attualità, politica italiana

"L'assist di Bruxelles al senatur", di Michele Brambilla

Il governo Berlusconi è stato dato per morto talmente tante volte che ormai viene da pensare che sia immortale. Magari in perenne agonia, ma immortale. Adesso, a una sola settimana dal voto di fiducia, è di nuovo in rianimazione. Ce la farà? Non lo sappiamo. Ma questa volta pare si sia infilato in un pertugio senza vie d’uscita. Perfino il solito arruolamento di parlamentari dell’ultima ora sarebbe inutile.

C’è da superare una difficoltà ben più grave dei numeri alla Camera: l’appoggio della Lega a una riforma, quella delle pensioni, che l’Europa ha posto come condizione ineludibile.

Il problema è che anche Bossi considera le pensioni una condizione ineludibile: nel senso esattamente opposto, però, a quello richiesto dall’Europa. Su questo punto, il senatur pare non abbia alcuna intenzione di cedere. Ora, è vero che la Lega ci ha abituati a talmente tante retromarce – sulle aliquote Irpef, sul trasferimento dei ministeri, sulla guerra in Libia – che non ci sarebbe più da stupirsi di nulla. Però sulle pensioni è lecito pensare che non voglia fare retromarcia. Anzi, non possa.

Almeno per tre motivi. Primo: Bossi e i suoi ci hanno messo fin troppo la faccia, giurando sul «no» all’innalzamento dell’età pensionabile. Secondo: il 65 per cento delle pensioni di anzianità è al Nord e la Lega, andando a colpire i pensionati, andrebbe a svuotare il proprio bacino elettorale. Poi c’è il terzo motivo, che forse è quello determinante. Bossi sa che, se anche questa volta abbassa il capo «per non tradire l’amico Silvio», rischia di vedersi scappare di mano tutto il partito.

Per capirci: il grosso problema di queste ore di Berlusconi è che mai le sue difficoltà avevano coinciso così tanto con quelle di Bossi, cioè del suo più fedele alleato. Perché Bossi è in difficoltà? Perché la sua base gli chiede, con forza, di staccare la spina, di non trascinare il partito nel gorgo in cui rischia di sprofondare Berlusconi; gli chiede di tornare puri intrepidi e solitari come ai bei tempi. E vede, come possibile realizzatore di questo sogno, non più lui, il pur sempre amato ma ormai vecchio capo: bensì Roberto Maroni.

Tutto questo cova sotto la cenere da un pezzo. Però Bossi, per quanto possa sembrare incredibile, non se ne accorgeva. La ristretta cerchia che lo marca a uomo l’aveva convinto che certe voci erano le solite balle dei giornalisti. Ma c’è stato un momento, nei giorni scorsi, in cui è cambiato tutto: quando Bossi s’è visto contestare nella sua Varese. C’è un filmato, che il «Corriere della Sera» ha scovato e messo sul Web, in cui si vede un Bossi esterrefatto di fronte alle proteste dei delegati varesini per l’imposizione del nuovo segretario provinciale, di fronte alle grida «Vo-to vo-to» e «Bo-bo Bo-bo». Esterrefatto. Mai Bossi aveva assistito a una scena del genere, e mai aveva immaginato di potervi assistere.

Da quel momento, il senatur non è stato più lui. Non s’era mai visto infatti un Bossi così remissivo com’è stato qualche giorno dopo quando Flavio Tosi, uno dei principali dissidenti interni, ha detto che la Lega deve abbandonare Berlusconi. Prima Bossi ha reagito alla vecchia maniera, mostrando a Tosi il medio, dandogli dello stronzo e annunciandogli l’espulsione; ma poi, appena ventiquattro ore dopo, è dovuto passare dal bastone alla carota perché ha capito che come Tosi la pensa la stragrande maggioranza dei leghisti.

Paradossalmente l’ultimatum dell’Europa è ora un prezioso assist per Bossi. Il quale ha infatti la possibilità di staccare la spina su un tema, le pensioni, che è sempre stato suo; insomma senza dare l’impressione di aver ceduto alle pressioni dei «maroniani». Di fatto, Bossi ora può gestire lo strappo invocato da Maroni invocandone la paternità, e guadagnandosi di nuovo la standing ovation del popolo padano. Per quanto possa sembrare strano, sarebbe una soluzione gradita anche a Maroni, che otterrebbe ciò che vuole senza far la parte di chi fa le scarpe al vecchio amico e vecchio capo.

Questi i fatti. Poi, può darsi che Bossi accetti un compromesso sulle pensioni. Ma un compromesso non darebbe soddisfazione né al popolo leghista, né all’Europa. Ecco perché, nonostante tutto possa ancora succedere, la crisi di queste ore sembra davvero la più grave per Berlusconi e il suo governo.

La Stampa 25.10.11

“I padani di fronte a un bivio decisivo Prendere tempo, o scivolare verso le urne”, di MARCELLO SORGI

La durissima nota antiSarkozy diffusa ieri prima del Consiglio dei ministri, per ufficializzare l’indignazione italiana per il tono sfottente della conferenza stampa a due dei leader francese e tedesco, aveva chiaramente l’obiettivo di rimettere insieme la maggioranza, ieri più che mai per tutto il giorno sull’orlo della rottura. Il fuoco di sbarramento usato fin dal mattino dalla Lega contro l’ipotesi di adottare per decreto anche la riforma delle pensioni ha reso necessario cercare su un altro terreno – appunto i rapporti interni nell’Unione – la ricomposizione. Per Bossi toccare le pensioni sotto il diktat dell’Europa era assolutamente inaccettabile. Ore e ore di trattativa hanno portato a separare i due aspetti del problema, optando per la nota di esplicito risentimento, nonché di sottolineatura della precarietà delle banche francesi e tedesche, da parte di Palazzo Chigi, seguita da una presa d’atto dell’Eliseo sotto forma di smentita del famoso sorriso ironico di domenica di Sarkozy.

Per quanto drammatizzata da una serie ininterrotta di dichiarazioni di tutto lo stato maggiore del Carroccio, a sera sulla durata e sulla resistenza del «no» leghista alla riforma delle pensioni tuttavia non erano in molti a scommettere. La lunga serie di precedenti anche recenti, vedi la contrarietà poi rientrata alla guerra in Libia e alle varie versioni della manovra estiva, ha fatto sperare in un ammorbidimento del leader leghista, che tuttavia anche a Consiglio dei ministri cominciato ha fatto trapelare che l’accordo non c’era.

Man mano che il tempo passava la sensazione era che la Lega avesse bisogno di tempo. Sia per separare le decisioni già condivise e contenute nei provvedimenti per lo sviluppo che alla fine hanno visto la luce, dopo una gestazione tormentata che durava da settimane. Sia per trovare un modo che le consenta, in caso di varo forzoso delle nuove regole della previdenza, di mantenere una esplicita riserva, che potrebbe tornare ad essere invalicabile nei prossimi mesi, quando il testo dovrà essere votato dal Parlamento, e soprattutto quando, avvicinandosi ormai la fine dell’anno, Bossi potrà prendere una decisione definitiva sulle elezioni anticipate. Le opposizioni tifano esplicitamente in questa direzione. Casini e Bersani ieri dopo un incontro hanno ribadito insieme che solo un governo diverso e non guidato da Berlusconi può avere l’ambizione di realizzare riforme così importanti.

La Stampa 25.10.11