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"Ora, presto, l’alternativa", di Stefano Menichini

Non ce l’aspettavamo così. Nessuno se l’aspettava così. Neanche Giuliano Pisapia e i suoi bravi ragazzi, oggi ebbri di gioia, meritatamente elevati a eroi nazionali dopo anni trascorsi da pecore nere. Neanche Bersani, che pure aveva visto giusto e s’era sbilanciato sul ballottaggio.
Neanche noi di Europa, che un mese e mezzo fa avevamo incitato il Pd nazionale a crederci di più, perché a Milano poteva realizzarsi il miracolo.
È vero che il capolavoro deve ancora completarsi, ma il vento soffia nelle vele del centrosinistra. Lo dicono i numeri, che pretendono dalla Moratti una rimonta senza però bacini elettorali ai quali attingere, cosa che invece Pisapia può fare. E lo dice la politica.
Mentre scriviamo la Lega tace. Sconfitta, ferita, furiosa, minacciosa. Che cosa le importa del destino della Moratti, difficile da recuperare? Che cosa le importa dei ballottaggi? Il collasso dei rapporti con Berlusconi potrebbe verificarsi anche prima del secondo turno.
Anche oggi. Non sappiamo in quali forme. Ma la legislatura del 2008, trascinatasi fin qui, s’è chiusa. Con lo squillo di una stagione difficile ma comunque nuova, che nasce là dove era nato il gran ciclo berlusconiano. Ci sono molti altri dati, in questo terremoto elettorale che Berlusconi stesso ha trasformato in un giudizio divino.
Innanzi tutto la smagliante vittoria di Piero Fassino. Premio a un leader capace di tornare alle radici, un uomo che ha mostrato di conoscere la propria città anche andando controcorrente a sinistra (col sì a Marchionne, da non dimenticare), e che con Chiamparino scambia una staffetta: buongoverno locale (da oggi tocca a Fassino) per ruolo riformista nazionale (da oggi vedremo Chiamparino).
La mappa elettorale, da Cagliari a Trieste, da Olbia a Mantova, dice centrosinistra avanti. Finisce l’anomalia di una maggioranza che va in crisi senza alternative. Anche se sull’alternativa si allunga, da Napoli, un’ombra con la quale bisogna fare i conti.
Ma andiamo con ordine, perché c’è tempo per arrivare a Napoli, a De Magistris, all’irrisolto problema dei rapporti con l’area (molto trasversale) dello scontento radicale.
Prima di questo punto, forse neanche così complicato, ci sono ancora le notizie positive.
Una è di carattere generale, e si intuiva ieri dietro le parole di Bersani.
Si chiude il tormentone (giustificato) di una maggioranza che va in crisi senza che si palesi alcuna alternativa. A questa croce il Pd è inchiodato da più di un anno, man mano che diventava evidente il fallimento della seconda legislatura a guida berlusconiana senza che l’opposizione ne guadagnasse politicamente o elettoralmente.
Torniamo in una certa “normalità” democratica. Pdl e Lega perdono elezioni importanti, il Pd e le altre opposizioni le vincono. Attenzione, perché l’intera legislatura 2001-2006 andò così. Il centrodestra cominciò da subito a perdere le elezioni intermedie di ogni livello, completò con sofferenza il mandato, si presentò alle Politiche col solo Berlusconi ancora in piedi, le perse nonostante la rimonta. E subito dopo l’Unione cominciò a rovinare tutto.
Ecco, siamo un po’ tornati a quel punto. Finalmente si apre per il centrosinistra la prospettiva di una rivincita pulita, per via elettorale, senza ribaltoni o governi tecnici in mezzo. La sconfitta della maggioranza è tutta politica, democratica.
Nasce dal rigetto verso gli oltranzisti berlusconiani (che però ancora ieri sera parlavano: sta per scattare lì dentro una resa dei conti?), dal confronto fra candidati tornati a essere (com’era tradizione) molto migliori nel centrosinistra.
E nasce da un dato per la Lega terribile, letale: federalismo e leggi anti-immigrati non regalano alcun dividendo elettorale. È qui che per il Pd deve scattare l’allerta. È qui che bisogna ricordare le esperienze fatte. È qui che non bisogna farsi trascinare dall’entusiasmo (a Milano sì, a Milano ogni entusiasmo irrazionale in queste ore è giustificato).
Lo spin di queste ore, l’unico che una destra rintronata riesce ad articolare, è che il Pd starebbe in realtà perdendo nel giorno della sua prima vittoria, perché sarebbe ostaggio degli estremisti.
Lo spin è ridicolo se applicato a Pisapia e a Milano, dove l’estremismo s’è visto da quale parte sia, e dove il Pd affianca al successo del candidato il proprio successo di partito. È vero invece che il dato delle liste di Grillo e quello di Napoli potrebbero indurre in errore.
C’è un modo solo per smontare la tesi della deriva estremista: riconoscere che la stagione nuova del centrosinistra non può nascere se non rompendo la continuità col peggio di sé. A Napoli e a Bologna, per motivi e in misura molto diversi, c’è una giustizia di fondo nelle difficoltà democratiche. E gli elettori colpiscono questa continuità negativa, senza premiare il centrodestra, votando chi appare “fuori dai giochi”. C’è dunque un’ampia possibilità d’appello, c’è tempo e margine per ripristinare una leadership riformista laddove è stata così malamente dissipata. A patto di dare segnali forti. Anche a Bologna, nonostante Merola sia scampato per un soffio al ballottaggio.

