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"Le gare nel settore idrico servono davvero? Alcune riflessioni sul primo quesito referendario", di Anna Bottasso e Maurizio Conti

Il primo quesito si propone di abolire integralmente l’art. 23-bis del D.L. 112/08 che prevede, come modalità standard di affidamento dei servizi pubblici locali, il ricorso alla gara o l’affidamento diretto a società miste, nelle quali però il socio di minoranza privato abbia compiti di gestione e sia scelto tramite gara.
Occorre subito constatare che, per quanto riguarda il primo referendum, i promotori abbiano alcune ragioni nel criticare l’assetto di governance del settore idrico disegnato dall’ art. 23 bis. Infatti, il settore idrico non sembra essere il più adatto per l’adozione di forme di concorrenza per il mercato. Il settore è ad alta intensità di capitale (soprattutto la fase della distribuzione, ma anche le fasi a monte, nel caso sia necessaria la costruzione di invasi artificiali) gli investimenti previsti nei prossimi trent’ anni sono ingenti (ben oltre i 2 miliardi di euro, secondo una stima conservativa del Centro Studi Utilitatis); inoltre, gli assets hanno vita utile vicina al secolo, sono non recuperabili e difficilmente valutabili (soprattutto nel caso delle reti) e le asimmetrie informative tra incumbent e potenziali entranti sono potenzialmente pervasive. La teoria economica ha mostrato come in queste circostanze la concorrenza per il mercato potrebbe non selezionare il miglior concorrente e determinare livelli di investimento sub-ottimali. In secondo luogo, poiché la normativa prevede l’affidamento dell’intero servizio idrico integrato (piuttosto che singole fasi della filiera) il disegno di gara diventa necessariamente complesso e quest’ultima si riduce ad un beauty contest. Inoltre, la necessità di concedere affidamenti di lunga durata rende molto probabile la rinegoziazione del contratto di concessione, una fase questa nella quale le Autorità di ambito o gli enti che le sostituiranno potrebbero essere “catturate” dal gestore soprattutto in assenza di una Autorità indipendente dotata di sufficienti risorse e competenze tecniche adeguate: in questo caso, la possibilità per il gestore di imporre aumenti tariffari eccessivi in fase di revisione del Piano di Ambito non è sicuramente una remota eventualità. Per questi (e altri) motivi, riteniamo che la fiducia che il Legislatore ha posto nel ricorso alla gara come modalità standard di affidamento dei servizi pubblici locali sia, nel caso del settore idrico, largamente mal riposta, a meno di non ripensare integralmente sia l’assetto industriale (in relazione alla dimensione ottimale degli ambiti e al grado di integrazione verticale) che regolatorio del settore. Da questo punto di vista, la recente creazione di una Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche prevista dal governo nel “Decreto Sviluppo” approvato dal CdM il 5 maggio, va sicuramente nella giusta direzione, sebbene le riserve espresse sulla scarsa inidoneità del servizi idrico, cosi come configurato in Italia, all’utilizzo delle gare, permangono.
In ogni modo, l’Agenzia dovrebbe avere, tra gli altri, i compiti di definire i livelli di qualità del servizio, di predisporre il metodo per la determinazione delle componenti della tariffa, di approvare i piani tariffari stabiliti dalle autorità competenti e di fissarne i criteri per la revisione periodica. I componenti dell’Agenzia sono nominati dal governo e stanno in carica per tre anni (rinnovabili una sola volta) con parere vincolante a maggioranza dei 2/3 delle commissioni parlamentari competenti. Il Decreto Sviluppo prevede che il finanziamento dell’Agenzia avvenga tramite una tassa dell’ uno per mille sui ricavi degli operatori e che il personale sia comandato da altre amministrazioni (con oneri a carica dell’amministrazione di competenza) in misura non superiore alle quaranta unità (per un raffronto, l’autorità dell’energia ha un personale di circa 180 unità). Il Decreto rinvia poi alla normativa secondaria per la definizione delle finalità, dei compiti istituzionali e delle modalità di funzionamento dell’Agenzia: da tale normativa si capirà se l’Agenzia sarà dotata di poteri (e risorse) incisivi o se la sua creazione risponda unicamente allo scopo di contribuire a far mancare il quorum al referendum.
