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"Squinzi: a Monti do un 5/6, Camusso: no, è da bocciare", di Teodoro Chiarelli

Se non è il “patto di Serravalle”, poco ci manca. Metti una sera d’estate il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, e il neo presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, a dibattere all’ombra della torre di “Castruccio”, nel castello di Serravalle Pistoiese, e succede quello che non ti aspetti. Il leader degli industriali che, fra gli applausi dei militanti del sindacato, dice soavemente: «Condivido tutto quello che ha detto la signora Camusso». E la segretaria della Cgil: «E’ importante quello che dice il presidente Squinzi».

E’ il loro primo incontro pubblico, ma sul palco di Serravalle le convergenze sono quasi su tutto, sicuramente più delle divergenze. Stesso giudizio sul governo Monti (largamente insufficiente per la Camusso, tra il 5 e il & per Squinzi), stessa difesa della concertazione fra le parti sociali aborrita dal presidente del Consiglio, stessa richiesta (anche se con sfumature diverse) di una patrimoniale, stesso giudizio negativo (partendo da sponde dioverse) su riforma del lavoro e pensioni, stesso ripudio della “macelleria sociale”. Con Squinzi che ribadisce il suo giudizio («una boiata») sulla riforma Fornero e prende le distanze dal «modello Marchionne di scontro: non è il mio modello».

Per la verità il leader degli industriali inizia con toni concilianti. La spending review? «E’ un primo passo nella direzione giusta». Poi però la Camusso attacca: «Non è una seria accetta che interviene su sprechi e problemi, ma è una manovra che deve fare cassa e taglia orizzontalmente su tutto».

Squinzi si sistema sulla sedia, dà un’occhiata alle sue carte, poi butta lì: «Beh, di quello che ho sentito dire dalla segretaria Camusso condivido tutto». Poi precisa: «Dico che é un primo passo perché Monti ci ha detto che gli obiettivi erano il posticipo dell’aumento dell’Iva, i fondi ai terremotati e gli esodati. Le motivazioni vanno nella direzione giusta. Ma c’é da fare ancora moltissimo».

Un attimo e Squinzi rincara, fra gli applausi della platea. «Dobbiamo evitare una macelleria sociale, ma si deve semplificare la pubblica amministrazione perché dobbiamo evitare ridondanze che vanno eliminate». Tocca al segretario della Cgil. «L’Italia non ha più tempo di aspettare. Avevamo immaginato che sulla spending review potessero esserci risposte ma non ci sono. E a tutto ciò si risponde con la mobilitazione». Sciopero generale, quindi, ma quando? Probabilmente non si farà a luglio, più probabile a settembre. «Il governo – insiste la Camusso – non ha neanche provato a trovare soluzioni condivise nelle scelte di politica economica. Una scelta miope e supponente».

Anche Squinzi insiste sulla necessità della concertazione e ricorda come lui fosse schierato sull’inutilità di una battaglia sull’articolo 18 («Ma abbiamo anche noi i nostri oltranzisti»). Monti sostiene che la concertazione è morta? Lui fa spallucce: «In questo momento storico è assolutamente fondamentale. Io ho firmato quando ero in Federchimica sei contratti nazionali, con tutti al tavolo e senza un’ora di sciopero. Non dobbiamo andare allo scontro. Siamo tutti sulla stessa barca. Ce ne vorrebbe di più di concertazione». Poi una battuta. «L’occupazione non si crea per decreto, ma con un decreto la si può distruggere».

Inevitabile il richiamo alla Fiat di Sergio Marchionne. «Io sono per un sistema di relazioni sindacali condivise – insiste Squinzi – Il modello Marchionne di scontro non è il mio modello». Eppure il fatto che il Lingotto sia fuori da Confindustria non lo lascia indifferente. «E’ un vulnus, perché Fiat è uno dei pezzi più importanti del comparto manifatturiero italiano». Ci sarà prima o poi un incontro fra Squinzi e il manager italo canadese? «Non ho mai visto Marchionne – dice sornione – Se capiterà lo incontrerò. Ma è lui che non mi vuole parlare».

