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“Io, candidata al test di Medicina. Uno slalom che diventa lotteria”, di Flavia Amabile

È stata questione di un istante. Ero appena entrata nell’aula, per prima, visto il cognome e il destino che mi accompagnano fin dai tempi della scuola e degli elenchi in ordine alfabetico. Ho lasciato il documento, firmato la presenza, ritirato il mio bustone ancora chiuso con il test, un’assistente della commissione mi ha chiesto di sedermi in ultima fila, ma la presidente l’ha corretta: «No, iniziamo dalla prima fila». È partita così la mia avventura fra i 7.101 iscritti al test di Medicina e Chirurgia alla Sapienza di Roma. Con una imprecazione sottovoce per la sfortuna. D’altra parte agli slalom e alle lotterie bisogna essere preparati, se si decide di partecipare alla selezione per diventare matricola di Medicina.
Lo slalom inizia già a luglio, quando ci si iscrive. La procedura è complicata, piena di siti a cui iscriversi, password da creare, server sovraccarichi perché nello stesso momento decine di migliaia di persone stanno provando a fare quello che vuoi fare tu e, quindi, sei costretto a ripetere l’operazione per più giorni senza capire che cosa esattamente non funzioni, finché, senza un motivo apparente, a un certo punto premi il tasto «Invia» e la tua domanda viene davvero inviata. Sei iscritto.
O perlomeno speri di essere iscritto. Di ufficiale hai solo una mail che prova che hai pagato i 35 euro di tassa (ma in altri atenei costa di più), un altro foglio che certifica l’iscrizione al portale Universitaly da cui si deve iniziare la procedura, e nient’altro. Non una comunicazione che dica: sei iscritto, ci vediamo il 9 settembre. O che ti dia qualche certezza in più. Nulla. Ed è fine luglio.
Se fossi stata una diciottenne con un futuro legato al test avrei avuto serie difficoltà ad addormentarmi ogni sera. La conferma che tutta la fatica fatta tra i server universitari aveva un senso arriva il 5 settembre. Una mail della Sapienza comunica il numero dell’aula e allega il link di una mappa decisamente utile per un ateneo in cui ci sono 91 aule usate per i test. Con una seconda mail arriva l’elenco dell’assegnazione delle aule: siamo divisi per età.
Sono con i vecchietti, quindi, gli over-40, quelli che provano e riprovano ogni anno e sperano di imparare dagli errori degli anni precedenti, e che una volta o l’altra sia quella buona.
In totale siamo in 47. C’è una suora di origini africane, un’inglese che si ostina a parlare inglese, mandando su tutte le furie la presidente della commissione. Ci sono gli iscritti a scienze infermieristiche che sperano di fare il salto, ci sono quelli che da una vita sognano di diventare medici e non hanno intenzione di abbandonare il loro sogno.
A qualsiasi costo. E non c’è minaccia che tenga. La presidente di commissione è durissima. Ci avverte dal primo istante: non vuole ricorsi nella nostra aula. Divide, separa, ordina la disposizione dei posti, pone il divieto assoluto di andare in bagno durante il test mentre in altre aule c’è maggiore elasticità. Vorrebbe anche silenzio completo durante le due ore di attesa, quando il test ancora non è iniziato.
Non otterrà nulla. In due arrivano in forte ritardo e con alcuni pezzi della registrazione mancanti: non vengono ammessi, ma minacciano ricorso. Quando alle 11 viene dato il via al test, persino io, che sono in prima fila e ho tutti e tre i componenti della commissione schierati davanti a me, riesco a fotografare e filmare il mio compito e parte di quello che avviene intorno. A fatica, approfittando dei pochi momenti di distrazione, ma qualcosa riprendo. Non invio nulla dall’aula in rete per evitare di invalidare la prova.
Nelle ultime file c’è più libertà. I componenti della commissione salgono fino agli ultimi banchi solo quattro o cinque volte nei cento minuti della prova. Spesso l’aula resta con due sorveglianti, mentre il terzo va in bagno. E quando sono lì, sono soprattutto seduti alla cattedra (davanti a me) a redigere i verbali nel tentativo di arginare i due probabili ricorsi.
Ci vuole una buona dose di autocontrollo per concentrarsi. Mentre dovremmo avere la tranquillità necessaria per ragionare su complessi quesiti di Logica, di Matematica, di Chimica, arrivano telefonate alla presidente per decidere come comportarsi con i due ritardatari. Non ascoltare è impossibile: mentre la prova è in corso veniamo chiamati a fare da testimoni di quanto accaduto.
Alle 12,40 si consegna. Qualcuno lo fa subito. Qualcun altro aspetta. Mentre i componenti della commissione passano tra i banchi i veterani dei test sanno che c’è modo di controllare qualche risposta, di passarsi gli ultimi suggerimenti. E, quindi, sì, ai test si può copiare e si copia, ma ci vuole fortuna e impegno: siamo proprio sicuri che non sia più utile utilizzare lo stesso tempo per studiare?

La Stampa 10.09.13