attualità, lavoro

" Fincantieri, niente lavoro a Sestri. E scoppia la rabbia degli operai", di Massimo Franchi

Alle due del pomeriggio Giulio Troccoli, Rsu Fiom, è il primo sindacalista ad uscire dalla porta laterale del ministero dello Sviluppo economico. Corre, i suoi baffi bianchi si sollevano: «Non c’è niente, non c’è lavoro, da domani occupiamo il cantiere», urla a squarciagola. Ce l’ha con gli altri sindacati, rei di non aver aperto bocca mentre l’ad di Fincantieri Giuseppe Bono e il ministro Paolo Romani «si vendevano » come grande risultato il via libera al finanziamento per il ribaltamento a mare del cantiere (50 milioni sbloccati finalmente da Tremonti, gli altri 20 li anticiperà l’autorità portuale) e la convocazione per il 9 novembre (ma il ministero non ha ancora fissato la data) di un tavolo nazionale per un nuovo piano industriale del gruppo. Troccoli è una vera autorità nel settore. Ha già vissuto la chiusura dei cantieri di riparazione Oarn di Genova. E non vuole riviverla. Sestri Ponente ieri si è sdoppiata. A Roma sotto il ministero una cinquantina di operai teneva costantemente informati i compagni che su a Genova presidiavano il cantiere. Quel cantiere che da 200 anni dà lavoro (800 diretti e 150 di indotto) e lustro alla città con il marchio Fincantieri. La linea era bollente. Giovanni e gli altri posavano a terra lo striscione rosso “Il cantiere deve vivere”. Le parole di Troccoli diventano tam-tam sui cellulari producendo l’immediata reazione di chi era rimasto a Genova. In poche ore la rabbia si scarica nelle strade adiacenti al cantiere: danno fuoco ad alcuni cassonetti e bloccano il traffico in via Soliman, una delle principali arterie del ponente cittadino. Gli operai sono terrorizzati per il futuro del cantiere, la cui ultima commessa è «una supercruise da un armatore americano con consegna a marzo». Questa mattina alle 8 l’assemblea deciderà per una nuova occupazione del cantiere, senza escludere altre azioni più clamorose. Finora i sindacati hanno sempre agito unitariamente, perfino sull’occupazione. Ma gli strascichi di ieri rischiano di spaccare il fronte. E sì che invece il tavolo aveva avuto dei risultati positivi. Quasi insperati alla vigilia. E anche il leader della Fiom Maurizio Landini lo riconosceva all’uscita, parlando a pochi metri da Troccoli.«Come chiedevamo noi il 9 novembre ci sarà un tavolo nazionale per un nuovo piano industriale, per noi gli stabilimenti devono esserci tutti aperti e diversificati. Nel frattempo abbiamo deciso che anche Fincantieri si unirà a Fiat (e Fs, Ndr) nello sciopero del 21 ottobre perché sono unite dallo stesso problema: tutto ciò che si muove in Italia non ha una politica alle spalle», chiosa Landini. CONTROPIEDE Per spiegare la differenza di reazioni, bisogna partire dalla storia recente di Fincantieri. A giugno il piano industriale di Bono prevedeva la chiusura di Sestri. La lotta di tutti i lavoratori del gruppo, con Castellammare e Sestri in testa, ha portato al ritiro del piano. Nel frattempo però Bono ha lavorato «in contropiede », firmando accordi con i sindacati locali nei vari stabilimenti. Anche la Fiom ha firmato a Monfalcone; Fim e Uilm in tutti. Su Sestri non c’erano certezze e quindi il tavolo ministeriale era convocato senza accordi precedenti. Ma il ministro Romani non ha potuto che dar ragione alla Fiom che faceva notare come non ha senso fissare gli esuberi se ci sarà un nuovo piano. E così, nell’imbarazzo di Fim e Uilm, si arrivava alla chiusura della riunione. Senza che su Sestri ci fossero impegni sulle commesse, con la prospettiva che «il ribaltamento a duri 5 anni senza che nel frattempo ci sia lavoro, ribaltando solo i lavoratori», spiega Troccoli. A conferma della giustezza delle sue tesi, arrivano le parole del presidente della Liguria Claudio Burlando. «A parte la soddisfazione per il via libera al ribaltamento a mare, l’obiettivo irrinunciabile è ottenere un programma certo di attività a Sestri per tutto il 2012».❖

