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"La festa americana", di Federica Mogherini

Mentre Obama raccontava al suo popolo ed al resto del mondo la fine del “simbolo del male”, per le strade delle metropoli della civilissima East Coast (non nel profondo sud o nel Midwest conservatore) ragazzi giovanissimi esultavano. Un cartello diceva “Obama 1 – Osama 0”, come fosse una partita di calcio. Caroselli di macchine, bandiere, cori, la gioia di fronte alla morte di un uomo. Del peggiore degli uomini. Ma non riesco a smettere di pensare, con tutto il bene che voglio all’America e con tutto quello che di buono ho sempre pensato del suo attuale presidente, che qui c’è qualcosa di molto più complicato. Qualcosa di non riconducibile al risultato da partita di calcio.
Per diverse ragioni. Primo. Non c’è bisogno di essere cattolici per provare disagio nel vedere l’esultanza per la morte di un uomo. Credo che la vita di una persona, anche della peggiore delle persone, abbia un valore. È il motivo per cui sono contraria alla pena di morte, e continuo ad esserlo anche di fronte a criminali di guerra, a chi commette stragi o ne comanda l’esecuzione, a chi uccide bambini, e a Bin Laden.
Gioire per la morte, per l’uccisione di un uomo, è una cosa al di fuori della mia comprensione. Che possano farlo dei ragazzi giovanissimi, tra cui molti democratici, ci dice molto su quanto hanno scavato nell’animo dell’America questi dieci anni di “lotta del bene contro il male” che ci distanziano da quel terribile 11 settembre.
La giustizia si avvicina alla vendetta. Il risultato è quello di una partita di calcio, di un videogioco. 1–0, palla al centro.
Secondo. Il vero colpo ad al Qaeda non è questo. È quello che è venuto in questi mesi dalle piazze del mondo arabo, da quei giovanissimi che nel contestare le dittature sotto le quali sono nati e cresciuti non ne hanno evidenziato l’amicizia con l’occidente, ma hanno piuttosto sfidato l’occidente e l’America per prima, sul terreno della coerenza delle sue promesse di democrazia e libertà. Il vero colpo ad al Qaeda Obama l’ha inferto non con l’uccisione di Bin Laden, ma con il discorso del Cairo del 2009 – e col fatto che, essendo pronunciato da un presidente americano di nome Barack Hussein Obama, le sue parole sono state prese sul serio.
Infatti, da quelle piazze al Qaeda è stata totalmente assente: la domanda è di democrazia e libertà, la risposta non sta nel fondamentalismo islamico, nella religione usata strumentalmente per fini politici. Terzo. Si può leggere l’esultanza americana come una sorta di sentimento di liberazione. Non la gioia per la morte di un uomo, ma per la fine di un incubo e del suo simbolo. Attenzione. A volte la fine dei simboli consente il perpetuarsi degli incubi. Credo che il ruolo di bin Laden in al Qaeda fosse poco più che simbolico, per non parlare della ormai relativa marginalità dei legami tra al Qaeda e quei talebani che, se tornassero al potere in Afghanistan, farebbero strage di afghani e non solo. Se la fine del simbolo bin Laden fosse usata come premessa, in Afghanistan, per quel “missione compiuta” che ogni presidente americano ha voglia e bisogno di dire, e del conseguente frettoloso seppur preannunciato disimpegno, temo ci ritroveremmo presto in un mare di guai.
Se è vero che l’intervento in Afghanistan è iniziato per al Qaeda, oggi Afghanistan e al Qaeda non sono sovrapponibili: c’è un lavoro da fare in Afghanistan (innanzitutto per proteggere le donne afghane e tutti coloro che in questi anni hanno creduto in un tentativo di democrazia), e c’è un lavoro non più così prioritario da fare contro al Qaeda (non più prevalentemente in Afghanistan, come la localizzazione del nascondiglio di bin Laden ci ricorda).
Quarto. Al contrario, forse l’uccisione del simbolo servirà a completare il cambio di registro, nella politica estera americana. Oggi i timori di ripercussioni immediate sono troppo forti per potersi permettere altro che non sia un «la lotta al terrorismo continua ». Ma forse col passare delle settimane l’assenza del “simbolo del male” consentirà all’America di superare del tutto la retorica e la politica del “bene contro il male”.
Un primo fondamentale passo lo ha già fatto Obama con la distinzione netta tra Islam e al Qaeda, al Cairo nel 2009 ed ancora ieri notte («l’uccisione di bin Laden non è un colpo contro l’Islam, perché i capi di al Qaeda non sono leader musulmani»). Per archiviare definitivamente lo scontro di civiltà, una volta tramontato l’angelo Bush, forse era necessario tramontasse anche il diavolo Bin Laden.
Se ci sarà da festeggiare, quindi, lo si potrà capire solo tra qualche mese. E non sarà per la morte di un uomo, ma per la fine di una politica. Dipenderà da cosa Obama, al netto della campagna per la rielezione, deciderà di fare di questo 1–0. Continuare a far credere che si sta giocando una partita, o dichiarare che dopo dieci anni è, finalmente, finita.

da Europa Quotidiano 03.05.11