Il fatto che la concorrenza per il mercato sia di difficile applicabilità nel caso del settore idrico è confermata peraltro anche dal fatto che in Europa solo la Francia ne abbia fatto un uso davvero esteso e che in Inghilterra, al momento della privatizzazione del 1989, il governo abbia rigettato esplicitamente il modello francese delle gare, insistendo invece sulla regolazione economica e la concorrenza per comparazione. In Inghilterra, recentemente, il governo ha condotto una analisi approfondita (la cd Cave Review) sulla possibilità di riformare il settore al fine di introdurre più concorrenza nel settore: le proposte tuttavia non contemplano sostanzialmente alcun ruolo per la concorrenza per il mercato, puntando invece a liberalizzare (parzialmente) le fasi potenzialmente concorrenziali (l’ estrazione e il trattamento), mantenendo ferma la regolamentazione delle reti di distribuzione.
Tornando al caso italiano, non riteniamo che, una volta a regime, l’art 23 bis comporterebbe necessariamente il massiccio ingresso di imprese private nel settore: infatti, appare necessario sottolineare come -tenuto conto delle asimmetrie informative esistenti tra incumbent e potenziali entranti- non sia da escludersi uno scenario in cui un numero non trascurabile di gare si concluda con la conferma dell’incumbent (semi) pubblico, in virtù della rendita informativa di cui gode e per i conflitti di interesse esistenti in fase di gara: infatti quest’ultima sarà gestita da un ente pubblico spesso in conflitto di interesse, poiché la normativa italiana prevede il ricorso alla gara non come facoltà dell’ente pubblico responsabile del servizio (come in Francia), bensì come modalità standard di affidamento del servizio, consentendo però all’impresa pubblica -anche se strettamente legata all’ente pubblico concedente- di partecipare alla gara stessa. Pertanto, sebbene la vittoria del sì probabilmente non stravolgerebbe l’assetto del settore idrico che potrebbe determinarsi a seguito dell’entrata a regime dell’art. 23 bis, essa comporterebbe invece l’eliminazione della possibilità per gli enti locali di ricorrere allo strumento della gara in altri settori (trasporto pubblico locale in primis, alcune fasi della filiera dei rifiuti) che, per le caratteristiche che li contraddistinguono (minore rilevanza dei costi affondati, possibilità di procedere ad affidamenti per brevi periodi, etc.) sembrerebbero invece potenzialmente adatti ad un utilizzo estensivo della concorrenza per il mercato.
A nostro modo di vedere il vero problema del settore idrico italiano in questi anni è stato l’assenza di una Autorità incaricata di determinare tariffe che da un lato garantiscano una equa remunerazione del capitale investito solo ad imprese (pubbliche o private) ragionevolmente efficienti (e che abbiano effettivamente realizzato gli investimenti programmati) e dall’altro di assicurare alle imprese di non vedere espropriati i propri investimenti. Se l’Agenzia istituita dal governo avrà queste caratteristiche, il fatto che il gestore sia pubblico o privato, selezionato con o senza gara, potrebbe rivelarsi, in fin dei conti, un problema di secondaria importanza. Se l’Agenzia si rivelasse invece sotto-dimensionata, scarsamente finanziata, con poteri non ben definiti, soprattutto in relazione con quelli degli enti locali responsabili del servizio, l’assetto attuale della governance del settore idrico italiano rischia di perpetuare l’esistenza di monopoli pubblici o semi-pubblici regolati in modo insufficiente e poco chiaro, quindi scarsamente incentivati sia ad investire sia a perseguire incrementi di efficienza e di qualità e proni a trasferire sugli utenti, sotto forma di incrementi tariffari e più bassa qualità del servizio, le inefficienze tipiche del monopolio malamente regolamentato, sia esso pubblico o privato.

da www.nelmerito.com