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«La responsabilità è parola chiave per il cambiamento», intervista a Don Luigi Ciotti di Massimiliano Amato

Dobbiamo saldare le parole ai fatti, le speranze ai progetti, la memoria al fare, i diritti alle opportunità, la conoscenza alla responsabilità», dice don Luigi Ciotti al termine di una giornata intensa: mattinata a Palermo, per ricordare Paolo Borsellino e gli angelidella scorta, serata a Roma, in piazza del Pantheon, per una fiaccolata organizzata da Libera “contro tutte le mafie” con i giovani del Lazio. Una regione al sesto posto in Italia per beni confiscati alle cosche (199 immobili e 111 aziende), «a testimonianza cheRoma è diventata terreno di conquista perché c’è posto per tutti».
Lei parla di rassegnazione come malattia mortale: ne vede parecchia in giro?
«Ho fatto un richiamo alla responsabilità, parola svuotata di ogni significato. Se lo vogliamo veramente, il cambiamento dobbiamo viverlo in noi stessi. Altrimenti le cose resteranno immutabili. Si guardi in giro: cresce l’impoverimento delle famiglie, cresce il penale a scapito del sociale, e la gente ha smarrito profondità. Siamo nell’epoca del pensiero sbrigativo».
E le mafie ingrassano.
«Ingrassano perché riescono a dividere. Le ultime operazioni di magistratura e forze di polizia nelle regioni del Sud aggredite dalla criminalità organizzata hanno portato alla luce un dato inquietante. Molti degli arrestati non facevano parte del circuito familistico delle mafie, ma erano giovani reclutati dalle organizzazioni perché senza lavoro, senza orizzonti. Dove sono finite le politiche sociali in questo Paese? Dove sono le politiche per il lavoro? Dov’è la responsabilità?».
È questa la parola d’ordine della nuova stagione antimafia?
«Deve diventarlo. La responsabilità viene prima della legalità, che non può e non deve essere l’obiettivo, che resta la Giustizia. Stamattina mi sono raccolto in preghiera davanti all’Ulivo di Palermo. È cresciuto, me lo ricordo piccolo. Sotto quell’albero nel ‘96 consegnammo alla Presidente della Camera Pivetti le 500mila firme necessarie per la legge sulle confische. Come l’Ulivo di Palermo, quel testo ha dato buoni frutti. Ma guai ad abbassare la guardia.
Appunto: l’aggressione ai patrimoni mafiosi c’è, ma poi?
«Ci sono dei dati di positività il cui impatto reale è ridimensionato dalle criticità. I beni sottratti alle consorterie criminali sono solo in parte riutilizzati. Il 45% di essi si trova sotto ipoteca bancaria. È un problema enorme per le associazioni. Si è creato un nodo che è tecnico e politico al tempo stesso. L’Agenzia per i beni confiscati ha lavorato bene, ma adesso c’è un avvicendamento in atto che rallenta molte operazioni».
Le coop promosse da Libera stanno innescando rivoluzioni nei territori controllati dalla malavita.
«In questi giorni, e per tutta l’estate, avremo 4500 giovani provenienti da tutta Italia che trascorreranno le vacanze lavorando nelle cooperative sociali che gestiscono attività economiche sui beni confiscati. Potevamo averne almeno il doppio, abbiamo dovuto dire molti no perché non c’erano più strutture a disposizione. Siamo stati costretti a stabilire delle turnazioni, riducendo il periodo di permanenza dei gruppi all’interno delle aziende».
Qual è l’identikit di questi giovani?
«Età media sui vent’anni e grande entusiasmo. Ragazzi che fanno un investimento forte sulla loro vita, sull’impegno sociale. Si mettono in gioco, dedicando le loro vacanze al lavoro».
Ha seguito la polemica sul 41 bis, con Palazzo Chigi che prima ne ha auspicato un affievolimento e poi ha fatto marcia indietro?
«Continuo a vedere atteggiamenti schizofrenici. Annunciano guerra alle dipendenze e poi per fare cassa ampliano la sfera del gioco d’azzardo, che genera dipendenza. Il problema più grave delle carceri resta il sovraffollamento. Ma solo perché migliaia di persone non dovrebbero stare lì. E invece, la Bossi – Fini, la legge sulla droga, la ex Cirielli hanno dilatato la sfera del penale.
E in carcere ci finiscono solo i poveracci».

L’Unità 20.07.11