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«Controllo e possesso di lei. Così nasce il femminicidio», di Jolanda Buffalini

Linda Laura Sabbadini ha ricevuto, ieri, nel teatro settecentesco di Montalcino, il premio internazionale Casato Prime donne 2013 per «l’azione concreta contro la violenza sulle donne». Linda Laura Sabbadini è direttore del dipartimento di statistiche sociali e ambientali dell’Istat ed è stata lei, insieme ad un gruppo di ricercatrici, dell’Istat a mettere a punto la metodologia statistica che ha fatto emergere i dati choc sulla violenza che si consuma dentro e fuori le mura domestiche e che, nella stragrande maggioranza dei casi (96,3%), non viene denunciata. Secondo l’indagine realizzata nel 2006 sono 6,7 milioni le donne che in Italia hanno subito violenza fisica o sessuale, si arriva a 10 milioni se si aggiungono le violenze psicologiche. Linda Sabbadini ha portato la sua esperienza alle Nazioni Unite, dove sono state elaborate, le linee guida mondiali.

Come siete riusciti a far emergere un fenomeno nascosto di tale portata?
Ci sono voluti 4 anni di sperimentazioni. La cosa più importante, che abbiamo compreso è come fare le domande. La violenza non è riconosciuta come tale, solo il 7% denuncia e solo il 18% considera reato ciò che ha subito. Non si puo chiedere ad una donna se ha subito violenza, perché potrebbe dire di no anche se l’ha subita. Molte donne non riconoscono la violenza. Si deve allora descrivere la violenza subita, ha ricevuto, schiaffi, ha ricevuto calci, è stata costretta ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà’ e così via»

L’Europa non fa indagini sulla violenza contro le donne?
«La violenza è fin troppo sottovalutata. Per rilevare il Pil o l’inflazione, ci sono delle linee guida con norme vincolate, e, se un Paese non le applica incorre in una procedura di infrazione. La violenza, invece, è un optional. L’Istat ha potuto fare l’inchiesta grazie al finanziamento del ministero delle Pari opportunità e anche adesso la sta rifacendo perche il ministero e’ riuscito a trovare i fondi,ma, in queste condizioni, può restare un episodio, mentre per sapere se il fenomeno cresce o decresce, si dovrebbe ripetere La rilevazione con sistematicità. È fondamentale che un istituto pubblico come l’Istat – con il suo rigore metodologico – svolga questo tipo di ricerca periodicamente».

I quotidiani raccontano molti casi di femminicidio. Sono aumentati o c’è una maggiore attenzione?
«C’è una maggiore attenzione ma c’è anche da notare che, mentre gli omicidi degli uomini sugli uomini spesso maturati nell’ambito della criminalità organizzata, sono crollati, gli omicidi degli uomini sulle donne sono sostanzialmente inchiodati, e in gran parte opera di partner o ex partner».

Delitti senza movente?

«Il movente si annida nello squilibrio nelle relazioni fra i sessi , nel desiderio di controllo, dominio, possesso del maschile sul femminile. Siamo di fronte a un fenomeno strutturale, difficile da intaccare perché collegato a stereotipi culturali profondi. Per ottenere risultati ci vuole molto lavoro, politiche e investimenti continui e permanenti, aldila’ dei singoli governi,sostegno forte ai centri antiviolenza, integrazione del l’azione di diversi ministeri. Il femminicidio è la punta di un iceberg a fronte di 10 milioni di donne che hanno subito diversi tipi di violenze».

Il termine femminicidio ha sempre suscitato molte polemiche, molti sostengono che un delitto resta tale, che sia contro un uomo o contro una donna.

«Invece si tratta di delitti di una particolare natura. C’è un aspetto che riguarda l’immaginario: se a compiere la violenza è un italiano si parla di follia, di raptus. Quando è un immigrato si dice, invece, che è barbarie. È barbarie sempre, desiderio di dominio che si esprime quando cresce l’autonomia femminile. E c’è sempre una escalation violenta. Per questo è importante la comunicazione ed è importante il lavoro dei centri antiviolenza». Cosa bisogna far sapere?

«Bisogna preoccuparsi sin dal primo episodio perché ci sarà l’escalation di violenze combinate, psicologiche, fisiche, sessuali. Il 20 % delle intervistate ha detto di avere avuto paura per la propria vita. Una percezione del rischio molto alta, ma non hanno denunciato in maggioranza. Molte donne subiscono per non danneggiare i figli. Non sanno di fare ai figli un danno più grave. Ricerche internazionali hanno dimostrato che un figlio maschio che assiste alla violenza della madre ha una probabilita’ molto piu’ alta di diventare a sua volta un violento. E le figlie femmine di subirla a loro volta». Quali sono i gruppi sociali più colpiti? «Non ci sono eccezioni, italiane e straniere, ricche e povere, istruite e non istruite. È un fatto sociale e culturale prima che individuale. Cresce il numero delle straniere che denuncia, sono circa il 32% del totale. Però potrebbe essere la spia di un fenomeno sommerso molto vasto, poiché è più difficile denunciare soprattutto un proprio connazionale ».

L’Unità 15.09.13