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"Parità, che sconosciuta. Nella corsa a sindaco la carica dei maschi", di Alessandra Rubenni

Da Nord a Sud, in tutte e 18 le regioni italiane in cui dopodomani si andrà alle urne, le donne candidate a sindaco bisogna cercarle col lanternino. Potere, politica: faccende da uomini. E così è per queste amministrative, che si fermano al 14% di “quote rosa” fra quanti aspirano alla poltrona di primo cittadino, contro l’86% di candidati maschi. Sul totale di 3.976 candidati in tutta la Penisola, 3.419 sono uomini, 557 donne. Roba di cui andare poco orgogliosi. «Di certo siamo lontani dalle best practices del Nord Europa, dove la parità di genere è stata raggiunta pressoché ovunque. Per non parlare della Finlandia, dove è
assoluta», commenta Debora Serracchiani, parlamentare del Pd a Bruxelles, proprio nella legislatura che ha visto toccare la quota del 35% di donne fra i deputati europei. «C’è ancora da fare, ma è più di quanto avvenga in Italia», continua Serracchiani. E passando dal Parlamento a città e paeselli, nei 1.315 comuni chiamati al voto per il rinnovo dei sindaci, in ben 800 non c’è neanche una donna fra i candidati sindaci. Lì le sfide saranno tutte al maschile, dicono i dati di Anci e Viminale. «Per ilPd – sottolinea ancora la parlamentare europea – la parità di genere è uno dei principi fondamentali inserito nello statuto. Nelle nostre liste la presenza di donne è in media del 40%, ma in alcuni casi raggiunge anche il 50%». Il centrodestra non fa lo stesso? Beh, oggi «il 50% della popolazione è sottorappresentata, c’è un problema di riconoscimento di diritti.
Evidentemente per il centrodestra non è una priorità. Del resto un problema culturale c’è, in larghissima maggioranza il candidato sindaco è uomo. E anche questa discussione è il segnale di un’arretratezza culturale che dobbiamo superare. Solo in Italia, per l’introduzione delle quote rosa nei Cda, ho assistito a una discussione per allontanare l’entrata in vigore della legge, perché mancherebbero le donne con competenze adeguate: semplicemente assurdo!».
Ma a sinistra e a destra le misure, evidentemente, restano diverse. Così, per un’Anna Finocchiaro che da Napoli esorta a usare il voto di domenica «per dare un forte segnale al Paese per riequilibrare la rappresentanza di genere», perchè «portare più donne preparate e competenti nei consigli comunali serve alla democrazia e al buongoverno delle città», e ancora, per una Marina Sereni che invita gli elettori a «sostenere le donne nelle liste del Pd», a Milano c’è una ricandidata Letizia Moratti, voce del Pdl, che con la sua platea ammette apertamente: «se vi promettessi il 50%di donne in giunta non sarei onesta». Tutto questo, mentre lo stesso ministro alle Pari Opportunità, Mara Carfagna, insieme all’Anci si rivolge ai futuri amministratori delle città per chiedere una giusta rappresentanza femminile nelle prossime giunte, perché quella attuale «è troppo bassa». Obiettivo che le donne del Pd si sono assicurate da tempo, a Bologna, perlomeno col loro candidato, Virginio Merola, che in caso di vittoria ha promesso un governo “rosa” per metà. In attesa che, magari, diventino legge le proposte di riforma del voto che puntano alla parità di genere nelle pubbliche amministrazioni (un progetto c’è per le elezioni comunali, e l’Unione delle Province chiede sia esteso anche alle provinciali). La maglia nera a proposito di “quote rose” fra i candidati, nel frattempo, la vince la Campania, con 30 donne in corsa per le 151 poltrone da sindaco disponibili, contro 385 candidati maschi, con una sproporzione del 7% contro il 93%. Alle Marche, invece, il (ben modesto) primato opposto, con 29 comuni al voto e 77 candidati sindaco, di cui 15 donne, pari al 19,5%.

