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“Il tetto di spesa al caro libri c’è. Peccato sia solo sulla carta”, di Raffaello Masci

Il caro libri non dovrebbe esserci perché il ministero ha preso tutte le misure idonee affinché il fenomeno non si verifichi. Anzi, ha addirittura bloccato i tetti di spesa. Eppure se vi disponete a comprare i libri per i vostri figli, vi accorgete che la batosta è dietro l’angolo e il mercato non sta a sentire prediche di sorta. Cominciamo la storia dall’inizio. Il ministero ha introdotto dei tetti di spesa per l’acquisto dei libri scolastici fin dal 1999, tempi del ministro Luigi Berlinguer: tabelle rigorose fissano le colonne d’Ercole della spesa per tutte le classi, dalla prima media fino all’ultimo anno delle superiori con un margine di tolleranza del 10%. Il tetto può essere adeguato ogni anno all’aumento dell’inflazione, ma il ministro Maria Chiara Carrozza quest’anno l’ha tenuto sui livelli dell’anno scorso. Eppure i prezzi aumentano, perché lo sforamento del tetto è all’ordine del giorno: in parte dovuto ad un sotterfugio, quello dei libri «consigliati» che di fatto diventano obbligatori perché fanno al differenza tra chi ce l’ha e chi no. Ma soprattutto si sfora perché le leggi (molte leggi) sono come le grida manzoniane contro i bravi: ci sono ma nessuno le rispetta, tanto non succede nulla. Il sito Skuola.net ha provato a indagare e ha spulciato nelle liste delle adozioni dei testi. Intanto ha rilevato che mentre per tutto il sistema scolastico esiste un ampio open data (gli iscritti, le scuole, i docenti, la spesa, eccetera), accedere ai dati sulle adozioni è complicato: ogni quattro tentativi il sistema ti butta fuori. Vuoi fare una indagine? Armati di pazienza e rientra ogni volta che ti espellono. «E così – dice Daniele Grassucci direttore del sito – siamo riusciti con grande fatica a monitorare 100 scuole in 10 città e abbiamo rilevato che il 20% ha sforato il tetto, impunemente, e il 30% non è andato oltre il limite tollerato del 10% ma comunque oltre la cifra base prevista».

Possibile? Il ministero fa sapere che le direzione scolastiche regionali sono obbligate a monitorare il fenomeno e stanno lì come il Minosse dantesco che «giudica e manda secondo che avvinghia», ma poi non hanno strumenti sanzionatori, e tanti saluti a chi ha innalzato tetti e cupole (ma non sarebbero più del 5-10% secondo il ministero).

E, in ogni caso – dicono sempre da Roma – esistono i fondi per il diritto allo studio affidati dal governo alle Regioni, per venire incontro alle famiglie che non ce la fanno a comprare i libri e questo fondo è stato incrementato (il decreto è in via di pubblicazione) di 69 milioni. Se c’è il problema, dunque, c’è anche l’aiuto pubblico.

Esiste poi, da tempi immemorabili, l’antico sistema di rivolgersi all’usato. Ma da qualche anno anche quest’arma è spuntata. Nel 2009, infatti, la riforma Gelmini ha cambiato la fisionomia della scuola italiana ed è del tutto logico che ciò che andava bene prima non è più andato bene poi. Il ministro Gelmini si è premurata di porre rimedio imponendo che un libro adottato tale dovesse rimanere per 5 anni (scuola media) o addirittura 6 (scuola superiore) e che dal 2012 sarebbe arrivato il libro digitale a sovvertire tutto il mercato, con sgravi importanti per le famiglie. Francesco Profumo, subentratole al ministero, ha rivisto questa norma: ha rimosso il blocco dei 5 e 6 anni ma ha introdotto l’obbligo – sia pur spostato all’anno scolastico 2014/15 – di libri solo digitali a iniziare dalle prime classi dei vari ordini di scuola (prima media, prima superiore). L’idea era quella di dare prodotti più evoluti e molto meno cari, ma la norma di Profumo è stata impugnata al Tar dagli editori ed è ancora nel Limbo. Non è certo, tuttavia, che possa produrre un abbassamento della spesa, perché se il libro digitale non ha il costo della carta, ha quello dei diritti d’autore dei contenuti digitali e l’Iva che dal 4 passa al 21 per cento. In tutto questo una cosa è certa fin da ora: l’usato potrà tranquillamente andare al macero.

La Stampa 05.09.13