L’Unità 12.10.11

******

In piazza i 1200 di Sestri “Solo parole, non c’è lavoro”, di Teodoro Chiarelli

Basta un sms da Roma e il Ponente di Genova s’incendia. Letteralmente. «Solo promesse, parole, non c’è lavoro», recita il messaggino inviato da un sindacalista presente all’incontro nella capitale sulla Fincantieri di Sestri. Un attimo, ed esplode la protesta dei 1200 lavoratori del cantiere che nella sua pluricentenaria attività ha visto il varo della corazzata Giulio Cesare, di transatlantici come Roma, Rex, Andrea Doria, Leonardo Da Vinci, Cristoforo Colombo e Michelangelo, delle recenti lussuose navi da crociera per Costa e Carnival. Operai e tecnici escono e bloccano via Soliman, mentre il traffico impazzisce. Gruppi di lavoratori appiccano il fuoco ai cassonetti dell’immondizia, colonne di fumo nero e acre salgono verso il cielo, in mezzo ai palazzoni popolari del quartiere. Arrivano i vigili del fuoco, ma vengono invitati a girare al largo. L’incendio non si tocca, almeno sino a che non diventi realmente pericoloso. Perché fuoco deve essere: per i fotografi, le tv, i cronisti, per ricordare a tutti che mentre si fanno tante parole, il cantiere sta morendo.

Il futuro dello stabilimento genovese resta quanto mai pericolosamente incerto, nonostante le assicurazioni dell’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, che a Roma ribadisce: «Sestri Ponente non chiude». Come spesso avviene nei vertici capitolini (presenti ieri il ministro Paolo Romani, il presidente della Liguria Claudio Burlando, della provincia Alessandro Repetto, il sindaco Marta Vincenzi, i dirigenti di Finmeccanica, i sindacati) c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Gli “ottimisti” sottolineano come dal governo sia arrivato il via libero definitivo a un finanziamento di 50 milioni: la Ragioneria dello Stato ha giudicato «coerente» la spesa necessaria per la risistemazione del cantiere, attualmente diviso in due dalla linea ferroviaria. Con i 50 milioni di euro sarà possibile realizzare un riempimento a mare dove spostare il cantiere, ammodernandone la capacità produttiva. Peccato, però, che come al solito manchi la firma del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti: e si sa come già in altre numerose occasioni siano andate a finire le cose.

Ma soprattutto non è chiaro quale sarà la destinazione finale della produzione di Sestri: sempre navale, come chiedono sindacati e istituzioni, oppure eolico o realizzazione di piattaforme per rifiuti, come ha ipotizzato l’ad Giuseppe Bono? Il presidente della Regione, Burlando, è stato chiaro: «Sestri Ponente è uno stabilimento storico, deve essere salvaguardato come cantiere navale. Ritengo fondamentale assicurarne la continuità produttiva con navi anche minori. Ma comunque navi». Proprio questo è il punto: di commesse per navi, grandi o piccole, neppure l’ombra. Dal governo nessuna garanzia. E lo stabilimento ha lavoro solo fino a marzo. Quando sarà terminata la nave commissionata da “Oceania Cruises”, di lavoro non ce ne sarà più.

Così da oggi riprende l’occupazione del cantiere. Non solo, il segretario generale dei metalmeccanici della Fiom Cgil, Maurizio Landini, annuncia che i lavoratori di Fincantieri il 21 ottobre si fermeranno per otto ore e manifesteranno a Roma insieme a quelli della Fiat. «Non è stato ancora presentato un nuovo piano industriale del gruppo – insiste Landini -. Serve una diversificazione produttiva che porti a non fare solo navi militari o da crociera». Se ne riparlerà nel prossimo vertice, già convocato dal ministro Romani per il 9 novembre. Intanto a Genova la protesta monta e la tensione cresce.
“50 milioni di finanziamenti”

La Stampa 12.10.11