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«Scelta devastante per la ricerca», di V. Me. dal Sole 24 Ore

«Una decisione devastante e irreversibile. Se mai le ricerche sulle cellule staminali di origine embrionale dovessero consentire di produrre farmaci per la cura del Parkinson o dell’Alzheimer, i brevetti saranno statunitensi o asiatici, non europei. E noi pagheremo quei farmaci 100 volte di più». Si definisce «sconcertata», Elena Cattaneo, ordinario di Applicazioni biotecnologiche in Farmacologia all’Università di Milano, dopo aver letto la sentenza della Corte di Giustizia Ue secondo cui non possono essere coperte da brevetto le ricerche scientifiche che, ricorrendo al prelievo di cellule staminali ricavate da embrioni umani, ne comportano la distruzione.
Cosa significa, per voi scienziati, negare la possibilità di brevettare le ricerche sulle cellule staminali di origine embrionale?
Il brevetto significa due cose: che la scoperta scientifica diventa pubblica, cioè che lo scienziato può renderne chiara e trasparente la genesi sulle riviste scientifiche, e che è tutelata, per l’eventuale uso a fini commerciali. Quale compagnia farmaceutica finanzierà mai una ricerca senza la possibilità del brevetto?

Che origine hanno gli embrioni da cui derivano le cellule staminali per la ricerca?
Sono embrioni in eccesso che si generano durante le tecniche di fecondazione in vitro. In Italia usiamo cellule staminali embrionali prodotte all’estero. Gran Bretagna, Svezia, Stati Uniti dispongono di queste linee cellulari. La Commissione europea ci finanzia per fare ricerca su queste cellule.

dal Sole 24 Ore 19.10.11

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“La Corte di Giustizia della Ue: nessun brevetto a medicinali ricavati distruggendo embrioni”, di Giovanni Negri

Non può essere brevettato, e quindi sfruttato commercialmente, un medicinale ricavato da cellule staminali attraverso un prelievo che ha comportato la distruzione di embrioni umani. A questa conclusione approda la Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza, depositata ieri, nella causa C-34/10.

La vicenda prende avvio nel 1997 quando un cittadino tedesco, Oliver Brüstle, ha depositato un brevetto relativo a cellule progenitrici neurali, ricavate da cellule staminali embrionali umane utilizzate per curare le malattie neurologiche. Secondo Brüstle esistono già applicazioni cliniche, in particolare su pazienti colpiti da morbo di Parkinson.
Il Bundesgerichtshof (la Corte federale di cassazione tedesca), adita da Brüstle, dopo una prima pronuncia del Tribunale federale a lui sfavorevole, ha deciso di interpellare la Corte di Giustizia sull’interpretazione della nozione di «embrione umano», non definita dalla direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. In forse, tra l’altro, l’area di esclusione della brevettabilità dell’embrione umano: se riguarda tutti gli stadi della vita a partire dalla fecondazione dell’ovulo o se devono essere soddisfatte altre condizioni, ad esempio che sia raggiunto un determinato stadio di sviluppo.

La Corte, nell’affrontare la questione, delimita anche il campo del suo intervento, osservando di non essere chiamata a risolvere problemi di natura medica o etica, quanto piuttosto a una lettura delle misure della direttiva. Che ha come obiettivo sì di incoraggiare gli investimenti nel settore delle biotecnologie, ma di permettere l’utilizzo di materiale biologico di origine umana nel rispetto dei diritti fondamentali e, in particolare, della dignità umana.
E a questo punto i giudici spiegano che, in tale prospettiva, la nozione di «embrione umano» deve essere intesa in senso ampio (quando invece la legge italiana, la n. 40 del 2004 non offre una definizione precisa). Tanto da riconoscere questa qualificazione anche all’ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e all’ovulo umano non fecondato indotto a dividersi e svilupparsi attraverso partenogenesi. Così, sottolinea la sentenza «anche se tali organismi non sono stati oggetto, in senso proprio, di una fecondazione, gli stessi, come emerge dalle osservazioni scritte depositate dinanzi alla Corte, per effetto della tecnica utilizzata per ottenerli, sono tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano come l’embrione creato mediante fecondazione di un ovulo».

La Corte si sofferma a chiarire se la nozione di «utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali» comprende anche l’utilizzo di embrioni umani per ricerca scientifica. I giudici su questo sono chiari: accorare un brevetto a un’invenzione ha come diretta conseguenza lo sfruttamento commerciale e industriale della stessa. Non si può quindi distinguere l’utilizzo, oggetto di una domanda di brevetto, di embrioni umani a fini scientifici, da uno sfruttamento industriale e commerciale. A meno che non si tratti di finalità di cura dell’embrione stesso. E quanto alla brevettabilità di un’invenzione che non presuppone l’utilizzo di embrioni umani, ma la loro distruzione, la risposta è netta: va esclusa qualsiasi ipotesi di utilizzo commerciale.
Come naturale, la pronuncia ha fatto discutere già nelle ore successive al deposito. Per il ministro della Salute Ferruccio Fazio è una decisione in linea con la legislazione italiana. Esulta Greenpeace, che aveva promosso il ricorso: «Impedendo la brevettabilità di embrioni umani, la Corte di Giustizia ha agito a tutela della vita umana e contro gli interessi commerciali». Favorevoli anche i vescovi europei: «Il pronunciamento rappresenta una chiara definizione scientifica dell’embrione umano e una pietra miliare nella protezione della vita umana nella legislazione europea».

