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"Crisi, spread: è meglio votare a novembre?", di Simone Collini

La settimana che si apre oggi sarà determinante per capire che tipo di piega prenderà il finale di legislatura e se sia giustificata la discussione sull’ipotesi di un voto anticipato in autunno, che ormai da quarantott’ore tiene banco. Il punto non è tanto la riapertura delle Borse e l’andamento del mercato dei titoli di Stato, che pure saranno sotto i riflettori dopo il venerdì nero che ha fatto registrare un meno 4 per cento e uno spread a quota 500. Saranno piuttosto le votazione in Parlamento dei decreti su spending review, dismissioni e sviluppo, che il governo vuole incassare in tempi rapidi anche ricorrendo alla fiducia, ad essere attentamente esaminate da Palazzo Chigi e Quirinale.

I quali, in base alla Costituzione, possono avviare l’iter (il primo passo spetta al premier, presentando le proprie dimissioni al capo dello Stato) che porterebbe allo scioglimento delle Camere (prerogativa del Presidente della Repubblica, esaurita la fase delle consultazioni) e quindi al voto anticipato. I segnali arrivati negli ultimi passaggi parlamentari – in commissione su quei decreti economici ma anche in Aula sulle riforme istituzionali affossate dal rinnovato asse Pdl-Lega – hanno fatto suonare un campanello d’allarme.

Secondo Monti sarebbe drammatico per il Paese affrontare il «percorso di guerra» che ancora abbiamo davanti e rispondere agli attacchi speculativi mentre le forze politiche sono di fatto impegnate in una campagna elettorale che si trascinerebbe per otto mesi. E allora meglio sarebbe, per dare un messaggio di stabilità, anticipare le elezioni. Questo sarebbe il ragionamento fatto di fronte a pochi fidati interlocutori da Monti, che però smentisce di aver deciso per una crisi pilotata. Napolitano osserva e non interviene. Per poter votare tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, dovrebbe sciogliere le Camere entro settembre (devono passare almeno 45 giorni tra lo scioglimento e le elezioni). Ma forse non bisognerà aspettare così tanto per capire se tutte le forze che sostengono Monti saranno leali e determinate ad arrivare a fine legislatura.

UNA FASE NUOVA
Ad agitare le acque non c’è solo la «doppia maggioranza» che si è venuta a creare in Parlamento sul presidenzialismo e sul Senato federale, o l’insistenza di Berlusconi sul suo ricandidarsi (ieri Palazzo Grazioli ha smentito la smentita di questa sua volontà). È proprio l’atteggiamento del Pdl che è cambiato negli ultimi tempi, al di là della ritrovata sintonia con la Lega. Basta guardare alla discussione sulla spending review: se il Pd chiede di rivedere i tagli alla sanità, il Pdl ha iniziato ad attaccare i «difensori della spesa pubblica», ben sapendo che saranno i Democratici a pagare il prezzo sociale più salato nel caso in cui la spending review venisse approvata così com’è.

Un atteggiamento che il Pdl non ha tenuto neanche sulla riforma del lavoro, di fronte alle proposte di modifica avanzate dal Pd sull’articolo 18. Che siamo entrati in una fase nuova, piena di incognite, se ne rende conto anche Casini. Per la prima volta da quando è in carica Monti, il leader dell’Udc non si limita a dire che si dovrà votare nella primavera del 2013, ma aggiunge che «se ci fosse una valutazione comune» si potrebbero anticipare le urne. Si inizia a discutere delle “subordinate” anche nel fronte dei più convinti sostenitori di questo governo. Anche Eugenio Scalfari, su Repubblica, pone la questione: «Il voto anticipato può battere lo spread?».

E legge con un sorriso il lungo editoriale della domenica chi, come Matteo Orfini, aveva fatto analogo ragionamento circa un mese fa. «Un benvenuto a Scalfari tra i “guastatori”», scrive su twitter il responsabile Cultura del Pd, riprendendo un precedente editoriale del fondatore di Repubblica, in cui si chiedeva a Bersani di sollecitare le dimissioni dello stesso Orfini e di Stefano Fassina, rei di aver messo nel novero delle ipotesi le elezioni anticipate. Il leader del Pd non intende partecipare a questa discussione. Bersani si attiene a quello che dice la Costituzione. E cioè che sta al capo di Stato Napolitano e al premier Monti la decisione ultima sul destino della legislatura (e al secondo sta anche la decisione se, fatto il passo indietro, candidarsi alle politiche).

