memoria

"Il balzac del cinema", di Curzio Maltese

“Se dovessi essere costretto a una vita che non è vita, la farei finita anch´io”. Mario Monicelli me lo disse anni fa, a casa sua nel rione Monti. Erano i giorni del caso Welby. Sembrava più una presa di posizione intellettuale di un grande laico che non una confessione personale. A novant´anni era ancora bellissimo, elegante, ironico, sempre dentro qualche battaglia. L´altro giorno era ancora in piazza a protestare contro i tagli alla cultura. Questa notte ha deciso lui dove mettere la parola fine. Con Monicelli se ne va un genio e un maestro del cinema, anche se entrambe le definizioni l´avrebbero fatto sorridere. «Appartengo ancora a una generazione dove si diventava registi di cinema soltanto perché non si era capaci di scrivere un bel romanzo. Potendo scegliere, avrei continuato a cercare d´imitare Dostoevskji». Si è ucciso come il padre Tomaso, giornalista di gran talento. Da giornalista aveva cominciato anche Mino e diceva di non aver mai smesso. Sempre curioso, polemico, informatissimo, divoratore di notizie grandi e piccole.
Nessuno come Monicelli ha indagato tanto e descritto meglio gli italiani dal dopoguerra a oggi. E´ stato il nostro Balzac, l´autore di una gigantesca commedia umana degli italiani, attraverso decine di film, spesso capolavori. Titoli e storie che conoscono tutti, entrati nel linguaggio comune per descrivere l´oroscopo dei caratteri nazionali. L´elenco mette i brividi, dagli inizi col Totò di «Guardie e Ladri» a «I soliti ignoti», da «La grande guerra» a «I Compagni», e poi «L´Armata Brancaleone», «Amici miei», «I nuovi mostri», «Il marchese del Grillo», «Speriamo che sia femmina». Senza contare i film definiti minori dalla critica, come «Risate di gioia» o «Romanzo popolare», che da soli valgono più di alcune decine di presunti capolavori da festival. Monicelli ha inventato la commedia all´italiana nel ´58 con «I soliti ignoti» e ne ha dichiarato la fine vent´anni dopo con «Il borghese piccolo piccolo». In mezzo ha fabbricata l´unica epica di cui disponiamo, tragicomica, amorale, ma grande. Da parte sua, era quanto di più lontano dai suoi personaggi si potesse immaginare. Anti retorico, moralista, sempre a schiena dritta, con un profondo credo nei suoi valori laici, socialisti, libertari, antropologicamente antifascista. E´ paradossale che un anti italiano tanto fieramente minoritario abbia ottenuto un tale immenso successo. Frutto, secondo Monicelli, anche di un significativo fraintendimento. «Ho quasi sempre descritto personaggi mostruosi. All´estero si stupiscono che gli italiani li trovino tanto simpatici».
Non credeva nella religione. Diceva che gli sarebbe piaciuto credere negli dei greci perché erano tanti, cialtroni ma allegri, mentre «il dio della Bibbia è in assoluto uno dei personaggi più cupi della letteratura mondiale». Sul set dell´ultimo film, «Le rose del deserto», girato a novant´anni, in condizioni ambientali eroiche anche per un trentenne, confessò di non avere paura della morte, ma del giorno in cui avrebbe smesso di lavorare. Come sempre, era la verità.

La Repubblica 30.11.10