Perplessi tredici genetisti europei, tra cui il “papà” della pecora Dolly Ian Wilmut, che già ad aprile avevano espresso dubbi dopo l’indicazione dell’avvocato generale del tribunale Ue: «Se la Corte dovesse accettarla – avevano scritto – tutti i brevetti europei verrebbero eliminati, ma rimarrebbero quelli negli Usa, in Cina e in Giappone, e questo farebbe scappare le aziende creando un danno ai pazienti, costretti a emigrare per avere cure magari scoperte nel loro Paese d’origine».

Il Sole 24 Ore 19.10.11

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“La Corte Ue: vietati brevetti se basati su embrioni umani”. di Pietro Greco

La sentenza ha solo come conseguenza pratica l’impossibilità di brevettare, produrre, vendere e utilizzare in Europa farmaci ottenuti da cellule staminali embrionali. Come aveva
fatto fin dal 1997 il ricercatore tedesco Oliver Brustle, brevettando e consentendo la produzione di un farmaco contro il morbo di Parkinson ottenuto, appunto, da cellule staminali embrionali. Ma il giudizio pronunciato ieri dalla Corte di giustizia dell’Ue è molto più generale: riguarda la definizione stessa di embrione umano. «Sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano– recita il dispositivo della sentenza – deve essere considerato come un embrione umano, dal moment oche la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano». Non solo: deve essere considerato embrione umano anche ogni cellula uovo in cui è stato introdotto un nucleo di una cellula umana adulta (tecnica utilizzata,per esempio nella clonazione) o anche un ovulo non fecondato ma indotto a svilupparsi per partenogenesi. Poiché la legge europea proibisce la e la produzione di farmaci ottenuti distruggendo embrioni umani, continua la Corte, ne discende che è illegale brevettare e utilizzare farmaci ottenuti anche da ovuli fecondati o comunque potenzialmente in grado di generare esseri umani.
Tutto nasce nel 1997, quando Brustle chiese e ottenne inGermania il brevetto per l’uso di cellule neurali, opportunamente trattate, ricavate da cellule staminali embrionali a loro volta ricavate da blastocisti (ovvero da embrioni sviluppi tisi fino al quinto giorno dalla
fecondazione). L’operazione per estrarre cellule staminali comporta la morte dell’embrione. La legge vigente in Germania vieta, appunto, la brevettabilità di farmaci e di qualsiasi altra
cosa la cui produzione comporta la morte dell’embrione. Greenpeace fece ricorso e l’Ufficio brevetti tedesco revocò il brevetto.
GUERRA DI RICORSI
Brustle ricorse al tribunale tedesco, sostenendo che una blastocisti non può essere considerato un embrione umano. Il tribunale tedesco ha dichiarato la sua incompetenza a decidere cosa debba essere considerato un embrione umano, visto che la legge è di origine europea. Di qui la richiesta che a pronunciarsi fosse la Corte di Giustizia dell’Unione europea. Dopo due anni la sentenza. Che non si limita a dar torto a Brustle. Ma, appunto, fornisce la «corretta interpretazione» del concetto giuridico di «embrioneumano». Naturalmente questa interpretazione è corretta solo in Europa. Proprio perché si tratta di un concetto giuridico e non scientifico. E, tuttavia,potrebbe avere notevoli effetti a cascata. Effetti che vanno oltre il pur importantissimo tema delle cellule staminali embrionali e che potrebbe riguardare tutte le legislazioni dei 27 paesi membri che riguardano, in un modo o nell’altro, l’embrione. Intanto genera un evidente paradosso.
La legge europea, infatti, consente la ricerca sulle cellule staminali embrionali, che ovviamente è possibile solo in seguito a distruzione dell’embrione. Cosicché – come ha notato lo stesso Brustle – i ricercatori europei possono produrre nuove conoscenze e nuove possibili applicazioni con le staminali embrionali umane. Ma poi saranno le imprese e gli ospedali americani e asiatici a trarne i benefici. Molto più importante è la questione della salute di tante persone. Per esempio, i malati di Parkinson ora in Europa non potranno curarsi con questo farmaco. La tutela dell’embrione umano può essere in ogni caso a discapito della salute di un umano adulto? E non c’è il rischio che inizi un nuovo «turismo delle staminali embrionali» dall’Europa verso altri continenti?E nonc’è il rischio
– peraltro già attuale – che senza tutela giuridica che si cura con le staminali embrionali, magari in un altro continente, sia alla mercé di truffatori e ciarlatani? E non c’è il rischio che siano i tribunali invece che gli scienziati e i popoli a decidere in fatto di scienza edi questioni eticamente sensibili? Certo, sono tutte domande da rivolgere al Parlamento europeo e alla Commissionedi Bruxelles, più che alla Corte di Giustizia . Ma sono domande che richiedono risposte con grande urgenza.

L’Unità 19.10.11