attualità, lavoro

"Morti bianche e invisibili", di Ilvo Diamanti

Sono passati pochi giorni dalla tragica morte di cinque ragazze, travolte dal crollo di una palazzina, a Barletta. Nel sottoscala, dove le vittime lavoravano “in nero”. nche se ci si ostina a chiamarle morti “bianche”. Per sottolineare come a provocarle non sia l´intervento diretto di qualcuno. Ma, perlopiù, l´assenza di norme e strumenti di prevenzione nei luoghi di lavoro. Con il rischio di svalutare il fenomeno mentre lo si nomina. Le morti “bianche” evocano, infatti, morti minori. Di persone minori. Senza identità.
Ieri, giornata nazionale delle vittime degli incidenti sul lavoro, Napolitano ha ammonito a non abbassare la guardia su questo tragico fenomeno. Che, nel 2010, ha causato circa 1000 vittime. Poco meno di tre al giorno. Una strage. Che, tuttavia, non fa notizia se non quando le vittime sono molte. Come a Barletta, la settimana scorsa. Come alla Thyssen-Krupp, dove, nel 2007, morirono sette operai. Bruciati vivi. Se non muoiono in tanti, insomma, diventano invisibili. Sperduti nella cronaca nera – o meglio, bianca. Niente a che vedere con un omicidio avvenuto in famiglia, tra vicini di casa oppure fra amici. Non è un caso che gli incidenti sul lavoro occupino uno spazio marginale nei notiziari televisivi. Basta leggere i dati dell´Osservatorio Europeo sulla Sicurezza (curati dall´Osservatorio di Pavia insieme a Demos e alla Fondazione Unipolis). Considerando tutti i Tg nazionali di prima serata (Rai, Mediaset e La 7), nei primi nove mesi del 2011 (1 gennaio-30 settembre), le notizie relative a incidenti sul lavoro risultano 32 e pesano per lo 0,1% sul totale. Cioè, praticamente nulla.
L´irrilevanza del fenomeno sul piano dell´informazione mediatica e televisiva riflette un livello di sensibilità sociale altrettanto ridotto. La graduatoria delle paure della popolazione, rilevata dalla stessa fonte (sondaggio Demos per l´Osservatorio Europeo della Sicurezza, dicembre 2010, 2500 casi) vede, infatti, gli infortuni sul lavoro agli ultimi posti. Occupano la 23esima posizione in una lista di 25 motivi di ansia. Solo l´11% del campione afferma di provare preoccupazione, al proposito. Una quota di cinque volte inferiore, ad esempio, rispetto alla criminalità, alla disoccupazione e alla distruzione dell´ambiente. Metà di quanti dichiarano di aver paura – frequentemente – dell´insorgere di nuove malattie (Sars, influenza A, morbo della mucca pazza, ecc.).
Eppure, se scorriamo i dati dell´Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti per Infortuni sul lavoro (curato da Carlo Soricelli), il fenomeno appare di proporzioni assai più ampie e drammatiche degli effetti prodotti dall´influenza A o dalla criminalità comune. Tra l´1 gennaio e il 9 ottobre 2011: 514 morti, che salgono a oltre 830, se si considerano gli incidenti nel percorso fra casa e lavoro. Rispetto all´analogo periodo di un anno fa, l´aumento delle persone decedute è di 13 punti percentuali (l´Anmil fornisce dati leggermente diversi, ma non di molto.) Come interpretare, allora, la sotto-valutazione che caratterizza la rappresentazione mediale e la percezione sociale?
La prima ragione l´abbiamo già segnalata. Si tratta di un «massacro diffuso». Si verifica, infatti, raramente nelle aziende medio-grandi, dove la prevenzione è attuata con maggior rigore dalle imprese e la presenza sindacale garantisce un buon grado di controllo. Anzi, gli infortuni mortali avvenuti in fabbrica costituiscono una componente ridotta: circa il 10% del totale.
La gran parte degli incidenti mortali, invece, avviene in altri settori, dove prevalgono condizioni di informalità e scarsa visibilità (Osservatorio di Bologna). Nell´edilizia: 133 vittime, oltre un quarto del totale. E soprattutto nell´agricoltura: 162 morti, quasi un terzo del totale. In particolare, il maggior numero delle vittime (200) è costituito da persone schiacciate dal trattore, che esse stesse guidavano.
Ciò suggerisce il secondo motivo della scarsa visibilità attribuita al fenomeno. Che appare sciolto nell´informalità (nel vero senso della parola) della vita quotidiana. Gli incidenti e le morti avvengono dietro a casa nostra, in campagna, nei cantieri degli edifici in costruzione. Dove le norme sulla prevenzione e sulla sicurezza sono poco osservate perché gli stessi lavoratori, in molti casi, prestano loro relativa attenzione. E le vittime sono, spesso, gli stessi imprenditori, lavoratori autonomi e artigiani. Oppure lavoratori stranieri, i quali, come “vittime”, fanno meno notizia di quando sono i responsabili di reati.
Il contesto in cui si verificano gli incidenti e le morti spiega il profilo socio-demografico del fenomeno. Che colpisce molte persone con più di 65 anni: oltre un quarto del totale. E numerose con più di 80 anni. D´altronde, nei settori tradizionali, soprattutto l´agricoltura, gli occupati sono, appunto, invecchiati. Mentre nell´edilizia le vittime sono, piuttosto, gli immigrati. La geografia del fenomeno, infine, si concentra nelle regioni del Nord: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto. In altri termini: le aree più industrializzate. È la geografia sociale ed economica di un´Italia informale e, in parte, “nera”. Dove il lavoro si svolge in condizioni, spesso, precarie e ir-regolari. Al di fuori di controlli, garanzie, norme, statuti.
Il che fornisce un´ulteriore chiave di lettura della disattenzione verso un fenomeno così drammatico. Se le morti sul lavoro non suscitano indignazione e neppure tanta sensazione (al di là dell´emozione del momento), è anche perché sono percepite come un rischio inevitabile – e ragionevole – del lavoro e dell´attività produttiva. Soprattutto nell´ambito dell´economia diffusa, nelle aree e nei settori dove prevalgono la piccolissima impresa, l´azienda individuale e il lavoro autonomo. Dove il reddito familiare, la posizione sociale, la stessa identità individuale dipendono dal lavoro. Dove, per citare Luigi Meneghello (in “Libera nos a Malo”), “lavorare bisogna come morire bisogna”. Questo fatalismo diffuso, nei media e nella società, induce a tollerare la morte come un male necessario. A trattare le regole come vincoli in-naturali. Da infrangere e bypassare. Per legittima difesa. In nome del mercato, del lavoro, del risultato d´impresa. Sperando in un condono.
Ma nessun “risultato d´impresa” può valere una vita. E la morte: nessuno mai la potrà “condonare”.

