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“L’Aquila già blindata, l’ira degli sfollati”, di Giuseppe Caporale

Tra scosse e nubifragi, nelle tende un giorno da incubo. “E ora hanno pure militarizzato la città, il G8 non ha dato un euro alla nostra economia. E qui le aziende chiudono una dopo l’altra”.
L’AQUILA – «Il mostro è tornato… Hai sentito che botta?». Nella tendopoli di piazza D’Armi, un’ora dopo la nuova scossa che ha fatto ripiombare L’Aquila – o ciò che ne rimane – nella paura, almeno in apparenza è come se non fosse successo nulla.

Qui, da tre mesi, millecinquecento terremotati combattono faticosamente per la normalità. Tra tende, polvere, caldo e pioggia. Ieri, poco dopo la scossa, sull’Aquila si è abbattuto un violento nubifragio che ha allagato le tendopoli. I cui abitanti tirano avanti come possono, combattono usando come arma i lavori quotidiani: fanno il bucato, cercano di tener pulita la tenda, trascorrono la giornata tra pali, viti e martelli. Come Enzo Spadoni, cinquantenne: «Stiamo montando un palco, perché sabato celebriamo il primo matrimonio dentro la tendopoli. Mi raccomando, venite a vedere…».

Il “mostro” come, ormai da mesi, da queste parti chiamano il terremoto, è appena passato e, ancora una volta, a sentire i loro racconti della gente che vive qui, ha scatenato il panico.

«La paura è stata forte – dice Spadoni – quelli che erano nelle tende sono scappati fuori». «La gente qui è stanca di queste scosse – racconta Gaetano, volontario della Protezione Civile – è sfinita dal terremoto e dalle sue conseguenze».

Già perché la terra trema ancora, dopo novanta giorni di sisma continuo, ma non è solo questo il problema. Fuori dai cancelli dei campi d’accoglienza, c’è una città in macerie che attende il G8. Con tutti i disagi connessi: posti di blocco, lavori in corso per le strade, nuove norme sulle limitazioni del traffico per vie costellate da palazzi bucati dal sisma.

Quei pochi residenti che hanno avuto il coraggio di rientrare nelle case agibili, e abitano in prossimità della caserma della Guardia di Finanza (dove si svolgerà il summit), vivono come un incubo l’appuntamento internazionale. Come in via Borghese, a meno di un chilometro dalla scuola sottufficiali. Qui i militari hanno schedato gli inquilini, controllato i telefoni, chiesto notizie su chi frequenta le abitazioni.

«La città è militarizzata – si sfoga Mattia Lolli, leader del comitato cittadino 3e32 – le strade presidiate. In tendopoli la sera quando si esce, se non si fa ritorno per la notte, bisogna comunicarlo al capo-campo… Ma questa è la nostra città o almeno lo era. Agli aquilani non importa nulla del G8, che non ha portato un euro alla nostra economia locale. Le ditte che lavorano sono tutte di fuori. La ricostruzione vera, quella delle nostre case, è ferma. Il governo vuole solo usare L’Aquila come un teatro, per far venir qui a commuoversi i Grandi della Terra».

Ma c’è un altro “mostro” che sta uccidendo la città terremotata: la disoccupazione. Dal 6 aprile ad oggi per settemila aquilani è scattata la cassa integrazione. Ogni giorno chiude un’azienda. E il pasto garantito nelle centosessanta tendopoli è diventato soprattutto una necessità. E qualcuno non nasconde di avere un’altra paura: «Cosa ci accadrà dopo il G8? Come sopravviveremo a tutto questo?».
La Repubblica 04.07.09