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"La medaglietta della Gelmini", di Mariangela Bastico

Ritengo che il boicottaggio delle prove Invalsi, promosso dai Cobas, sia controproducente, perché impedisce una discussione vera sulla valutazione, determinanwdo schieramenti precostituiti che valorizzano le posizioni di chi, come il ministro Gelmini, fa della valutazione una sorta di ideologia.
La valutazione è, invece, semplicemente uno strumento, in sé né buono né cattivo, le cui caratteristiche sono definite dagli obiettivi che si intendono perseguire. E qui c’è la prima incongruenza della Gelmini, che non chiarisce le finalità dei test Invalsi: servono per premiare gli insegnanti che conseguono i risultati migliori? Per sapere che le varie scuole producono risultati molto differenti? Lo sappiamo già dai dati Ocse-Pisa.
Servono per premiare le scuole migliori? O per sostenere quelle più in difficoltà? È necessaria una approfondita discussione nelle commissioni parlamentari competenti, sempre negata dal ministro, perché la valutazione è strettamente interconnessa all’idea di scuola che si vuole realizzare.
A mio avviso, occorre in questa fase scindere la valutazione dalla premialità; il fine prioritario della valutazione, infatti, deve essere quello di evidenziare quali siano i fattori che nelle varie scuole producono i migliori risultati in termini di apprendimento dei ragazzi, al fine di riprodurli e di portare tutte le scuole – tutte e non una di meno – a conseguire quei risultati.
Temo, invece, che il ministro Gelmini persegua l’obiettivo, da un lato, di mettere la “medaglietta” alle scuole migliori e, dall’altro, di utilizzare i risultati Invalsi come ulteriore occasione per denigrare e indebolire la scuola pubblica, già fortemente impoverita dai pesantissimi tagli e già troppe volte vituperata da chi ne ha la prima responsabilità.
Nel merito individuo nelle prove Invalsi alcuni limiti evidenti che dovranno essere corretti. Innanzitutto i risultati di apprendimento dei ragazzi vengono misurati come tali e non in termini di crescita relativa; e sappiamo bene quanto il contesto familiare, culturale e sociale condizioni il rendimento scolastico dei ragazzi, indipendentemente dalla qualità della scuola in cui studiano. In questo modo risulterebbero danneggiati proprio le scuole e i docenti più meritori, che operano nei contesti sociali più difficili.
In secondo luogo, i test, di cui si è preannunciata una parziale correzione, misurano le competenze dei ragazzi, cioè il saper fare e il saper risolvere i problemi, mentre la nostra scuola insegna prevalentemente conoscenze. Viene, quindi, usato un metro improprio: sarebbe come misurare un liquido con un metro lineare.
Quello che manca – e spetta al ministro farlo – è la definizione degli obiettivi di apprendimento, cioè che cosa devono sapere e saper fare i ragazzi al termine della scuola elementare, della scuola dell’obbligo e di quella superiore.
La scuola, infatti, opera ancora sulla base di programmi. Come è possibile valutare se gli obiettivi sono conseguiti o no, se questi non sono stati definiti? Credo, inoltre, che sia reale il rischio evidenziato da diversi docenti di insegnare sempre più a rispondere ai test piuttosto che a svolgere la complessità di un ragionamento, mettendone in luce gli elementi di forza e di criticità.
In una parola i test possono aumentare pericolosamente la tendenza, già evidente, a eccessi di banalizzazione e di semplificazione, sia del linguaggio, sia del ragionamento.
Nonostante i forti limiti evidenziati, sono convinta che la valutazione sia elemento positivo per la scuola, intesa come luogo dell’educazione e della crescita, non come il luogo di una corsa ad ostacoli, in cui premiare i vincenti ed escludere coloro che cadono.
Per una buona valutazione occorre una grande alleanza con la scuola, un profondo rapporto di fiducia che difficilmente può esistere con un governo ed un ministro che sembrano utilizzare la valutazione come uno strumento per dividere gli studenti tra loro, gli insegnanti tra loro, non comprendendo che la scuola è una comunità educante e che i suoi risultati non sono mai solo il frutto di un impegno individuale.

da Europa Quotidiano 12.05.11

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