L’Unità 13.05.11

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Le donne nei Comuni un’opportunità non colta

Le elezioni amministrative sono imminenti. Si vota in 1177 Comuni e 9 Province. Le elezioni saranno un’opportunità per aumentare la presenza femminile nelle amministrazioni locali? Avremo più donne alla guida dei nostri Comuni? Le candidature femminili nelle grandi città sono cresciute di circa il 10% – per effetto di un incremento del 30% circa nelle liste del centro-sinistra e del 10% in quelle di centro-destra – rispetto alla tornata precedente (si veda Il Sole 24 Ore di lunedì 9 maggio), ma basterà questo per convincere gli elettori?
L’empowerment politico femminile è un tasto dolente in tutti i Paesi. Secondo i dati del World economic forum, solo il 18% della distanza tra il potere politico maschile e femminile nei Parlamenti e Governi nazionali è stato colmato. Le donne nel Parlamento europeo sono il 35%, ma se guardiamo ai singoli Paesi si passa, per la Camera dei deputati (o camera unica) da percentuali superiori al 40% in Svezia, Olanda, Finlandia al 21% italiano. Come evidenziano i dati, le difficoltà di essere eletti al Senato sono maggiori: in Italia solo il 18% delle donne ce la fa e, con l’eccezione di Finlandia, Spagna – che negli ultimi anni per precisa volontà politica ha fatto passi da gigante – Norvegia, Svezia e Belgio, meno del 30% dei ministri è donna. In Italia le ministre sono cinque, di cui tre senza portafoglio.
Ma cosa succede a livello locale? Un’ipotesi da esplorare potrebbe essere che alle poche donne elette o con incarichi di governo a livello nazionale o federale corrisponde però una loro presenza più significativa a nelle amministrazioni locali. L’ipotesi di scuola è che poiché le donne si sono affacciate più tardi degli uomini nell’ambito della politica, stanno facendo ancora la gavetta nelle amministrazioni locali, poi, eventualmente, approderanno in numeri maggiori a Parlamento e Governo nazionale.
A confermare questa ipotesi guardiamo il caso della Francia: la rappresentanza femminile in Parlamento è ferma a circa il 20%, mentre le donne rappresentano il 48% nei consigli regionali.
Questo non sembra tuttavia accadere nel nostro Paese. Nelle Province le donne sono solo il 12% dei consiglieri e il 6% degli assessori; nei Comuni il 19% dei consiglieri e il 6% degli assessori. Il valore più alto di assessori si registra in Emilia Romagna, dove comunque non superiamo l’11% di donne nelle giunte comunali. Qualche cambiamento nel tempo c’è stato. Mentre negli anni 80 solo tre donne su 100 avevano la carica di sindaco, gli ultimi dati disponibili indicano che il numero di donne sindaco è salito a circa 10 su 100. La crescita della rappresentanza femminile è stata simile tra le varie aree del Paese. I sindaci donna guidano con più probabilità Comuni dove il livello di reddito è più elevato, al Nord piuttosto che al Sud; grandi o piccoli non fa differenza.
Ci auguriamo che le prossime elezioni confermino e accelerino il trend positivo. Ma guardando i nomi dei candidati sindaco nelle principali città non ci aspettiamo (purtroppo) grandi rivoluzioni di genere. Peccato. Perché le donne in politica possono rappresentare un’opportunità di rinnovamento e miglioramento della qualità della classe politica. Il numero medio di anni di studio delle donne italiane presenti nelle amministrazioni locali è superiore a quello degli uomini. Come nel mercato del lavoro, è attivo un meccanismo di selezione positiva, per cui solo le donne più qualificate sono presenti in politica.
Se gli anni di studio sono una proxy della qualità dei politici, come suggerito da molti studi recenti, un maggior numero di donne in politica, partendo dalle amministrazioni locali, potrebbe avere effetti positivi sui Governi del nostro Paese. Possiamo perdere questa occasione?

Il Sole 24 Ore 13.05.11