L´anziana volpe e il malandato gatto che fingono di governare l´Italia nella bufera delle crisi si dimostrano ogni giorno più separati dalla realtà. Silvio Berlusconi è appena tornato dai bagordi russi per il compleanno dell´amico Putin e ritrova sul tavolo di lavoro le cifre di un dramma economico che non ha né la capacità né la voglia non si dice d´affrontare, ma neppure di riconoscere. Da molto tempo l´agenda dei problemi del Paese non coincide con quella del premier, peraltro affollata di numeri di telefono di escort e pregiudicati. Umberto Bossi si muove ormai circondato da una corte di parenti, carrieristi e questuanti, il cosiddetto “cerchio magico”, che gli nasconde dalla visuale i fatti concreti. A cominciare dai profondi e crescenti malumori della base leghista. Ieri il fondatore del movimento è stato addirittura contestato a Varese, come dire la culla del bossismo, che oggi è diventata l´epicentro dello scontro fra le due leghe. Quella che vuole morire berlusconiana, incarnata da Bossi e dalla sua corte, e l´altra guidata da Maroni e già proiettata nel dopo Berlusconi.
Sullo sfondo di questa pagliacciata c´è purtroppo la tragedia di un paese che anche oggi accumulerà altri trecento milioni di debito pubblico e brucerà un altro pezzo di futuro dei suoi giovani per mantenere al potere due leader bolliti e screditati. Mentre il premier racconta facezie e Bossi sciorina il suo repertorio di gesti osceni, in molti ambienti internazionali si dà ormai per possibile, probabile o certo il default dell´Italia nel volgere di pochi anni. Non si tratta di un malevolo complotto delle agenzie di rating, magari comuniste pure loro, ma dell´inesorabile legge dei numeri. L´attuale maggioranza di governo, poggiata sull´asse Berlusconi-Bossi, ha preso il governo nel 2001 con un debito pubblico di 1300 miliardi e l´ha portato a 1900 miliardi in un decennio, dal 100 al 120 per cento del Pil, con il breve e relativamente virtuoso intervallo del secondo governo Prodi. Nella storia dei governi repubblicani nessuno era riuscito a fare peggio, neppure i governi Craxi. Se non s´inverte la rotta da subito, il debito pubblico italiano fra cinque anni potrebbe toccare il 150 per cento del Pil, ma probabilmente saremo falliti prima. Ora, quale inversione di rotta è in grado di garantire il governo Berlusconi-Bossi? Un altro condono fiscale, come le decine che l´hanno preceduto e si sono rivelati il più formidabile viatico in primis all´evasione fiscale e quindi all´impazzimento dei conti pubblici? Un´altra promessa di riforme epocali? Ma le riforme questa maggioranza non le ha fatte quando aveva maggioranze mai viste in Parlamento e un consenso larghissimo fra gli italiani. Non esiste una possibilità su un milione che le porti a termine ora, un anno prima delle elezioni, con i sondaggi in caduta libera e una maggioranza Scilipoti-dipendente.
Da un punto di vista politico, verrebbe da dire del ceto politico, votare questa primavera o la prossima non cambia molto. Il governo Berlusconi-Bossi è sceso sotto un livello di gradimento che non prevede risalite. Ma per i tempi rapidi dell´economia un altro anno di agonia politica della coppia significa la differenza fra la speranza di scampare alla catastrofe e la certezza di finirvi dentro. E´ il semplice calcolo che ha spinto uno statista discutibile come Zapatero, ma pur sempre uno statista, a rassegnare le dimissioni e indire elezioni anticipate in Spagna. E´ quello che ha detto e poi finto di smentire il ministro Tremonti. Quanti anni di sacrifici costerà ai ragazzi di oggi la disperata resistenza al potere di due vecchi illusionisti?
