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"Usa, la nuova «bolla» dei prestiti universitari", di Massimo Gaggi

La «bolla» dei debiti pubblici europei (e dell’Italia) si fa sempre più minacciosa, mentre quella dell’indebitamento delle famiglie continua a frenare l’America. E la Cina, ultima locomotiva capace di trainare l’economia mondiale, rischia il deragliamento se, come temono molti, scoppierà la sua bolla finanziaria alimentata da anni di credito facile. Ormai lo sappiamo: viviamo in un mondo pieno di bolle che i governi devono sgonfiare con processi socialmente dolorosi ed economicamente non privi di rischi.
Gli americani, che dal 2007 sono alle prese con la «madre di tutte le bolle», quella dei mutui subprime, l’hanno scoperto prima di altri. Ma nemmeno loro sono consapevoli fino in fondo della vastità del problema. Pochi, ad esempio, hanno compreso quanto stia diventando minacciosa un’altra bolla: quella dell’istruzione universitaria, il fiore all’occhiello del sistema Usa. Le accademie americane, si sa, sono eccellenti ma anche molto costose. Soldi ben spesi, si è sempre detto: investire sul proprio futuro è la cosa migliore che si possa fare. È ancora vero, ma c’è un problema di misura. Negli Stati Uniti i due terzi degli studenti si indebitano per pagarsi gli studi. Finché l’economia ha assorbito tutti i neolaureati, non ci sono stati problemi. Chi usciva da atenei di prestigio otteneva impieghi ben retribuiti e quindi riusciva a onorare il suo debito scolastico senza compromettere troppo il tenore di vita. Negli ultimi anni, però, le cose sono cambiate. Sui ragazzi si è stretta una tenaglia: nonostante
l’economia depressa, le università hanno continuato ad aumentare le rette anche perché i giovani prolungavano volentieri gli studi in attesa che «passasse la bufera». Ma la crisi non è affatto finita, i debiti di studio hanno ormai raggiunto i mille miliardi di dollari e per molti neolaureati, che spesso devono restituire prestiti superiori ai 100 mila dollari (la media è 34 mila), le prospettive si sono fatte molto difficili: chi si è laureato nel maggio scorso, ad esempio, sta esaurendo gli ultimi giorni del semestre di «tregua» garantito dalla legge ai debitori. All’inizio di novembre dovrà cominciare a rimborsare lo student loan, anche se è disoccupato. Chi esce da Harvard un lavoro, prima o poi, lo trova. Ma, al di fuori degli atenei dell’eccellenza, c’è un gran numero di università di «seconda fascia», costose quasi quanto quelle più prestigiose della East Coast, che stanno diventando fabbriche di disoccupati con molti debiti. La facilità con la quale gli studenti hanno contratto grossi prestiti per frequentare corsi che non offrono grandi sbocchi lavorativi ricorda il credito facile dei mutui-casa. Con una differenza: chi ha comprato un alloggio che non poteva permettersi, può liberarsi del debito restituendo le chiavi alla banca. Gli studenti, invece, non possono dichiarare bancarotta.

Il Corriere della Sera 21.10.11