Quanto ai partiti, dice il segretario del Pd a chi gli ha parlato in queste ore, devono ora dimostrare di voler fare sul serio per cambiare la legge elettorale. «Noi stiamo dando una disponibilità enorme, anche rinunciando a punti per noi molto importanti, ma non ci sono interlocutori in grado di stringere», dice polemizzando con il Pdl. Anche Casini è convinto che si debba chiudere in fretta sulla legge elettorale: «Gli italiani non possono fare ulteriori sacrifici – dice il leader Udc alla Stampa – ai signori dello spread è opportuno mandare un ultimo messaggio: approvando una nuova legge elettorale almeno in un ramo del Parlamento prima della pausa estiva, daremmo un segnale forte a chi dubita della stabilità futura dell’Italia».

Ci sono una decina di giorni, reali, per arrivare a un’intesa che faccia superare il Porcellum. Altrimenti, ogni discussione su un ipotetico anticipo di elezioni sarà basata sul nulla.

da www.unita.it

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Perché non conviene, di Nicola Cacace
I timori che un inizio anticipato della campagna elettorale, anche nell’ipotesi della scadenza naturale della legislatura al 2013, rischi di dissolvere la precaria maggioranza che oggi regge il governo Monti, non sono infondati. L’alternativa secca di prendere l’attuale precarietà di maggioranza in contropiede, partendo subito con la campagna elettorale, in pratica con lo scioglimento a settembre delle Camere per votare in novembre, mi sembra una decisione di estrema audacia e di una rischiosità troppo alta per essere vera. Almeno tre condizioni negative giocano contro. innanzitutto l’assenza operativa dello scudo anti-spread negoziato al vertice UE di giugno.
Che infatti deve aspettare la decisione di settembre della Corte costituzionale tedesca e le conseguenti decisioni del bundestag, senza le quali ogni difesa dell’euro contro attacchi veri sarà vana. In secondo luogo, l’alta probabilità, quasi la certezza di votare con l’attuale legge elettorale. Terza questione: quello che abbiamo davanti sarà un trimestre molto duro per resistere alle speculazioni del mercato. per non parlare di altre condizioni negative, quelle che riguardano lo spread sociale, che anche i dati odierni della Camera di commercio e di bankitalia fanno emergere: l’esiguo numero di assunzioni previste nel prossimo trimestre, la metà delle assunzioni per il solo turn-over di sostituzione dei pensionati, la consistente perdita di potere d’acquisto dei salari nell’ultimo periodo.
A questi dati vanno sommati quelli relativi alle conseguenze del terremoto in Emilia-Romagna, con centinaia di aziende chiuse, al quasi fermo della produzione di quella che era la più importante impresa manifatturiera, la fiat, che mette in cassa integrazione anche Mirafiori, ai cattivi dati sulla stagione turistica che vive più sotto la minaccia di provvedimenti punitivi come la ventilata soppressione di festività nazionali che sotto lo stimolo di incentivi e provvedimenti necessari al suo rilancio. E poi? Che dire dello spread con la esse maiuscola? Chi è in grado di prevedere dove potrebbe arrivare l’attivissima speculazione al ribasso sull’euro, che già oggi è così preoccupante benché Monti legittimamente, un giorno sì e uno no, ammonisca i mercati sul fatto che, anche se «il contagio è in atto, l’Italia ha i fondamentali per resistere». È vero che le «grida» montiane non sono riuscite sinora a tenere sotto livello 400 e neanche 500, lo spread tra i btp italiani e i bund tedeschi, ma chi può dire dove arriverebbe, da qui ad agosto e settembre, lo spread del debito sovrano di un paese senza governo e, quel che è peggio, senza alcuna realistica previsione su un futuro governo post-elezioni di novembre? E poi? Quali previsioni sono oggi possibili sul governo che uscirebbe dalle elezioni anticipate in autunno quando ad oggi non sappiamo niente, o assai poco, della legge elettorale, delle possibili coalizioni, dei leader che le guiderebbero, senza parlare dei programmi, che sono anche materia strategica per i giudizi dei mercati. L’ipotesi di governo più probabile è anche la meno desiderabile per il paese: una grande coalizione, bella o brutta copia di quella di oggi, con monti o un suo succedaneo. Bella prospettiva. Prospettiva di un paese che rinuncia definitivamente alla politica (con la esse maiuscola) dichiarandosi pericolosamente inadatto alle normali regole di una democrazia competitiva. Ma questa sarebbe la prospettiva di governo più probabile se si votasse a novembre, anche perché sarebbe difficile consolidare leadership forti con una forte maggioranza alle loro spalle, in grado di formare una solida e duratura coalizione di governo. E con un parlamento dove l’antipolitica, di grillo ma non solo (dove mettiamo la lega anti monti e l’attuale Di Pietro?), avrà fatto molti danni rendendolo ancora più ingovernabile di oggi.
Last but not least: chi si assume, con la decisione di anticipare le elezioni, anche quella di non avere più alcuna arma governativa, per tre mesi interi, in grado di contrastare, non dico fermare, l’aumento dei nostri indici, compreso quello del debito che ci metterebbe poco a passare dal 120$ al 130$ del pil mandando definitivamente il paese a raggiungere la Grecia?

