attualità, politica italiana

"L'occasione persa del Cavaliere", di Cesare Martinetti

Se il capo del governo italiano, che a differenza dei suoi colleghi di Russia, Canada, Giappone e Francia, non è stato invitato a nessun incontro bilaterale (uno di quei faccia a faccia in cui si possono anche dire cose riservate), avesse avuto la possibilità di scambiare due parole con il Presidente degli Stati Uniti che cosa gli avrebbe potuto chiedere? L’agenda nazionale e internazionale è piuttosto ricca. Cominciamo dall’ultima questione, quella che in Italia è stata giustamente chiamata emergenza e che ha spinto il governo a un duro confronto con l’Unione europea e la Francia: la crisi libica e i profughi di Lampedusa. Il capo del governo italiano, che a lungo ha esitato a impegnarsi contro il regime amico di Tripoli, avrebbe potuto chiedere al Presidente degli Stati Uniti lo stato delle cose, per quanto tempo si pensa ancora di condurre le operazioni militari, il modo in cui si pensa di uscire dal confronto e innescare la fase due, quella della ri-costruzione.

E in questo quadro capire come affrontare insieme (con Usa e Onu, tanto per estendere l’orizzonte europeo che, Roma lamenta, pare a noi tanto ostile) l’ondata di profughi e restituire sicurezza agli italiani che si vedono minacciati dall’invasione straniera.

Il capo del governo italiano avrebbe poi potuto chiedere qualche risposta chiara sull’orizzonte delle cosiddette rivolte arabe. Il Presidente degli Stati Uniti ha tenuto nei giorni scorsi due importanti discorsi: uno sul futuro del Medio Oriente, l’altro – da Londra, dove con il premier David Cameron ha ricostruito su altre basi quel tandem che il suo predecessore Bush ebbe con Tony Blair – sul ruolo e i valori del nostro mondo occidentale. L’Italia deve ben sapere come orientarsi su entrambi i piani: siamo il molo dell’Europa proteso verso Medio Oriente e Maghreb. Abbiamo una parte da giocare: responsabilità ma anche un ruolo attivo, nella politica e nel business. Abbiamo oltre duemila soldati in Libano, il contingente più numeroso dell’Unifil, interessi diffusi, antichi e nuovi legami. Che cosa si pensa a Washington?

E l’Afghanistan? Eliminato Osama Bin Laden, qual è il vero orizzonte di quella guerra che l’Occidente sta combattendo da dieci anni? Il capo del governo italiano avrebbe potuto chiederlo al Presidente degli Stati Uniti. Anche laggiù i nostri soldati impegnati nel contingente Isaf sono numerosi, quasi tremila e 37 di loro sono anche caduti. Fino a quando si inseguirà il fantasma del mullah Omar? Al Qaeda è ancora una minaccia per l’Occidente? Cha facciamo?

E poi ci sono i temi più propri della crisi delle economie occidentali, casa nostra, i nostri conti, addirittura i nostri risparmi. Il lavoro, le famiglie, il nostro modello di welfare nel quale le nostre società sono cresciute e si sono sviluppate e che per la prima volta in modo così radicale è stato messo in crisi. Ogni settimana escono bollettini statistici che raccontano dell’Italia Paese scoraggiato, dove la crescita (diciamo così) è la più lenta d’Europa, dove la metà dei pensionati deve cavarsela con 500 euro al mese. Ecco, il capo del governo italiano avrebbe potuto chiedere al Presidente degli Stati Uniti come stanno le cose o dire la sua sulle ricette che il G8 si apprestava a raccomandare ai membri del suo club di Stati un tempo ricchi.

E la crisi della Grecia può finire in un default? Le misure di salvataggio sono sufficienti? Cosa pensa Washington del modo in cui l’Unione europea ha reagito? E cosa si pensa della «simpatica» Italia, cui di qua e di là dell’Atlantico si associa sempre un sorrisino. Ce la facciamo? Ce la faremo, nonostante quei menagramo di Standard&Poor’s o anche noi rischiamo la via greca?

Il fatto è che il capo del governo italiano, ieri, ha avuto la possibilità di scambiare qualche parola con il Presidente degli Stati Uniti d’America. In modo irrituale, non previsto, fuori dal protocollo e persino dal galateo delle riunioni internazionali. Poco prima che iniziasse la seduta, il capo del governo italiano si è avvicinato al Presidente degli Stati Uniti, gli ha messo una mano sulla spalla ed ha cominciato a parlare. Il Presidente ascoltava con l’aria abbastanza stupefatta, era chiaro che non capiva una parola, un’interprete è venuta in soccorso, i microfoni già accesi ci hanno regalato i contenuti di quel furtivo faccia a faccia. Ha detto il capo del governo italiano al Presidente degli Stati Uniti: «Abbiamo presentato la riforma della giustizia che per noi è fondamentale». Pausa e poi: «Perché in questo momento abbiamo quasi una dittatura dei giudici di sinistra…».

Barack Obama non ha risposto, nemmeno una parola. Si era preparato sulla crisi libica, le rivolte del mondo arabo, il nuovo assetto del Medio Oriente, la lotta al terrorismo, la strategia militare in Afghanistan, il nuovo ordine globale, come affrontare Cina e globalizzazione, come rispondere alle richieste dei Paesi «Brics» che chiedono la poltrona lasciata vergognosamente vuota da Dominique Strauss-Kahn. Si era preparato su tutto, il Presidente degli Stati Uniti. Ma sulle faccende personali di Silvio Berlusconi non aveva davvero niente da dire.

La Stampa 27.05.11