Il moderatore, Massimo Giannini di Repubblica, butta lì la provocazione: e una patrimoniale? Scontato il sì della Camusso. Squinzi sembra tentennare («Solo se fossimo in emergenza»), ma poi aggiunge: «Io sostengo il detto “famiglia povera, impresa ricca”, e nella mia azienda tutti gli utili sono reinvestiti nel gruppo. Se la patrimoniale non tocca le imprese, ma i grandi patrimoni personali, mi sta bene». E ancora: «Comunque la patrimoniale l’abbiamo già, è l’Imu, la paghiamo tutti. Penso inoltre che bisognerà considerare la Tobin Tax a livello europeo».

E allora che voto dare al governo Monti? Susanna Camusso parla di grave insufficienza, in pratica un bel 4. Squinzi è un po’ meno drastico, ma comunque severo: «Direi 6 meno meno. No, meglio tra il 5 e il 6». E spiega: «Il mio giudizio è ancora un po’ sospeso, perché da un governo tecnico mi sarei aspettato cose che non sono state ancora fatte. Ad esempio nel sostegno alla ricerca».

Identica, fra Cgil e Confindustria, l’opinione sul governo dei tecnici: «E’ una parentesi, si deve tornare alla politica. La buona politica». Spiega ancora Squinzi: «Sono molto perplesso per il fatto che siamo rientrati nel pareggio di bilancio prima degli altri Paesi europei. E’ stato decisamente esagerato, perché si sono depressi drammaticamente i consumi accentuando la recessione. Siamo veramente sull’orlo del baratro».

Il governo non ha neanche provato a trovare soluzioni condivise è comunque una scelta politica e c’è supponenza nel pensare che noi non saremmo stati in grado di dare un contributoNell’esecutivo c’è un’idea di supremazia del tecnico rispetto a tutti gli altri soggetti In qualche caso c’è anche una qualche idea di rivalsa come se fosse il lavoro il colpevole dei grandi problemi che ha il Paese e che quindi è meglio non interloquire col lavoroL’Italia non ha più tempo di aspettare A luglio non ci sono le condizioni per dare vita ad uno sciopero generale ma probabilmente sarà organizzata una grande iniziativa legata ai tagli che il governo ha deciso di fare alla sanità

da Lastampa.it

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Monti gela Squinzi: fa salire lo spread

Parte da Palazzo Madama il tour de force parlamentare che porterà al via libera della revisione della spesa pubblica (la spending review) entro il prossimo 3 agosto. I tempi sono strettissimi: appena 15 giorni di esame per ogni ramo del Parlamento. Il decreto decadrebbe a settembre, ma è chiaro che il governo punta ad incassarlo prima della pausa estiva. E questo anche per consentire al premier, Mario Monti, di presentarsi domani a Bruxelles un altro pezzo di compiti a casa già chiuso o almeno ben incardinato.

Intanto sale la tensione nei rapporti tra governo e imprese dopo che il leader degli industriali, Giorgio Squinzi, ha bollato la spending review del supercommissario Enrico Bondi come una potenziale fonte di «macelleria sociale». Ed ha stilato la pagella di fine anno del professore, senza neppure dargli la sufficienza. Oggi un Monti visibilmente irritato non ha lasciato cadere la provocazione bacchettando il presidente di Confindustria. A fine giornata arrivano le scuse al premier da parte un ex presidente di Confindustria: Luca Cordero di Montezemolo. Certe frasi, dice l’ex numero uno di Viale dell’Astronomia, «fanno male e sono certo che non esprimano la linea di una Confindustria civile e responsabile». Monti, infatti, sembra trasecolare. «Dichiarazioni di questo tipo, come è avvenuto nei mesi scorsi, fanno aumentare lo spread e i tassi. A carico non solo del debito, ma anche delle imprese» reagisce gelido il premier spiegando al capo di Confindustria che se lo spread non scende è perché «c’è un pò di incertezza su quello che succederà nella governance dell’economia» dopo le elezioni.

