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"Marcegaglia: persi dieci anni. Scontro aperto con la FIAT", di Bianca Di Giovanni

L’Italia ha perso dieci anni : il Paese è fermo e la politica non fa nulla per uscire dalla palude. Anzi. Questa «Confindustria ha dovuto prendere atto che le priorità della politica erano altre». Emma Marcegaglia impernia la sua ultima prolusione all’Assemblea generale su un forte contrappunto tra imprese e sistema politico-amministrativo. E non solo. Anche su una strenua difesa della «sua» Confindustria, contro chi (leggi Marchionne) procede per strappi per farsi regole su misura. La politica di oggi è un elefante troppo lento per curare la malattia ormai endemica del Paese: la bassa crescita. Per questo la leader degli industriali, che entra oggi nel suo ultimo anno di mandato, chiede a gran voce più mercato, con le liberalizzazioni dei servizi locali e con un attacco frontale contro i referendum. E naturalmente chiede anche meno Stato, cioè meno spesa per welfare (grave in un momento di crisi anche sociale del paese) e pubblico impiego. Quanto ai partiti, la barra è in perfetto equilibrio. Né di qua, né di là. Ci sono «difficoltà nella maggioranza», ma anche «l’incapacità dell’opposizione di esprimere un disegno riformista». La platea non si scalda per il minsitro Romani, applaude fredda a un elogio a Giulio Tremonti, resta silenziosa anche alle critiche all’opposizione. Gli unici, caldi e prolungati riconoscimenti vanno al presidente Giorgio Napolitano e al governatore Mario Draghi, letteralmente osannato. Insomma, a quelle «istituzioni forti e autorevoli che sappiano recuperare la fiducia dei cittadini » che a quanto pare Confindustria non trova più a Palazzo Chigi o Montecitorio. Infine, quelle esortazioni in chiusura sugli imprenditori «pronti a battersi per l’Italia anche fuori dalle nostre imprese» declamato davanti a Luca Cordero di Montezemolo in prima fila, ha fatto sospettare qualcuno che la leader uscente sarebbe pronta a scendere in campo per i centristi. L’affondo sul Lingotto arriva a braccio, inaspettato. «Ho avuto la responsabilità di guidare la Confindustria in anni drammatici – ha detto – La mia azione è stata chiara, anche nelle relazioni sindacali. Ho il dovere di rappresentare tutti i 150mila soci. Non pieghiamo le regole della maggioranza per le esigenze di un singolo. Sono finiti i tempi in cui poche aziende decidevano l’agenda di Confindustria: proseguiremo a modernizzare le regole sindacali senza strappi improvvisi che fanno male». Più chiaro di così. Naturalmente parallelo arriva l’attacco alla Fiom, «che per principio è contraria » al nuovo modello sottoscritto con gli altri sindacati, e che sta causando tante cause non solo alla Fiat ma anche ad altre aziende.«Ma noi restiamo convinti che quel nuovo modello si costruisca meglio con un confronto si costruisca meglio con un confronto incessante con il sindacato – dichiara – ciascuno dei quali ha diritto alla rappresentanza , ciascuno dei quali può dire no ed essere poi smentito dal voto dei lavoratori, come finora è avvenuto». LAVORO Così Marcegaglia conferma la sua apertura al dialogo. Tant’è che ribadisce la volontà di un accordo in tempi brevi sulla rappresentanza e sulla esigibilità dei contratti. Sul lavoro la presidente chiede di proseguire sulla strada di un «ampio disegno riformatore». «Ci sono proposte di una parte riformista dell’opposizione su uno schema di riforma complessiva che considera anche la flessibilità in uscita», dice Marcegaglia, senza mai citare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. «Queste proposte hanno in comune il riequilibrio delle tutele tra i lavoratori troppo garantiti e i giovani dal futuro sospeso. Occorre proteggere – sostiene Marcegalia – i lavoratori dalla perdita di reddito, non dalla perdita del posto di lavoro». E questo è «un problema che – prosegue – va affrontato senza freni ideologici, con grande serietà. In termini culturali, prima che di appartenenze politiche o di vetusti riflessi condizionati ». La leader di Viale dell’Astronomia cita più volte il modello tedesco, dove «il 50% delle aziende introduce deroghe al contratto nazionale concordate con il sindacato», e dove «per proclamare uno sciopero occorre il consenso del 75% degli iscritti». Dimentica, la presidente, che in Germania il sindacato siede anche nei consigli d’amministrazione. Ma quella è un’altra storia. Oggi in Confindustria inizia già il post-Marcegaglia.

