attualità, politica italiana

"Dodici sbadigli e addio rivoluzione", di Massimo Gramellini

Non ho contato gli sbadigli di Bossi perché stavo sbadigliando anch’io. Però mi hanno sinceramente sorpreso. Mai avrei immaginato che uno come lui si mettesse la mano davanti alla bocca. Per fortuna le telecamere hanno tenuto la contabilità al posto mio, immortalando fin nei dettagli la performance dello stregone leghista seduto di sguincio accanto all’Anziano Leader durante il trascinante Discorso della Fiducia: dodici sbadigli in dodici minuti, alcuni davvero molto belli. Smorfie che diventavano conati, fra uno spalancamento di fauci e uno strabuzzare d’occhi. Imperdibile il passaggio in cui Berlusconi cita il federalismo e tenta di fare «pat pat» sulla testa di Bossi, neanche fosse un peluche. Invece la manca clamorosamente e allora procede a tentoni, cercando almeno di cingergli le spalle, mentre l’altro inghiotte il dodicesimo sbadiglio e si sforza di assumere un contegno adeguato alle circostanze. Ma la noia, non potendo più uscirgli dalla bocca, sale negli occhi e gli provoca l’abbassamento delle palpebre.

Gli sbadigli di Bossi potrebbero diventare per Berlusconi quel che per Craxi fu il trauma della canotta. I lettori diversamente giovani ricorderanno ancora l’episodio: era l’estate del 1991 e il segretario socialista stava parlando dalla tribuna del congresso del suo partito, quando sotto la camicia bianca intrisa di sudore apparve in controluce una canottiera senza maniche. Nell’immaginario del potere, l’affioramento della canotta certificò l’esaurimento del suo carisma. A completare l’opera ci pensò l’anno dopo Mani Pulite, ma tutto era cominciato quel giorno.

Gli sbadigli raccontano la fine di un’altra stagione. Be. e Bo., i rivoluzionari che avrebbero dovuto spazzare via la Casta, sono i nuovi professionisti della politica, aggrappati disperatamente alle poltrone da cui sbadigliano o parlano, come il premier, per non dire assolutamente nulla. Nulla di quel che ti aspetteresti dal capo di un governo che è appena andato sotto sulla legge di bilancio, al culmine della crisi economica più drammatica dei tempi moderni. Nessuna visione, nessun progetto, nessun traguardo diverso dal tirare a campare e dall’esorcizzare la propria decadenza agitando il consueto feticcio: la mancanza di alternative migliori di lui, mentre col passare dei giorni lo stanno diventando un po’ tutte, da Gianni Letta agli Inti Illimani.

Di Pietro ha paragonato il Berlusconi di ieri a Wanna Marchi, ma è stato ingeneroso. Verso la Wanna, che almeno vendeva sogni, mentre l’Anziano Leader da qualche tempo commercia soltanto in paure.

Be. & Bo. ricordano certi pensionati seduti al bar davanti a un grappino. Uno borbotta, l’altro sbadiglia. Ed entrambi hanno un solo pensiero fisso: come resistere ancora un po’ per poter lasciare qualcosa ai figli, prima che i Casini e i Maroni si prendano tutto. Il resto è noia.

La Stampa 14.10.11

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“Le rassicurazioni del premier non cancellano l’incertezza”, di MARCELLO SORGI

Rispetto alla confusione del giorno prima, non ha portato grandi novità il breve discorso di Berlusconi alla Camera, anzi a mezza Camera, dato che le opposizioni, con l’eccezione dei cinque deputati radicali, avevano scelto di non partecipare ai lavori per protestare contro le mancate dimissioni del governo. Il Cavaliere ha ribattuto che la mancata approvazione del rendiconto non è stato altro che un infortunio, spiacevole quanto si vuole (ed infatti s’è scusato dell’accaduto), ma al quale non intende dare soverchia importanza politica. Il governo ha chiesto la fiducia e la otterrà oggi grazie anche al fatto che la gran parte dei dissidenti del centrodestra ha confermato che la darà, salvo poi dire che si tratterà di una fiducia a tempo, in attesa di vedere se le loro richieste saranno accontentate. Confermata anche l’intenzione di andare avanti fino al 2013 con il programma di riforme già esposto inutilmente altre volte.

Mai come oggi tuttavia il quadro rassicurante fornito dal premier cozza con la realtà di una crisi economica insistente e di una crisi politica latente. Berlusconi ha parlato con al fianco Bossi che non la finiva di sbadigliare. Nel consiglio dei ministri che ha preceduto il dibattito alla Camera c’è stato un nuovo scontro tra i ministri Tremonti e Romani sulla destinazione dei fondi ricavati dall’asta delle frequenze per i telefonini di quarta generazione: non è certo un buon viatico per le trattative sul prossimo decreto sviluppo, di cui Romani, a dispetto di Tremonti, è stato incaricato direttamente dal premier. La Bce ha ribadito ieri che i paesi europei a rischio, tra cui l’Italia, di cui ha sottolineato l’andamento sofferto e il doppio declassamento subito dalle agenzie di rating, devono prepararsi all’ eventualità di manovre aggiuntive. La Borsa ha fermato la sua ripresa ed è tornata a scendere.

L’Aventino dell’opposizione s’è consumato a beneficio delle telecamere: e in effetti, le immagini dell’aula mezza vuota della Camera hanno fatto rapidamente il giro delle principali edizioni dei Tg. Ma i leader del centrosinistra e del Terzo polo sono rimasti in silenzio solo tra i muri di Montecitorio, affollandosi invece davanti alle telecamere per attaccare duramente Berlusconi e il centrodestra. La soluzione all’ incidente di martedì sarà trovata ripresentando, previo esame della Corte dei conti, il rendiconto al Senato, e solo successivamente alla Camera. Ma la situazione resta molto tesa e a rischio, e difficilmente i prossimi giorni porteranno un chiarimento.

La Stampa 14.10.11