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"Bersani con i sindaci e le Regioni: tagli non sostenibili", di Simone Collini

Il leader democratico su Monti: «Non si può dare la colpa 
al pompiere per il fuoco appiccato da Pdl e Lega»
Ma avverte che «il Pd dirà come la pensa e come farà». Parla di primo mattino con il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani e con quello dell’Anci Graziano Delrio, oltre a molti altri amministratori locali sparsi in tutta Italia, per ascoltare la loro valutazione. E il discorso che Pier Luigi Bersani ascolta è ogni volta lo stesso: questa spending review non è sostenibile. Col passare delle ore emergono poi tutti i dettagli del decreto varato dal Consiglio dei ministri. E l’allarme lanciato da sindaci e presidenti di Regione, soprattutto per quel che riguarda i tagli alla sanità e i trasferimenti agli enti locali, si dimostra tutt’altro che infondato.
«È paradossale che il titolo del decreto sia “revisione della spesa pubblica ad invarianza dei servizi ai cittadini”», scuote la testa Bersani. Perché i servizi, a leggere le 73 pagine del testo, inevitabilmente saranno a rischio. E nel Pd già si inizia a discutere di quali emendamenti presentare in Parlamento quando (molto probabilmente dopo la chiusura delle Camere per la pausa estiva) ci dovrà essere la conversione in legge del decreto.
Questo passaggio per il Pd rischia di essere anche più delicato di quanto non sia stato quello riguardante la riforma del mercato del lavoro. Con i sindacati sul piede di guerra, gli enti locali che lanciano un grido d’allarme e i potenziali alleati che o attaccano duramente il governo (il leader di Sel Nichi Vendola parla di «decreto ammazza-Italia») o lo sostengono senza se e senza ma («la spending review è cura dimagrante dello Stato, tagli sprechi e burocrazia inutile, noi con Monti, gli altri facciano quel che vogliono», dice il leader Udc Pier Ferdinando Casini) il crinale su cui Bersani deve muoversi è stretto e scivoloso: né può venir meno all’impegno di sostenere Monti, né può assecondare le misure decise dal governo, senza peraltro il confronto chiesto nei giorni scorsi (contatti diretti tra presidente del Consiglio e il segretario Pd non ci sono stati). E allora Bersani ricorda che «non si può dare ora la colpa al pompiere» per il fuoco appiccato da chi c’era prima («negli ultimi dieci anni di governo Pdl-Lega la spesa ha sempre sforato e poi tra Ruby e bunga bunga stavamo facendo la fine della Grecia») e ricorda anche che quella di sostenere Monti è stata una «scelta di responsabilità» che verrà rispettata con «lealtà» dal suo partito. Ma aggiunge anche che il Pd dirà come «la pensa» e cosa «farà».
IL PD RAGIONA SUGLI EMENDAMENTI
E allora non manca, da parte di Bersani, l’apprezzamento per le misure volte a razionalizzare l’organizzazione pubblica, la riduzione dei costi per le auto blu, la sforbiciata alle Province. Ma non mancherà neppure una battaglia in Parlamento, in particolare su sanità e trasferimenti agli enti locali, quando i partiti potranno dire la loro.
«Nella prospettiva dei prossimi due anni, per la sanità, a Tremonti si aggiunge Monti: ci sono troppi “Monti” da scalare, 12 miliardi di tagli sono troppi», dice Bersani ricordando la scure che già si è abbattuta col governo Berlusconi. Ricorre alla battuta, di fronte ai giornalisti che di primo mattino gli chiedono un commento su quelli che sembrano essere i contenuti della spending review, perché pensa ci sia ancora qualche margine di manovra, e infatti lancia un ultimo appello ad uso e consumo del governo: «Attenzione a non dare una mazzata al Servizio sanitario nazionale». Poi le indiscrezioni diventano parole messe nere su bianco nelle 73 pagine uscite nel primo pomeriggio da Palazzo Chigi. «Ci sono cose che ci preoccupano molto», dice Bersani facendo poi capire che quel “ci” non riguarda soltanto il suo partito. «I governatori hanno ragione, è gente che pensa, non sono azzeccagarbugli o agit-prop».
Tra gli amministratori locali la tensione è alle stelle. Il presidente dell’Emilia Romagna Errani, che come presidente della Conferenza delle Regioni ha chiesto un incontro «urgentissimo» a Monti, parla di «tagli lineari insostenibili», mentre il sindaco di Reggio Emilia Delrio dice a nome dei Comuni italiani: «Non accetteremo i due miliardi di tagli che ci propone il governo, i nostri bilanci scoppierebbero, abbiamo già dato 8 miliardi di risparmi in questi anni come Comuni, altri non possono dire d’aver fatto altrettanto».
Ma non è solo il capitolo sanità a preoccupare il Pd. Il responsabile Trasporti della segreteria Matteo Mauri fa notare che con i tagli alle Regioni il trasporto pubblico locale finirebbe in una «situazione drammatica», e diversi parlamentari lanciano un allarme sui rischi che comporta nella lotta alla criminalità organizzata la chiusura di diversi tribunali (soprattutto in Calabria, ma Michele Meta cita anche il caso di Cassino, che fa da «diga» alle infiltrazioni camorristiche).
Nel Pd, la voce scevra di accenti critici è quella di Enrico Letta, che dice: «Ricordiamo che la spending review serve ad evitare l’aumento dell’Iva che serviva ad evitare il taglio alle esenzioni fiscali sul welfare deciso dal governo Berlusconi». C’è però anche chi fa notare che l’aumento dell’Iva è solo rinviato a luglio del prossimo anno. Insomma sarà l’eredità lasciata da Monti al prossimo presidente del Consiglio.

