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""Nessuno paga nessuno". E la crisi del credito arriva fino alle imprese", di Marco Alfieri

Nel Paese dei contanti all’improvviso non circolano più soldi. «Da qualche mese nell’economia reale nessuno paga più nessuno, è tutto bloccato», lanciano l’allarme gli artigiani varesini. Le imprese hanno difficoltà a farsi finanziare il capitale circolante dalle banche, così si tengono quel poco di liquidità in cassa rallentando i pagamenti a valle della filiera produttiva.

Da Nord a Sud la musica è pericolosamente la stessa. Luca S. insieme a un socio e 3 collaboratori fa il gessista a San Giorgio a Cremano, cintura trafficata di Napoli. Un’attività artigianale tipica non fosse che, al 20 ottobre 2011, lamenta 90 mila euro di mancati incassi. «Sono in credito da oltre 5 mesi con un’azienda di quadri elettrici a cui ho sistemato la sede, e da 7 con un paio di commercianti in abbigliamento a cui ho ristrutturato il negozio», racconta trafelato Luca S. «Avevo un fido di 50 mila euro con la mia banca, ridottomi 2 settimane fa alla metà, così ho dovuto chiedere soldi a un altro istituto per saldare alcuni fornitori». Ovviamente pagando tassi più alti perché con questi spread la raccolta bancaria costa cara e gli istituti, grandi e piccoli, aggiornano in tempo reale i propri listini.

Nodi intricati Nella vicenda di Luca S. si mescolano alcuni dei nodi più intricati della crisi in corso. Dalla stretta bancaria sulle Pmi alla piaga dei ritardi di pagamento in un Paese in cui, nell’ultimo anno (fonte Bankitalia), l’indebitamento delle imprese ha già superato i 980 miliardi di euro (+6,1% sul 2010) e i tanti Luca S. d’Italia che non incassano le fatture dai clienti medio-grandi non riescono, a cascata, a saldare i crediti dei propri fornitori e contoterzisti.

Secondo l’Osservatorio IspoConfartigianato nel corso del 2011 il fenomeno dei cattivi pagatori è in forte aumento. I ritardi della pubblica amministrazione sono arcinoti: nonostante le lacrime di coccodrillo lo Stato italiano (Asl in testa) continua a pagare i fornitori a 180 giorni, quasi il triplo della media europea (65 giorni). Un po’ meno lo sono quelli tra imprese private fornitrici di prodotti e servizi, il vero elemento nuovo e devastante di questa congiuntura: 103 giorni contro i 56 dell’Europa. Un ritardo cresciuto di ben 7 giorni medi dal 2010. Nell’occhio del ciclone il settore costruzioni, che passa da 90 a 117 giorni, il manifatturiero in genere, da 87 a 108, e i servizi, da 48 a 59. Non basta. Per le piccole imprese che lavorano prevalentemente con altre aziende di produzione i tempi sono schizzati dai 92 giorni del 2010 ai 111 del 2011; per chi lavora con clienti privati, da 60 a 81. Un boom esponenziale che determina maggiori costi finanziari per oltre un miliardo di euro. Una cifra mostre.

Peraltro il contagio tra privati è dilagante perché arriva in coda a una recessione che ha spinto alle stelle le sofferenze bancarie delle imprese, esplose al 31 luglio 2011 a 74,5miliardi di euro (+40% sul pari periodo 2010) e prosciugato la liquidità aziendale. Secondo i calcoli diBanche Popolari e di Credito Cooperativo (Bcc), che coprono il 67,5% degli sportelli delle principali province manifatturiere, circa il 40% di nuove posizioni «corporate» aperte nel primo semestre 2011 altro non sono che una diversificazione creditizia alla disperata ricerca di capitale circolante per saldare debiti correnti. Daniele Nonino, friulano di Udine, guida un’azienda da 45 addetti che fa impianti elettrici e termoidraulici per colossi edilizi e industriali. «La verità?», si sfoga. «La situazione sta diventando insostenibile. I grandi ne approfittano utilizzando ogni cavillo per chiudere i rubinetti. Hai consegnato 3 giorni in ritardo? Allora ti allungo di 60 giorni il pagamento. La fatturazione è poco chiara? Per autotutela ti sospendo il bonifico, poi si vedrà…», scaricando le sofferenze sul credito di fornitura e costringendolo a farsi banca. Su 6 milioni di fatturato il giro di pagamenti dell’azienda di Nonino è di circa 900 mila euro.

Due terzi incagliati «Di questi ne ho attualmente 600 mila incagliati, causa imprese pagatrici che hanno sforato i tempi», fa di conto l’imprenditore. È tantissimo: «Significa che ho i 2/3 del portafoglio incagliato, pari al 10% del fatturato. Un paio di anni fa non superavano il 2% dei ricavi», allarga le braccia Nonino. Già.

Dopo aver incubato nei primi mesi dell’anno il baco si è diffuso dopo l’estate, quando le banche hanno cominciato a ridurre i castelletti, non scontare le fatture in ritardo, alzare gli spread e chiedere rientri improvvisi. Un circuito infernale che coinvolge la subfornitura edilizia, meccanica, del tessile-abbigliamento e del legno-arredo, i settori tipici del made in Italy che da sempre vivono di contoterzismo e di rapporti informali con il direttore della banca sotto casa, dietro il capannone. Ad esempio: i piccoli falegnami/mobilieri marchigiani, pugliesi o brianzoli che a fine mese non vengono pagati dalle catene dei grandi mobilifici inevitabilmente slittano il pagamento da 60 a 90-120 giorni ai terzisti che, a loro volta, offrono uno sconto secco del 5-6% pur di avere liquidità immediata e non saltare.

«Ma l’escalation si espande a tutti i rami dell’economia», confermano preoccupati da Confindustria Treviso. Dalle assicurazioni che rimandano alle calende greche il pagamento dei ristorni alla rete di officine ed elettrauto convenzionati ai grandi supermercati che saldano l’ortofrutta a 120-150 giorni o spostano i pagamenti a gennaio, per non intaccare il bilancio 2011. Secondo l’Osservatorio Cribis D&B nell’ultimo anno in Italia addirittura 7 aziende su 10 hanno registrato almeno un insoluto di pagamento significativo. E per 4 su 10 del campione interpellato il tempo medio di incasso influisce in maniera «molto» o «abbastanza» elevata sugli equilibri finanziari societari. Fino al rischio insolvenza, che fa scattare la segnalazione alla Centrale Rischi di Bankitalia, compromettendo i rapporti con il circuito bancario. Per questo mentre a Bruxelles il governo promette grandi riforme, sarebbe forse il caso di ripristinare anzitutto il circuito dei pagamenti. Per evitare la prossima moria.

La Stampa 31.10.11