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«Libere e senza potere. L’anomalia italiana», di Olivia Guaraldo *

Le istanze sollevate dalla manifestazione del 13 febbraio e, a seguire, l’incontro nazionale di Siena, non sono meramente «femminili» o «femministe» , non riguardano solo le donne, ma hanno l’ambizione di parlare alla nazione. Uno dei video più efficaci che nelle scorse settimane circolava su internet diceva, per bocca dell’attrice Claudia Pandolfi: «Stavolta senza le donne non si governa» . Quindi il messaggio non è rivolto solo alle donne, ma al paese intero, alla politica e ai suoi «custodi» , tradizionalmente e permanentemente maschi. I quali, non da oggi, faticano a prendere piena coscienza di cosa significhi esattamente una democrazia paritaria, una democrazia che non soffra, costitutivamente, di un deficit di rappresentatività così lampante come quello che affligge il nostro paese. Forse però c’è stata, nel nostro paese, anche una reticenza femminile nei confronti del potere, una sorta di timore o rifiuto a confrontarsi con quello che Max Weber chiamava l’ambito del diabolico, ovvero la sfera della decisione e della responsabilità. Le ragioni di questa reticenza sono molteplici: da una parte ha contribuito senza alcun dubbio l’egemonia della cultura cattolica, che ha sempre visto nella donna una figura della cura, della conciliazione, dell’amore e della modestia. Dall’altra però anche una certa cultura istituzionale di sinistra non ha fatto molto per far uscire le donne dall’ambito tradizionale, cooptando ministre e deputate per incarichi sempre a vocazione femminile. Il femminismo storico, indispensabile e prezioso strumento di una crescita sociale e culturale delle donne in questo paese, dal canto suo, ha svolto un ruolo critico e trasformativo, ma allo stesso ha visto con diffidenza la politica tradizionale. Ora siamo ad un punto di svolta, provvidenzialmente emerso a livello pubblico dopo i celeberrimi «scandali sessuali» . Il femminile che da quelle vicende è emerso rappresenti un insolito ibrido: donne «libere» — forse figlie inaspettate del femminismo — che però (apparentemente) scelgono per sé ruoli straordinariamente tradizionali, perché nulla c’è di più tradizionale della concubina, che ora però si chiama escort. Ma cosa c’è di tipicamente italiano in tutto questo? La persistenza di una cultura «machista» , spesso assecondata con benevolenza e condiscendenza, sia dagli uomini che dalle donne? La mancanza di una genuina aspirazione al potere da parte delle donne? La scarsa volontà della politica di aprire le porte alle donne? Tutti questi fattori sono presenti e decisivi, e a livello nazionale incidono maggiormente che in altri paesi, anche per una struttura sociale ancora per certi versi arcaica, poco disposta a negoziare i suoi presupposti, se non nelle forme di una resistenza localistica e identitaria alle trasformazioni globali. Che il potere sia, come diceva appunto Max Weber, la sfera del comando e del dominio, forse alle donne non va a genio ed è per questo che, in Italia, data la lunga tradizione femminista di critica consapevole e raffinata a quel tipo di modello, molte donne hanno rifiutato di confrontarsi con esso. Tuttavia — e questa è la sfida — fino a che le donne non entreranno nelle stanze della decisione, della responsabilità, delle «potenze diaboliche» , non sapremo se il potere possa anche dirsi altrimenti. Ed è per questo che la sfida posta oggi alla politica, alle istituzioni, al paese intero dal nuovo movimento delle donne non può che riassumersi nella frase «Adesso senza le donne non si governa» .

*filosofa

da il Corriere della Sera