da Europa quotidiano 17.05.11

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“Daniela va al tappeto”, di Fabrizia Bagozzi
Chi di estremismo ferisce, di estremismo perisce. La Waterloo della Madunina ripaga Daniela Santanché nata Garnero, della sua stessa moneta. Occupata com’era a dimostrare (o a far dimostrare) con ogni argomento – tutti sistematicamente sbugiardati – che Giuliano Pisapia non è una «forza gentile» espressione della buona borghesia milanese ancorché di sinistra, ma più o meno un mascherato fiancheggiatore di terroristi di varia natura, non si è accorta che i milanesi in effetti si sono presi paura.
Non già di Pisapia, ma dell’estremismo che lei, eccessiva nel Dna e perciò stesso leader naturale dei falchi del berlusconismo al tramonto, incarna senza mai mostrare la più vaga parvenza di un tentennamento.
La santancheide è piena di affermazioni – si suppone di convinzioni – nette e affilate come una lama.
Con Daniela non c’è spazio per il dubbio, la sfumatura, l’interrogativo. O è tutto bianco o è tutto nero. Ogni occasione è buona per esibire i muscoli (peraltro decisamente tonici). E allora ecco che organizza la claque berlusconiana fuori dal tribunale di Milano, tifa Lassini innervosendosi quando la Moratti s’infuria, definisce Ilda Boccassini «un cancro per la democrazia», e spinge per il colpo sotto la cintola sferrato a Pisapia nell’ultimo miglio della campagna elettorale.
Il tutto con Cavaliere senziente e niente affatto contrariato. A un certo punto, però, Milano ha deciso che era troppo. E che, come minimo, andava dato un segnale. E che segnale. Così Daniela, sottosegretario pidiellino per l’attuazione del programma incassa, nell’ordine: 1. un ballottaggio; 2. un ballottaggio con Letizia Moratti a rincorrere e un bel po’ da recuperare; 3. Pisapia in trionfo, qualunque cosa accada fra quindici giorni.
Santanché ora minimizza ma non si smentisce: «La sua vittoria sarebbe come portare il Leonkavallo a palazzo Marino, una cosa bestiale. Come portare la droga senza se e senza ma: ha sempre detto che gli spinelli non fanno male». Santanché è in knock out.

da Europa Quotidiano 17.05.11