La Repubblica 10.10.11

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“Sul lavoro tre morti al giorno Napolitano: strage inaccettabile”, di Umberto Rosso

Schifani: cancro da estirpare. Fini: sfida nazionale
«Inaccettabile. Su morti bianche e infortuni sul lavoro non si può abbassare la guardia, pur nella crisi economica». Insomma, la prevenzione non si può tagliare. Torna a farsi sentire Giorgio Napolitano contro quella vera e propria strage che insanguina fabbriche, cantieri e i tanti laboratori clandestini nel nostro paese.

Tre morti al giorno. Quasi mille all’anno. Nel 2010 gli incidenti sono stati 775 mila. Con un aumento delle vittime soprattutto fra le donne, come dimostra anche la tragedia di Barletta dei giorni scorsi, e nel settore dei trasporti. E aumentano le malattie professionali, il 20 per cento di denunce in più rispetto allo scorso anno. Cinque miliardi, solo lo scorso anno, la cifra degli indennizzi versati.

Un amarissimo bollettino di guerra, documentato dall’Inail, e reso noto dall’Anmil (che è l’associazione degli invalidi e dei mutilati) nella Giornata dedicata alle migliaia di lavoratori caduti o feriti sul posto di lavoro. Più sicurezza e controlli per fermare dunque la catena di morte, invoca l’associazione nel convegno al quale prende la parola anche il ministro Sacconi («qualcosa sta cambiando, l’anno scorso il numero delle vittime è diminuito rispetto all’anno precedente»). E il titolare del Welfare si è impegnato in una revisione degli indennizzi per il danno biologico.

Una sfida, quella sul sicurezza sul lavoro, «che va vinta» dice il presidente della Camera Fini.

«Le morti bianche sono un cancro da estirpare» insiste il presidente del Senato Schifani. Bersani sollecita maggiore controlli. E Di Pietro denuncia una violazione sistematica nelle aziende delle leggi contro gli infortuni. Allarme raccolto dal presidente della Repubblica, che ha già espresso tutto il suo sdegno per la tragedia di Barletta con le cinque vittime nel crollo della palazzina, lavoranti «vergognosamente sottopagate in nero» a quattro euro all’ora. La «significativa» riduzione di morti sul lavoro nel 2010, dice Napolitano, «deve essere considerata non un traguardo ma una tappa del percorso volto ad assicurare la piena osservanza di tutte le norme». Dunque, scrive il capo dello Stato nel messaggio al presidente dell’Anmil Bettoni, pur nella crisi economica generale che negli ultimi anni ha colpito il nostro paese, «non può abbassarsi la guardia riducendo gli investimenti nel campo della prevenzione e della sicurezza sul lavoro». È necessario continuare a contrastare con determinazione «la piaga del lavoro nero al quale troppo spesso si accompagnano forme di sfruttamento e di violazione delle norme a tutela della sicurezza».

I dati parlano di una triste media di tre morti sul lavoro ogni giorno nel 2010. Pur registrando un lieve calo del fenomeno con 775.374 incidenti (15 mila in meno rispetto all’anno precedente) i casi mortali sono stati comunque 980. Quel che preoccupa è l’aumento dei decessi tra le donne e soprattutto nel settore dei trasporti.

Crescono i morti nella fascia compresa tra i 50 e i 64 anni. Le cifre provvisorie dei primi sei mesi del 2011 indicano che gli incidenti mortali non diminuiscono. Il dato della diminuzione secondo l’Anmil va letto con molta cautela perché si inserisce in un contesto «caratterizzato da un calo dell’occupazione». E perché «non trapelano notizie e denunce» dal mondo del lavoro nero.

La Repubblica 10.10.11