da L’unità

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Perché conviene, di Michele Prospero
Quali argomenti potrebbero indurre il capo dello stato a sciogliere in anticipo la legislatura? Chi, come Napolitano, sa intrecciare con sapienza il profilo tecnico di un ruolo super partes e la lettura della fase storico-politica, ad una decisione sempre controversa, come quella di votare a novembre, non potrà pervenire senza rassicurazioni sia di carattere istituzionale che politiche. Il presidente vuole essere sicuro che il suo atto non assuma i tratti di uno scioglimento di lotta. Un decreto di dissoluzione delle Camere, indotto da un lacerante conflitto istituzionale o da una rottura polemica tra le forze politiche, lascerebbe ferite difficilmente cicatrizzabili in una fase di dura emergenza.
Quindi, agli occhi di Napolitano, se scioglimento ci deve essere, esso sia anzitutto un atto largamente consensuale. Ci sono dei momenti politici in cui è una prova di responsabilità quella di andare al voto prima del termine naturale previsto dalla costituzione. Occorre, in questa ottica, che nessuno dei partiti stacchi da solo la spina del governo, assumendosi enormi e imponderabili rischi per un gesto inconsulto. La determinazione di tornare al giudizio dei cittadini deve essere il frutto di una ponderata analisi svolta dai partiti che concordano sulla opportunità di inaugurare una nuova fase perché quella che hanno con senso di responsabilità sostenuto finora è ormai sterile. E qui, dalle valutazioni di profilo istituzionale, si scende sul campo delle tendenze politiche ora visibili. Il quadro politico mostra già segni di logoramento. Lo stesso sovversivismo plebeo che ha aggredito in questi giorni il Quirinale con accuse risibili, è un indizio palese del deterioramento del clima. Camminando sul terreno minato di una crisi economica inafferrabile e assistendo impotenti alla radicalizzazione della sfida lanciata da opposizioni agitatorie, si potrebbe giungere ad aprile con un blocco populista variegato (Di Pietro, Grillo, la Lega, il Berlusconi redivivo) vicino alla maggioranza e capace quindi di far saltare tutti gli equilibri costituzionali. Condannare la legislatura a trascinarsi sino a primavera potrebbe logorare i partiti più seri e favorire la presa di agguerrite formazioni disposte al peggio. I duri sacrifici che il governo ha chiesto hanno evitato il baratro (a novembre scorso non c’erano i soldi per pagare gli stipendi e le pensioni, e quindi raffreddando i bollenti spiriti dei mercati monti è divenuto una riserva della repubblica) senza incontrare le fiamme che hanno devastato Atene e le pallottole (per ora) di gomma che vengono sparate a Madrid. Ora
però, per placare gli istinti di rivolta occorre un ritorno alla politica che deve decidere se sostenere la svolta europea inaugurata con il successo di Hllande oppure procrastinare una fase tecnica che non può dare molto di più rispetto a quello che ha già spremuto.
Eiste una convenienza di sistema nella scelta da tutti condivisa di andare al voto a novembre. La Lga vedrebbe incoraggiata la svolta di Maroni, che parla un linguaggio diverso, non vuole essere un semplice spauracchio e sta collocando il suo partito in una zona inedita, di semiaccettazione della lealtà costituzionale. Il PDL sarebbe indotto a sbarazzarsi della surreale ricomparsa di Berlusconi nelle vesti di Masaniello antieuropeo per ridare fiato alle timide velleità di allestire un partito normale della destra che, pur nella certezza di perdere, avrebbe comunque l’opportunità di occupare lo spazio politico come polo alternativo alla sinistra. Al PD la scelta di giocare d’anticipo conviene perché con la sua offerta di un patto tra progressisti e moderati (per agganciare il socialismo europeo, che solo può contribuire alla salvezza del paese) scompagina il blocco populista in agguato. È chiaro che una prova del reale senso di responsabilità delle forze politiche il Capo dello Stato la attende dalla riforma elettorale. occorre andare al voto senza il porcellum, ed è possibile con ritocchi marginali (preferenze, collegi di più piccola dimensione e mantenendo il premio di coalizione) oppure con una più incisiva manutenzione (premio del 10 per cento al primo partito, che così darebbe un segnale nitido di stabilizzazione, dall’alto del 40 per cento dei suoi seggi).
Se però, dopo aver tanto invocato il ritorno della politica, si confeziona una maldestra legge elettorale, che pare propedeutica alla ingovernabilità, si lavora con somma incoscienza per sprofondare negli abissi. Con una buona legge elettorale, recarsi al voto a novembre non sarebbe un trauma, soprattutto se i partiti sapranno mettere a frutto la loro reciproca legittimazione, in un bipolarismo finalmente maturo.

da L’Unità