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"Quegli alunni stranieri nati e cresciuti in Italia", di Alessandra Coppola

Nell’ultimo anno scolastico il 42,1% degli studenti che non ha la cittadinanza italiana è nato qui. In Lombardia il dato sale al 48%. Lo dicono i dati del ministero dell’Istruzione. Un salto, rispetto a tre anni fa, quando erano il 34,7%. Alla Casa del Sole, elementari e medie nel parco Trotter che a Milano è il ritrovo di molte nazionalità, lo sanno dai registri di classe: sono sempre di più gli alunni stranieri nati in Italia. «Un elemento decisivo — sottolinea lo storico, battagliero, preside Francesco Cappelli (appena andato in pensione) —: se i bambini parlano bene l’italiano e crescono in situazioni di stabilità familiare, crollano tutte le differenze che potevano creare difficoltà».
Lo dicono adesso con il timbro dell’ufficialità anche i dati elaborati dalla Fondazione Ismu per il ministero dell’Istruzione: nell’ultimo anno scolastico il 42,1 per cento degli studenti che non ha la cittadinanza italiana è nato qui. Un bel salto rispetto a tre anni fa, quando erano il 34,7. Nelle scuole dell’infanzia, poi, il numero quasi raddoppia: 78,3. «Diventa sempre più difficile usare la parola “stranieri” — osserva Vinicio Ongini, della Direzione generale dello studente al ministero, uno dei responsabili del rapporto —: in Lombardia il dato sale addirittura al 48 per cento». Sorridono i ragazzi della Rete G2-Seconde generazioni: un argomento in più a sostegno della campagna in corso per una legge sulla cittadinanza che riconosca come italiano chi è nato nei nostri confini, introducendo lo ius soli.
Non si parla di boom di alunni stranieri, però, avverte Ongini. Al contrario, l’aumento complessivo frena, in modo anche più visibile di quanto si era già registrato per gli adulti. Gli studenti non italiani sono 711.064 (il 7,9 per cento del totale), dieci volte di più rispetto a 15 anni fa. Ma se fino al 2008 si sono moltiplicati al ritmo di 60-70 mila all’anno, nell’ultima tornata i nuovi ingressi sono stati «solo» 38 mila. Significa meno arrivi e più partenze: «Da una parte è effetto della crisi — continua il ricercatore — dall’altra alcuni nuclei familiari tornano ai Paesi d’origine, per esempio in Romania o in Albania, dove c’è una leggera ripresa».
Romeni e albanesi restano comunque i più numerosi in classe, seguiti da marocchini e cinesi. A sorpresa, però, subito dopo arrivano i bambini moldavi, effetto dei ricongiungimenti chiesti da colf e badanti. Li tallonano al sesto posto gli indiani, che alle superiori vengono scavalcati dai ragazzini ucraini ed ecuadoriani (anche loro spesso hanno raggiunto le mamme al lavoro nelle case italiane).
Gli ultimi iscritti, quelli che arrivano in Italia in fasi delicate come l’adolescenza, inseriti spesso in classi inferiori all’età anagrafica, sono il segmento più fragile — avvertono i ricercatori — quello che avrebbe bisogno di maggiore attenzione: ma sono solo il 5 per cento. Un dato assorbito nel conto degli alunni stranieri con ritardo scolastico: il 70 per cento alle superiori contro il 20 degli italiani. «Fenomeno spesso legato al percorso migratorio più che a una cattiva riuscita» spiega Mariagrazia Santagati, curatrice del rapporto per l’Ismu. Certo, il divario con i figli di italiani è significativo, anche nelle promozioni: «I bocciati stranieri sono il doppio, il 30 per cento».
La professoressa Santagati s’è dedicata soprattutto ai dati che riguardano la scuola secondaria di secondo grado, traendone due considerazioni essenziali. La prima: i figli dei migranti stanno crescendo, in un anno 10 mila si sono iscritti alle superiori, anche se sono ancora solo il 5,8 per cento del totale (restano quindi concentrati tra elementari e medie). La seconda: la grande maggioranza frequenta un istituto tecnico o professionale, solo il 18,7 per cento (soprattutto ragazze) va al liceo (contro il 43,9 degli italiani). Spesso su consiglio dei docenti, in molti casi nella speranza di un più rapido accesso al mondo del lavoro.
Infine, qualche sorpresa dalla distribuzione geografica. Se il record nei numeri è della Lombardia (il 24,3 per cento degli studenti non ha la cittadinanza italiana), guardando alle province le incidenze maggiori (cioè le percentuali più alte sul totale) si registrano a Piacenza, Prato, Mantova, Asti e Reggio Emilia. «Cè una tendenza a parlare dei quartiere delle grandi città — riflette Ongini —: questo rapporto sposta l’attenzione su un’altra Italia, fatta di paesi anche piccoli. E aiuta a dare un quadro più equilibrato».

