggiorno americano» pagato da un imprenditore come prezzo della presunta corruzione occupi «un ruolo analogo a quello del parlamentare, operando nello staff di diretta collaborazione del ministro» , sembra escludere per il giudice che gli arresti domiciliari sarebbero sufficienti. In più, il carcere servirebbe a contrastare il pericolo di reiterazione del reato, vista l’indole che il giudice attribuisce all’onorevole indagato: «Milanese si è reso autore di condotte gravissime, indice sicuramente di una personalità proclive a delinquere. Gli episodi delittuosi sono maturati in contesti diversi dove il tratto comune è costituito dall’asservimento della pubblica funzione rivestita a fini privatistici e di guadagno illecito, fuori da qualsiasi possibile astratta giustificazione. La personalità del Milanese appare quella di chi, amante del lusso e della “bella vita”, sembra muoversi in dispregio proprio di quelle leggi che, egli più di ogni altro, avrebbe dovuto far rispettare» .

Il Corriere della Sera 08.07.11