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Jacques Attali «Senza federalismo europeo la moneta unica sarà travolta», di Umberto De Giovannangeli

È uno dei guru dell’economia francese, ex consigliere di Mitterrand e primo presidente della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Le misure tampone possono tenere a bada i mercati ma così non si garantirà il futuro Ue. Cedere quote di sovranità nazionale a organismi sovranazionali. Occorre rilanciare la produttività e creare Project bonds, cioè del debito buono. Bisogna finanziare solo progetti generatori di futuri redditi. «Le misure tampone possono forse “calmierare” per un po’ i mercati e cercare di tenere a bada la speculazione finanziaria. Ma non è così che si garantirà un futuro all’Europa: il salto di qualità sta nel cedere sempre più quote di sovranità nazionale a organismi sovranazionali. Si tratta di una scelta politica: oggi più che mai, l’obiettivo a cui tendere, quello su cui convogliare tutte le energie migliori, è il federalismo europeo. Attorno a questo discrimine occorre verificare le alleanze. Il vero “scudo” per l’Europa si chiama federalismo» Governo europeo o la fine stessa dell’euro sarà solo una questione di tempo! A sostenerlo è uno dei guru dell’economia francese: Jacques Attali, 69 anni, ex consigliere di François Mitterrand all’Eliseo, primo presidente della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, ideatore di Planet France, organizzazione non governativa che sostiene progetti di microcredito. «Bisogna pensare più in grande: – rimarca Attali avere non solo una moneta unica, ma anche un bilancio comune, un’unica politica fiscale e uno stesso sistema di monitoraggio del deficit. Non è possibile avere una valuta credibile, se questa valuta non ha dietro una politica di bilancio sostenibile, così come va realizzato, e al più presto, quel percorso, approvato a Bruxelles, verso un’unione bancaria e fiscale. Poi deve ripartire la ripresa, quella vera, fatta di investimenti privati. E deve ripartire in fretta perché l’economia peggiora sempre più».
Il Consiglio Europeo di fine giugno è ancora al centro del dibattito nei singoli Paesi dell’Unione e a livello internazionale. C’è chi si è sbizzarrito a indicare vincitori e vinti.
«È un esercizio che non mi affascina neanche un po’, convinto come sono che una Europa divisa favorisce la speculazione e che compromessi al ribasso finiscono per aggravare la crisi. Una crisi che non è solo finanziaria, economica ma è anche, e soprattutto, crisi politica».
Il che ci porta ad un tema a lei molto caro: quello del federalismo europeo.
«Per fortuna non sono il solo a ritenere che l’Unione europea non potrà uscire da questa crisi senza un cambio di paradigma. Ma ciò che più conta è che un’altra via di uscita è possibile. Essa consiste nel correggere gli squilibri dell’Unione economica e monetaria superando le insufficienze del trattato di Lisbona per andare al di là del coordinamento fra Stati membri. Essa consiste nel denunciare, ridurre e progressivamente annullare i costi della non-Europa. Per giungere a questi risultati occorre rilanciare la produttività attraverso riforme strutturali in particolare nel settore dei servizi ed investimenti in progetti generatori di crescita. Essi esistono già: nella trasmissione di energia e nell’efficienza energetica, nei trasporti puliti e nelle politiche urbane, nell’aeronautica e nella ricerca… gli industriali dispongono di progetti su scala europea per i quali è necessario il concorso finanziario di tutti i Paesi».
Si muove in questa direzione il fondo di 130miliardi di euro per la crescita voluto da Francois Hollande e rilanciato dal vertice di Bruxelles?
«Diciamo che è un primo passo, ma molta altra strada andrà fatta perché si possa parlare di una vera svolta nell’aggredire le ragioni della crisi. Il fattore-tempo è importante tanto quanto la direttrice di marcia a cui tendere. In questa ottica, resta di fondamentale importanza creare dei Project bonds, cioè del debito buono, finanziando esclusivamente progetti generatori di futuri redditi. La Bei potrà senza difficoltà assumere a proprio carico questi progetti sulla base di proposte della Commissione europea. Occorre circoscrivere poi i debiti del passato mutualizzandone una parte, Ripeto: il Consiglio di fine giugno ha rappresentato l’inizio di un percorso, guai se ritenessimo di essere in uscita dal tunnel della crisi». Professor Attali, l’Europa che lei agogna può nascere solo dall’alto?
«Direi decisamente di no. Quanto più impegnative, e per certi versi impopolari, sono le misure da adottare per uscire dalla crisi e dar corpo a una prospettiva di crescita, tanto più è necessario una forte legittimazione democratica. Le faccio un esempio: soltanto un’imposta europea nel quadro di un bilancio federale potrà dare credibilità adeguata a questo strumento di crescita. Per finanziare il bilancio federale si può pensare a un punto in percentuale dell’Iva, a una carbon tax e a una tassa sulle transazioni finanziarie. Sarà allora possibile generare con i project bonds più di 1000 miliardi di euro per investire in progetti di avvenire, rilanciare una vera crescita, proporre una visione convincente dell’Europa e creare i meccanismi per la soluzione degli squilibri che sono all’origine dell’ Unione economica e monetaria. Ma nessuna imposta potrà essere tuttavia decisa senza legittimità democratica e senza risolvere la crisi di fiducia fra la Ue e i suoi cittadini, offrendo agli Europei una nuova prospettiva. L’euro non potrà sopravvivere senza un progresso politico democratico decisivo. Se non facciamo un passo verso un maggiore federalismo l’euro sparirà, non si tratta di essere federalisti o anti-federalisti, è un dato di fatto. L’Europa non sopravviverà senza un budget federale un po’ più consistente, perché esiste un budget europeo».
I riflettori restano puntati sul più forte: la Germania di Merkel. L’opinione dominante, al di là del giudizio di valore sulle politiche adottate da Berlino in chiave europea, è che la Germania ha l’egemonia economica dell’Europa.
«È qui che si sbaglia. Non mi interessa l’opinione dominante. Io dico che la Germania sarà il malato dell’Europa da qui a vent’anni, perché la debolezza di una nazione si misura essenzialmente con la sua demografia e la sua capacità di concepire una strategia di lungo periodo. Si tratta di progredire verso un maggiore federalismo europeo, ma allo stesso tempo senza spingere i tedeschi ad opporsi, ma al contrario provando a far capire loro che hanno interesse nel progredire verso un federalismo europeo. Questo perché se l’Eurozona continuasse a indebolirsi, o addirittura dovesse ristringersi, estendendo l’area di crisi dalla Grecia a Paesi cruciali come Italia e Spagna, l’euro salirebbe moltissimo, è già troppo forte, e la Germania che ha fondato il suo modello di sviluppo interamente sulle esportazioni e non sul mercato interno, si ritroverebbe in una situazione tragica».

l’Unità 08.07.12