Corriere della Sera 25.10.11

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“I ragazzi di Caserta che aiutano i migranti”, di Dacia Maraini

Di Castel Volturno si raccontano cose inquietanti: sul degrado territoriale, sulla massiccia presenza dei clandestini, sulla soggezione della città alla Camorra. Nessuno racconta la parte sana, reattiva e combattiva della città. Nessuno racconta di quei cittadini che da anni fanno un lavoro di resistenza alla camorra, di aiuto agli immigrati, di difesa del territorio. E invece vale davvero la pena di conoscerli questi ragazzi (ma ci sono dentro uomini e donne di tutte le età) del Centro sociale Ex Canapificio di Caserta.
Essi non si limitano alla mera protesta. Prima viene l’analisi della situazione, precisa e razionale, per niente ideologica e poi le proposte concrete. La Bossi-Fini, dicono, è risultata fallimentare. Scopo della legge era il rimpatrio dei clandestini. Per questo la legge stabilisce che chi non dispone di un contratto di lavoro non può rimanere in Italia. Ma non hanno fatto i conti con la prassi del lavoro nero. Risultato: niente contratto, niente permesso, e niente permesso niente contratto. «Manovali, braccianti agricoli od operai, lavorano in media 10/12 ore al giorno e percepiscono una paga quotidiana non superiore ai 25/30 euro». Non disponendo di un permesso di soggiorno non possono nemmeno affittare regolarmente una casa. Di ciò approfittano gli usurai per fare pagare da 400 a 600 euro al mese una stanza in periferia. Per saldare la cifra assurda i clandestini sono costretti a pigiarsi in dieci, venti dentro quella misera stanza, in condizioni igieniche disastrose.
Ma la legge è inefficace anche per un’altra ragione: il diritto internazionale vieta il rimpatrio se l’Ambasciata del Paese di origine non collabora con l’Italia per l’identificazione del cittadino. «Pertanto, esclusi gli sporadici permessi concessi alle colf e alle badanti, si è creato un limbo giuridico per migliaia di immigrati che non possono essere rimpatriati e che al tempo stesso nel nostro Paese lavorano, anche se in condizioni durissime, supportando la nostra sempre più debole economia», come scrivono con logica saggezza i cittadini del Centro sociale. Essendo in nero, fra l’altro, i migranti non pagano tasse. «Eppure solo nel 2009, per la sanatoria di colf e badanti sono state presentate 300 mila domande (fonte ministero dell’Interno) e ciascuno ha pagato 500 euro. Pensiamo a quanti fondi potrebbe ricavare lo Stato da una sanatoria generalizzata, senza contare il successivo versamento di contributi! La regolarizzazione potrebbe costituire un “tesoretto” non indifferente».
Questa l’analisi. Seguono le proposte che per ragioni di spazio sono costretta a sintetizzare: 1) introduzione di canali di ingresso regolari per ricerca di lavoro. 2) Visto di ingresso valido un anno con cauzione. 3) Regolarizzazione graduale ad personam, e decrescita fino alla scomparsa dell’immigrazione irregolare. 4) Garanzia di giusto diritto di asilo e di accoglienza. 5) Riforma del diritto di cittadinanza. 6) Rafforzamento di politiche attente ai ricongiungimenti familiari e alla possibilità che i bambini nati in Italia ottengano la cittadinanza.

Il Corriere della Sera 25.10.11