L’Unità 07.07.12

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“Bersani preme per le modifiche E Monti ha già previsto aggiustamenti al Senato”, di Ugo Magri

Bersani farà muro contro le amputazioni alla sanità e ai comuni. Qualche correzione al decreto dei tagli vorrà infilarla pure Alfano. E Monti, al quale è ben chiara la sofferenza del Pd, non pare del tutto sordo alle grida di dolore. Per cui il passaggio in Senato, dove da lunedì incomincia l’esame della «spending review», sarà tutt’altro che un prendere o lasciare. Palazzo Chigi per il momento esclude un voto di fiducia, che solitamente viene deciso dal governo quando vuole mettere in riga i partiti. Semmai dalle parti di Monti si considerano scontati un tot di aggiustamenti, purché (si capisce) restino invariati i saldi, e la quota complessiva dei risparmi risulti alla fine sufficiente per bilanciare il mancato aumento dell’Iva.
La sensazione tra gli addetti ai lavori è che al voto di fiducia si arriverà per colpa dei tempi strettini; però dopo l’esame del testo in commissione, e quando le principali richieste Pd e Pdl saranno state almeno in parte soddisfatte. Insomma: dalle parti di
Monti nessuno prevede sbocchi traumatici, tensioni politiche insuperabili. Oltretutto i riflettori, anche mediatici, già si stanno orientando verso la delicata riunione dell’Eurogruppo lunedì sera, quando lo scudo anti-spread verrà discusso nei suoi dettagli tecnici, e pessimisti come l’ex ministro Brunetta già scommettono giulivi su un buco nell’acqua, con conseguente nuova tempesta valutaria. Circola nei palazzi istituzionali un filo di inquietudine per questa tanto attesa svolta sui mercati che, nonostante i sacrifici chiesti alla gente, non sta prendendo corpo. Monti conosce bene i rischi, ma parte per Bruxelles più sereno (assicurano i collaboratori) anche grazie al decreto sui tagli, che Napolitano ieri ha immediatamente controfirmato: agli occhi degli europei, una prova in più che l’opera di risanamento nel Belpaese non si è arenata.
Quanto al fronte interno, il presidente del Consiglio crede di aver fatto il possibile. Ha chiesto (e ottenuto) dai partiti di maggioranza degli «sherpa» con cui il confronto è stato «intensissimo», dicono dalle sue parti. In qualche caso Monti ha colloquiato per telefono direttamente coi segretari. L’altro ieri, per esempio, si è sentito con Alfano, il quale tutto sommato approva la manovra dei tagli («Vigileremo per evitare sbilanciamenti e squilibri, ma la strada di fondo è quella giusta»). Fonti del Pd negano, invece, che Monti abbia mai alzato il telefono con Bersani, «forse avrà sentito qualcun altro». Se si fossero parlati privatamente, il segretario avrebbe rivolto al premier le stesse critiche che muove nei comizi al decreto: «Sulla sanità e sugli enti locali i tagli mi sembrano un po’ troppo pesanti, qui andiamo oltre il segno e tocchiamo le prestazioni, per noi si entra sul problematico». Fassina, responsabile economico del partito, definisce senza mezzi termini «insostenibili» le sforbiciate che vanno giocoforza a colpire i trasporti locali, le mense scolastiche, gli asili, i servizi per gli anziani…
Che nel decreto ci sia qualcosa di buono, a Sant’Andrea delle Fratte nessuno lo nega, specie per quanto riguarda gli accorpamenti delle province, i costi standard. Ma forte è la pressione del sindacato, con la Camusso sul piede di guerra, e scatenata la concorrenza a sinistra di Vendola, in prima fila nella lotta contro il «decreto ammazzaitalia», come il leader di Sel lo definisce arrivando quasi a rimpiangere Berlusconi che «neanche aveva osato dove Monti è riuscito». La morale è che il decreto dovrà cambiare. Martedì convocata la segreteria del Pd per discutere il come e il dove. Fa del sarcasmo da destra Gasparri, «questa sinistra si dimostra meno montiana di quanto faceva finta di essere», e magari c’è del vero. Però pure il Pdl cercherà di piazzare qualche ritocco per andare incontro alle categorie di riferimento, tra cui immancabile quella dei farmacisti. L’unico che non avanza richieste (almeno su Twitter) è Casini: «Noi stiamo con Monti, gli altri facciano quel che vogliono! », con tanto di esclamativo.

La Stampa 07.07.12