L’Unità 27.05.11

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Marchionne minacchia perchè vuole la legge «ad aziendam», di Rinaldo Gianola

Ma che cosa vuole ancora Sergio Marchionne? Ieri ha fatto arrabbiare persino Emma Marcegaglia che, in un passaggio improvvisato fuori dal suo discorso all’assemblea della Confindustria, gli ha ricordato che sono finiti i vecchi tempi, quando una sola impresa poteva dettare la linea d’azione all’intera organizzazione imprenditoriale. Marchionne non s’è fatto vedere. C’era John Elkann, il pallido presidente della Fiat, che ha ripetuto, non si sa con quale convinzione, la solita litania: «L’uscita della Fiat da Confindustria non è un tema di oggi». Marchionne, il conquistatore della Chrysler che ha appena rimborsato i finanziamenti al governo americano con tanto di ringraziamento del presidente Obama(prestiti pubblici gravati da interessi fino all’11% e sostituiti con fondi bancari di costo inferiore), continua a non essere compreso pienamente in Italia. Non lo capiscono più nemmeno i suoi colleghi industriali. Eppure l’amministratore delegato della Fiat non avrebbe motivi di lamentarsi: continua a fare e a dire quello che vuole senza che nessuno, il governo, le istituzioni, le amministrazioni locali, larga parte dei sindacati, gli chiedano conto dei suoi impegni annunciati. Il ministro Sacconi, l’altro ieri, lo ha incontrato in privato e si è sentito rassicurato. Meno male. Obama ha chiesto a Marchionne impegni scritti e vincoli stringenti per consentirgli di avvicinarsi alla Chrysler. Nessuno regala niente,ma in Italia si guarda a Marchionne come alla Madonna pellegrina, senza nemmeno chiedergli conto delle sue azioni che interessano migliaia di lavoratori, intere comunità, consumatori e azionisti. Per esempio ha il sapore di una beffa, e anche qualche cosa di peggio, il fatto che Marchionne ed Elkann si siano presentati a Torino con il distintivo «paid», pagato, per celebrare il rimborso dei finanziamenti alla Casa Bianca. In Italia chi ha pagato, finora, sono i lavoratori che hanno accettato tutte le condizioni, seppur con molto disagio, imposte dall’impresa e che continuano a pagare le scelte del Lingotto con la cassa integrazione. A Pomigliano d’Arco le assunzioni della newco, ad oggi, sono 60 e la produzione della Nuova Panda dovrebbe iniziare alla fine di novembre, forse più tardi. E la vecchia Pandapolacca continuerà per altri tre anni. «Paid» si vanta Marchionne con il badge all’americana. Sarebbe interessante se qualche ministro, qualche sindacalista, qualche amministratore ricordasse quanto ha pagato il Paese per la Fiat, quanto pagano oggi gli operai in cassa integrazione. MaMarchionne nonsi tocca.Eallora perchè continua a minacciare di lasciare la Confindustria? Perchè fa arrabbiare la signora Marcegaglia e anche alcuni suoi amici industriali forse un po’ stanchi di sentire lezioni e lezioncine? Marchionne, nonostante le sue vittorie e i suoi diktat in fabbrica, vorrebbe la protezione totale da parte del governo e della Confindustria. Una specie di salvacondotto nel caso le sentenze dei Tribunali riconoscessero che nella creazione delle newco, e nelle condizioni di assunzione e di selezione del personale, la Fiat ha violato la legge italiana e le normative europee. Ci vorrebbe una legge «ad aziendam», un legittimo impedimento, che mettesse al riparo tutte le novità imposte nel piano di Fabbrica Italia. Dopo più di un anno dall’annuncio dell’ambizioso progetto al Lingotto, la Fiat in Italia è ancora in mezzo al guado: gli investimenti decisi sono per ora inferiori ai 2 miliardi di euro contro i20miliardi indicati fino al 2014, le produzioni sono in ritardo, la vittoria del sì ai referendum di Pomigliano, Mirafiori, Grugliasco non ha calmato le tensioni sociali nè rassicurato i lavoratori. Intanto la Fiat ha spostato il suo baricentro industriale e finanziario a Detroit. Le preoccupazioni di Marchionne sono fondate perché sa benissimo di aver strappato la tela dei contratti e delle regole condivise. Il 18 giugno a Torino c’è la prima udienza della causa avviata dalla Fiom contro il modello Pomigliano: se la Fiat vince non ci saranno problemi, ma se i giudici riconoscessero che i lavoratori devono essere assunti nelle newco portandosi dietro i loro diritti, la loro storia professionale, i principi stabiliti con i vecchi contratti, senza discriminazioni o selezioni particolari, allora il castello di Marchionne potrebbe crollare. Per questo il manager dei due mondi si agita, minaccia anche Confindustria e si interroga perchè in Italia non tutti comprendono la sua genialità

L’Unità 27.05.11