La Repubblica 10.10.11
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Il premier rilancia la “campagna acquisti”, di CARMELO LOPAPA
Si è convinto che «una regia esterna stia provando a mettere insieme i pezzi, ad approfittare dei malumori interni per farmi fuori». E si dice altrettanto certo che «falliranno anche stavolta». È appena rientrato ad Arcore dal piacevole weekend in dacia tra San Pietroburgo e Mosca. «Ritemprato, tonico e motivato» come racconta un uomo di governo che lo ha sentito. E il Cavaliere offre già nel pomeriggio ad alcuni dei suoi al telefono la sua lettura di quanto sta maturando negli ultimi giorni a Roma. «Io mi occupo di cose serie, sono già al lavoro sul decreto sviluppo» lascia trapelare ostentando sicurezza. I malpancisti «non hanno dove andare», insomma, lo sfiducino se ne sono capaci. Confida nel fatto che il fortino delle Camere reggerà come avvenuto il 14 dicembre, come sempre. Il fatto è che i «frondisti» (che detestano essere definiti tali) sono pronti ad andare fino in fondo, come mai in passato: «Non hanno capito che facciamo sul serio» raccontano in anonimato. La promessa di un faccia a faccia Alfano-Scajola per metà settimana, forse mercoledì, non avrebbe sortito gli effetti sperati. Anche perché l´ambasciata informale è già avvenuta, l´offerta si concretizzerebbe in «ruoli di peso» nel partito, negli organismi dirigenti locali che si stanno formando, addirittura un posto da ministro per lo stesso Scajola. Magari, azzarda un berlusconiano della cerchia ristretta, dopo uno spacchettamento del ministero dell´Economia e la concessione a Tremonti del governatore di Bankitalia Vittorio Grilli. Paolo Romani si sposterebbe e lascerebbe così vacante il ponto da restituire all´ex ministro ligure due anni dopo. Ma né Scajola né i suoi mangiano la foglia, per lo spacchettamento occorrerebbe modificare la legge Bassanini, ragionano, un decreto non basterebbe, non ci sono i tempi, ammesso che bastasse. Il gruppo dei dissenzienti tra Camera e Senato resta compatto e acquista peso. Deputati e senatori si vedranno martedì sera, e all´incontro, con i due big Pisanu e Scajola, dovrebbe partecipare anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno che con i suoi ha confermato ieri la propria disponibilità ad andare a «vedere le carte». È la conferma di quanto la partita si faccia complicata per Berlusconi. Quanto sia diventato concreto il rischio di una crisi al buio.
Il premier ha perciò deciso di rimettere in pista l´artiglieria pesante. In una riedizione della campagna acquisti in stile 14 dicembre. Il segretario Pdl è l´ambasciatore ufficiale con Scajola, ma le trattative, quelle «vere», il Cavaliere le ha delegate a Denis Verdini. Il coordinatore, destinato a indossare i panni del Mr. Wolf di Pulp Fiction («Risolvo problemi») è stato lanciato in una sorta di «caccia all´uomo». Nel mirino, uno per uno, gli scajoliani. Alcuni sarebbero stati già avvicinati. Altri lo saranno a Montecitorio. L´obiettivo è fare terra bruciata attorno all´ex ministro: l´unico big dissidente che nel radar di via dell´Umiltà è considerato davvero «pericoloso» perché dotato di «truppe». Si va dalla proposta della ricandidatura, all´invito a desistere da documenti di rottura o sfiducia, se non si vorrà vedere compromessa appunto la rielezione. Loro non desistono, per ora: «Nuovo governo e nuovo programma». Anche se a Palazzo Chigi smorzano. «Si tratta solo di un dibattito interno, che non darà luogo ad alcuna frattura – sostiene il portavoce del presidente, Paolo Bonaiuti – L´unità del Pdl è sempre prevalsa e sarà così anche questa volta». Qualcun altro, come il sottosegretario Daniela Santanchè, ricorda che «siamo alla vigilia dei congressi, posizionamenti e dibattiti sono fisiologici: Scajola e Formigoni non lasceranno. Di più: è imminente un ulteriore allargamento della maggioranza». Tatticismi e guerra di posizione. Molto interna al partito, in cui ieri non è passato inosservato l´ennesimo giuramento di fedeltà di Angelino Alfano («Berlusconi non si accantona»), dopo che il segretario era finito in un cono d´ombra per aver alluso in un intervento a Milano alla debolezza del premier. L´ex Guardasigilli resta dunque al suo fianco nel bunker, chiudendo le porte a Casini, a Formigoni e a chi nel Pdl chiede una svolta.
In questo clima, non proprio dei migliori per la maggioranza, si apre la settimana cruciale del ddl intercettazioni alla Camera. Ma il governo è atteso al varco soprattutto sul decreto sviluppo, rimasto finora una scatola vuota a dispetto della «scossa» invocata da Scajola. Anche oggi da Arcore il premier sentirà alcuni esperti di economia per lavorare alle misure, che difficilmente vedranno la luce entro metà ottobre come promesso, e sembra invece abbia deciso per adesso di congelare l´opzione condono. Non solo per i veti di Tremonti, ma anche per quelli di Bossi. Meglio rinviarlo a un prossimo provvedimento. Anche se in via XX Settembre già tremano al calcolo delle ricadute che lo stop and go sul ventilato colpo di spugna potrà avere già sull´acconto Irpef dei lavoratori autonomi a novembre.
La Repubblica 10.10.11