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"Destra, uguaglianza e omofobia", di Carlo Galli

Vi sono numerosi significati politici nella decisione del Parlamento – espressa a maggioranza, in una votazione che ha visto l´opposizione spaccarsi e l´Udc, com´era prevedibile, accogliere l´opinione della destra – che sia giusto non considerare l´omofobia l´aggravante di un reato (non si dice neppure un reato in sé), poiché una tutela speciale per gli omosessuali colpiti da violenza non sarebbe costituzionale, e violerebbe il principio di uguaglianza, cardine della politica moderna e della Costituzione repubblicana.
È questo pathos per l´uguaglianza a suonare falso, stonato. Infatti, la destra non ama l´uguaglianza. Lo dimostra con le manovre inique – che tolgono ai poveri e al ceto medio per non toccare i ricchi (in Italia come negli Usa), e che colpiscono il pubblico impiego in misura nettamente superiore agli altri gruppi sociali; lo dimostra nella ricerca, ossessivamente iterata, della diversità davanti alla legge, a favore dei politici in generale e dei membri del governo in particolare (fino al ridicolo di votare la ministerialità di privatissimi reati ascritti al capo del governo); lo dimostra con il pugno di ferro contro irregolari, clandestini e altre categorie debolissime; con la difesa a oltranza dei più svariati corporativismi; col privilegiare ideologicamente la “famiglia” tradizionale rispetto a ogni altra libera unione. Anzi, chi propugna l´uguaglianza davanti alla legge, chi si scandalizza per preferenze e privilegi – personali o di casta – è tacciato di “relativismo morale”, di “giustizialismo” o anche (crimine orrendo) di “giacobinismo”. Per chi vuole l´uguaglianza sociale, o almeno un po´ di welfare, poi, è pronta l´accusa di “comunismo”.
Eppure, in alcune circostanze, dell´uguaglianza la destra è strenua fautrice. Quando si tratta di togliere autonomia a categorie potenzialmente scomode – ai magistrati come ai professori universitari – ; quando si tratta di operare tagli “lineari” ai bilanci dei ministeri (interventi che trattano in modo uguale ciò che è diseguale, e che esigerebbe discernimento e non ottusità) – ; quando si tratta di togliere ai deboli qualche superstite protezione; allora è “cieca alle differenze”, allora è implacabile come la Nemesi. E unisce la Spada alla Bilancia, il rigore all´imparzialità, come la dea della Giustizia. Tutti uguali davanti alla Maestà della Legge devono essere i cittadini; nessun privilegio; nessuna speciale guarentigia!
In realtà, i conti tornano: non c´è sorpresa né contraddizione. Ci sono soltanto i consueti paradossi della destra, che ne costituiscono l´essenza profonda. Lasciare che i diversi restino diversi, che gli svantaggiati restino svantaggiati, che i discriminati restino discriminati; non correggere col favore lo sfavore; non controbilanciare lo sbilanciamento; non vedere il pregiudizio, considerarlo un´opinione privata e libera, e colpire semmai solo gli eventuali reati che esso genera, senza neppure considerarlo un´aggravante: questa è l´imparziale giustizia della destra; questa è la libertà che difende. La sua uguaglianza è disuguaglianza. Il suo ius è summa iniuria. La sua deferenza alla Costituzione – e al suo impegno a promuovere l´uguale dignità dei cittadini – del tutto strumentale: infatti, il consueto panorama civile e sociale di destra, fatto di burroni e di scoscendimenti, di strappi e di asperità, di differenze e privilegi, è del tutto confermato da questo preteso ugualitarismo. Ciò che sembra moderno – l´uguaglianza davanti alla legge – rafforza, non volendolo neppure vedere, l´eterno passato della discriminazione e della riprovazione sociale.
La verità è che l´ideale della destra non è l´uguaglianza ma la società organica e conformista, benché attraversata da differenze sociali; un ideale opposto a quello della democrazia pluralistica, in cui proprio le differenze sono politiche, prendono la parola, esigono diritti e riconoscimento. La verità è poi che la maggioranza del Parlamento degli inquisiti, e il suo governo fantasma, conservano una disperata vitalità: dall´interno del bunker vengono difese proprio le cause peggiori e più impresentabili. Dapprima, la legge fondamentalista sul testamento biologico, e ora questa ipocrita negazione di ciò che è sotto gli occhi di tutti: ovvero che l´omofobia esiste, che spinge a odiose violenze, e che il sistema giuridico non può ignorarne il potenziale di aggravamento, soggettivo e oggettivo, della violenza.
La verità, infine, è che la falsa e paradossale autonomia della politica – che fa sì che questa impegni la propria forza residua per lasciare che ciò che è storto resti storto, per confermare l´esistente o per assecondarne i difetti – è la più grave malattia del nostro Paese. Il quale ha bisogno di riconciliarsi con la politica, e lo potrà fare soltanto se questa interpreterà la propria autonomia in senso positivo, cioè non come ricerca di scappatoie interessate e furbizie ideologiche ma come piena assunzione di responsabilità davanti a una società che ha bisogno, urgente e radicale, di riforme.

La Repubblica 28.07.11