attualità, politica italiana

"Fiducia mutilata", di Ezio Mauro

Dunque il governo è salvo. Ma è politicamente vivo? Questo aveva chiesto Napolitano a Berlusconi dopo il voto negativo sul rendiconto di bilancio: i numeri sono fondamentali, ma davanti all´evidenza di litigi continui nell´esecutivo, di tensioni nella maggioranza, di indecisioni patenti su misure fondamentali, il Premier è in condizione di garantire una tenuta politica del suo governo?
Berlusconi ha risposto con un voto di fiducia risicato e faticoso, dopo una mattinata di fibrillazioni, passata ad inseguire l´ultimo dei cosiddetti “Responsabili” sull´uscio della Camera. Ma non ha potuto rispondere alla vera questione, che riguarda la salute e la forza del suo ministero. Cioè la sua capacità di governare l´Italia, soprattutto in un momento difficile, con la fiducia da riconquistare nei mercati, nelle istituzioni internazionali e nella pubblica opinione.
La crisi latente che sovrasta Berlusconi – e purtroppo il Paese con lui – continua quindi dopo il voto, intatta. Il Premier vanta come una vittoria una fiducia mutilata, dopo aver perso altri pezzi per strada, affondando ogni giorno di più. Non c´è un significato politico, non c´è alcun valore ideale, non c´è più nessuna capacità d´amministrazione in questa avventura che s´incupisce mentre non sa finire.
Al punto in cui siamo, la fiducia non serve per governare, visto che il Premier non sa garantire né coesione né visione. Serve soltanto per comandare, per rimanere chiusi nel bunker del potere, per difendersi e attaccare. Rimanendo a Palazzo Chigi, il Premier non affronterà le emergenze che premono il Paese ma le sue personali urgenze, con la legge sulle intercettazioni e la prescrizione breve. Più che mai il Paese ha bisogno d´altro: e lo avrà.

La Repubblica 15.10.11

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“E tutti si preparano alle urne in primavera”, di CURZIO MALTESE

Il voto di ieri ha notevolmente ridotto le probabilità di due scenari. Quello della maggioranza di poter durare fino al 2013, comprando voti per strada, e quello dell´opposizione di allestire un governo tecnico, di decantazione, di emergenza nazionale, o come si chiama adesso.
A distanza di dieci mesi dal fatidico 14 dicembre, la maggioranza di Berlusconi è appesa ancora al filo di un voto. La campagna acquisti del premier, in pratica l´unica sua occupazione in questi mesi, non ha prodotto risultati. Un voto in più della maggioranza è pochissimo in condizioni normali, meno di niente in piena emergenza economica. Dalla prossima settimana ricomincia il balletto. Basta un malato, un assente, un malpancista dell´ultima ora, un ministro in missione estera, e il governo andrà ancora sotto. Sull´altro fronte è però tramontata l´ipotesi di costringere Berlusconi al famoso passo indietro per varare un governo di transizione che rassicuri i mercati e approvi una nuova legge elettorale. La fronda all´interno di Pdl e Lega è troppo debole o timida per autorizzare scenari di nuove maggioranze. È sempre più probabile, dunque, che si arrivi al voto a primavera, con l´orrendo «porcellum» che in fondo piace a tutti i segretari di partito. Sperando che il sacro mercato, ora diventato «speculazione internazionale», abbia pietà della povera Italia.
Un clima sospeso e febbrile ha accompagnato l´ultimo dei cinquantatre voti di fiducia chiesti dal governo. Voci di mosse e contromosse si sono inseguite per tutta la mattinata a Montecitorio, fino alla comunicazione del voto finale. A quel punto tutto il teatrino dei retroscena si è smontato e a nessuno importava più del caso Sardelli o delle scelte dei radicali per farsi notare nel bene o nel male, senza mai risultare decisivi, nel bene e nel male. Come nelle partite di calcio, un minuto dopo contava solo il risultato. 316 voti, uno in più della maggioranza. Uguale elezioni a marzo. Di questo infatti, un minuto dopo, hanno preso tutti a discutere. Non delle riforme promesse ancora una volta, dopo quindici anni, dal presidente del consiglio. Non di governi istituzionali o tecnici, che magari servirebbero pure al Paese (per mettere in sicurezza i conti pubblici e riformare la «porcata» di Calderoli prima di tornare alle urne), ma che sembrano sempre più difficili da immaginare e da costruire.
Semmai tutti discutevano di quando e soprattutto come arrivare al voto in primavera. Se Berlusconi avrà la forza d´impedire primarie, se candiderà ancora sé stesso o farà il ventriloquo di Alfano. Se Bossi troverà un accordo con l´ala di Maroni o procederà all´epurazione dalle liste, come gli suggerisce il «cerchio magico». Se Bersani troverà un «papa straniero» alla Prodi per mettere d´accordo le anime del centrosinistra o affronterà il sanguinoso scontro delle primarie contro Vendola, Di Pietro e magari Matteo Renzi. Per scendere ai dettagli, comunque non irrilevanti, ci si chiedeva anche se Berlusconi riuscirà ad arrivare al voto con una Rai militarizzata o se per esempio i vertici Rai si decideranno a rimuovere il direttore del Tg1 Minzolini, rinviato a giudizio per reati contro l´azienda segnalati dalla Corte dei conti. Qualcuno ricorderà che la Rai chiuse un programma di gran successo alla prima puntata, «Raiot», perché «comportava il rischio di una possibile azione legale contro l´azienda».
Insomma ieri 14 ottobre 2011, è forse cominciata la campagna elettorale. Nella migliore delle ipotesi, durerà cinque mesi. Con un governo che non governa più da almeno un anno. Un bel lusso per un Paese che sta diventando l´epicentro della crisi mondiale. È un´astuzia chiedere i voti di fiducia sempre il venerdì pomeriggio, quando i mercati stanno per chiudere. Purtroppo però il lunedì riaprono.

La Repubblica 15.10.11