Le imprese, mette bene in chiaro il premier, dovrebbero apprezzare gli sforzi del governo dei professori. «Avevo capito che le forze produttive migliori desiderassero il contenimento del disavanzo pubblico. E che obiettassero a manovre fatte in passato molto basate sull’aumento delle tasse e che era ora di incidere su spesa pubblica e strutture dello Stato. Ma – dice il Professore togliendosi finalmente il sassolino dalle scarpe – evidentemente avevo capito male». Sembrano lontani i tempi della luna di miele tra la Confindustria e il governo, quando l’allora presidente, Emma Marcegaglia, salutò l’arrivo del professore come l’unica chance che aveva l’Italia per uscire dal baratro. Da allora, però, è stato un crescendo di spiacevoli malintesi, battibecchi a volte vere e proprie prese di distanza, nonostante il passaggio di testimone tra Marcegaglia e Squinzi. Come quelli più recenti, quando il neo-presidente ha bollato come «boiata» la riforma del mercato del lavoro. O quando ha definito l’economia italiana sull’«orlo di un abisso» suscitando la piccata replica del premier che con il suo consueto humor, fingendo di mordersi la lingua si impose «una moderazione interpretativa» sulle parole dell’industriale. Squinzi oggi riesce oggi a catalizzare solo difese da parte della Lega o di Di Pietro, mentre industriali e manager prendono le distanze. Lo bacchetta Montezemolo, ma anche Franco Bernabè e Marco Tronchetti Provera difendono il premier. «Il lavoro di Mario Monti è vitale per il futuro del Paese, dicono.

Monti incassa anche la “promozione” del numero uno di Bankitalia (il governo è sulla strada giusta – dice Ignazio Visco – e deve «insistere il più possibile» sui tagli alla spesa per arrivare ad abbassare le tasse). Ma gli impegni non finiscono qui: bisogna chiudere anche il decreto Sviluppo ora a Montecitorio e varare un nuovo decreto in Cdm entro agosto, come annunciato nella conferenza stampa notturna sulla ’spending’ dallo stesso premier, che dovrebbe riguardare il finanziamento ai partiti, quello ai sindacati e non, come si ipotizzava in un primo momento, le agevolazioni fiscali. Ultimo tema questo che potrebbe essere affrontato con la delega fiscale anche questa in ’giacenzà alla Camera. Quindi dato il possibile ingorgo e le pulsioni al cambiamento non è escluso il ricorso alla fiducia sul decreto. Fiducia che dovrebbe essere già stata autorizzata dal Cdm. Intanto i partiti si preparano a dare battaglia su diversi fronti. È noto, ad esempio, che il Pd punta a modificare la parte del decreto che riguarda i tagli alla sanità. E che molti sono i malumori per i tagli che più o meno restano sempre gli stessi trasformandosi da “linearo” a “orizzontali”. E anche sui tagli alla ricerca (ci incappano anche gli scopritori della “Particella di Dio”) molte sono le spinte al cambiamento.

I partiti quindi stanno già scrivendo le modifiche. Mentre i sindacati si preparano allo sciopero generale (soprattutto a difesa dei travet). Oltre alle piazze il primo palcoscenico della guerra delle modifiche sarà dunque il Senato: il testo già trasmesso venerdì notte sarà stampato e assegnato domani dal Presidente Renato Schifani alle commissioni competenti: dovrebbero essere la Bilancio (V) e la Affari Costituzionali (I). Le commissioni riuniranno poi gli uffici di presidenza per nominare i relatori. Mentre per il Governo dovrebbero seguire il testo il viceministro all’Economia, Vittorio Grilli, il sottosegretario Gianfranco Polillo, lo stesso ministro ai Rapporti con il Parlamento Piero Giarda, il sottosegretario Antonio Malaschini. Le modifiche al testo, come ormai è prassi, dovrebbero arrivare solo durante il lavoro in commissione. E il Governo, in caso di “maretta”, potrebbe porre la fiducia sul testo modificato presentando un maxiemendamento. Poi un passaggio “formale” (senza modifiche) nelle analoghe commissioni della Camera e il via libera appena in tempo per la pausa estiva.

La Stampa 09.07.12