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"Il crollo di un Paese", di Francesco Merlo

Anche la scuola, che era stata malamente puntellata, collassa sotto il peso dei tagli della Gelmini. E la stessa sorte tocca alle case editrici, al cinema, alle canzoni, al teatro. C´è più scienza del restauro e più tecnica della conservazione nel viso rifatto di Berlusconi che nei ruderi di Pompei. E crolla, con la casa dei gladiatori, anche il sesso italiano, e non solo perché aumentano, per contagio, i vecchi ricchi pieni di desideri fuori tempo, ma soprattutto perché Ruby e Noemi sono prototipi. Le minorenni scoprono di avere nel loro corpo una miniera e si sgretola, come a Noto il barocco, il romanticismo nazionale, il dolce stil nuovo, il corteggiamento, la poesia, l´italianissima idea che la verità di un grande uomo sono gli occhi di una donna.
Le macerie di Pompei confermano che il danaro del turismo non basta a rendere eterna la rovina mummificandola. E ci voleva un rovinoso leghista come Zaia per degradare Pompei a «quattro sassi», ben al di là dell´ignoranza che un tempo riusciva ancora ad accompagnarsi ad un certa fierezza, come testimonia Trilussa: «Pe´ Roma le rovine so´ un ristoro / pe´ l´inglesi che viengheno a guardalle; / noi nun ce famo caso, invece loro / cianno pure er libretto pe´ studialle». Oggi persino l´ignoranza è guastata dal razzismo leghista. Che popolo è quello che nelle rovine non vede le vestigia? E che cultura amministra un ministro che, sepolto sotto le rovine, non ha il coraggio di dimettersi, fosse pure per protesta?
Anche la scuola, che era stata malamente puntellata, crolla sotto i tagli della Gelmini e non è più per snobismo che gli italiani mandano i figli negli istituti francesi, tedeschi e angloamericani. Forse bisognerebbe affidare all´Europa la Magna Grecia, un po´ come accade ad Efeso, dove si rimane senza fiato davanti a quella specie di New York dell´antichità, spolverata, lucidata e accarezzata dai più raffinati tecnici del mondo che sono come i viaggiatori del settecento: un´aristocrazia dello Spirito, in Asia Minore o tra le vestigia azteche o attorno alla Muraglia cinese, unico monumento della Terra che si vede dalla Luna.
In Italia collassano le case editrici e diventano rovine pompeiane il cinema, il teatro e le canzoni. Crolla l´occupazione. E la famiglia è il laboratorio dei più feroci delitti. Non c´è immagine della decadenza più plastica di quella foto del Papa che, pur travolto dallo scandalo della pedofilia, in Spagna sordamente rilancia il “diritto naturale” mentre due gay, calvi ed anzianotti, mettono in scena il bacio di protesta.
Basta un viaggio in Egitto per scoprire attorno alle Piramidi quello stesso controllo occhiuto che c´era sulla piazza Rossa ai tempi del comunismo e che in Italia non c´è nelle banche, nelle istituzioni, nel governo: «I secoli ci guardano» . «Io, Imperatore dei francesi, dico a voi: io sono musulmano» fu l´incipit del discorso egiziano di Napoleone, poi copiato da Kennedy a Berlino.
Anche lo sport va in rovina per malaffare e violenza. Avessimo negli stadi le arrabbiate milizie in alta uniforme che custodiscono gli antichi templi indosaraceni! È vero che pure in India, come a Pompei, folle di miserabili si propongono come guide. Ma almeno sono miserabili poliglotti mentre a Napoli sono fermi al «paisà», e sono pure tombaroli.
A Roma la reggia di Nerone è chiusa per crolli perché nessuno investe in ciò che non si vede. Proprio come nel Veneto dove quelli che si vantavano d´essere i migliori non avevano mai investito nel territorio: ora sono, come i sarnesi, nelle mani del dio della pioggia e, come all´Aquila, della demagogia di Berlusconi. Davvero nei crolli di Pompei c´è l´Italia intera, il paese dove va in rovina la rovina.

La Repubblica 11.11.10