attualità, economia, lavoro

Riva, i PM contro l’azienda: “non c’è divieto d’uso dei beni”, di Laura Matteucci

Una nota della Procura di Taranto sconfessa la posizione del gruppo Domani mobilitazione unitaria. La serrata costa almeno 2,4 miliardi. Mentre i sindacati spingono per il commissariamento del gruppo e per un decreto, chiedendo la riapertura degli stabilimenti, la Procura di Taranto fornisce la propria chiave di lettura su quello che sta accadendo al gruppo Riva Acciai. Il provvedimento di sequestro nei confronti di 13 società collegate al gruppo, eseguito dalla Guardia di Finanza di Taranto mercoledì scorso, «non prevede alcun divieto di uso» dei beni aziendali sequestrati – dice una nota del procuratore Franco Sebastio. In altre parole, i sequestri «non pregiudicano l’attività produttiva», e peraltro «il custode-amministratore » nominato dall’autorità giudiziaria «è autorizzato ex lege a gestire eventuali necessità di ordine finanziario ». Una risposta che rimanda ufficialmente al mittente, cioè ai vertici di Riva, le accuse di aver causato la fermata degli impianti, come fosse un atto dovuto dopo il provvedimento giudiziario. Se il gruppo ha deciso di chiudere sette forni elettrici dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto (nelle province di Cuneo, Lecco, Brescia, Varese e Verona, parecchio lontani dall’impianto che avvelena la città pugliese) e «mettere in libertà» 1.400 dipendenti, insomma, il sequestro dei beni non c’entra nulla: il re è nudo e di fatto, come rileva anche il ministro allo Sviluppo Flavio Zanonato, si può continuare a produrre. «Questo è quello che ci interessa – dice – che l’azienda possa continuare a produrre».

CONTINUANO LE PROTESTE La palla passa di nuovo alla famiglia Riva. E la partita è assai delicata. Domani il presidente del gruppo Bruno Ferrante incontrerà Zanonato, e avvierà le procedure per la richiesta di cassa integrazione straordinaria per i lavoratori (che verrà poi discussa dal ministro al Lavoro Enrico Giovannini giovedì 19), proprio mentre sarà in corso la mobilitazione unitaria organizzata da Fim, Fiom e Uilm. Le proteste, comunque, in questi giorni non si sono mai fermate, con cortei e presidi nelle città sedi degli stabilimenti. Ma la vicenda, se gli impianti siderurgici non verranno riattivati a breve, rischia di avere effetti ancora più drammatici, coinvolgendo a cascata l’intera filiera dell’acciaio, e mettendo a rischio anche gli stabilimenti del gruppo all’estero (sette acciaierie, una ventina di siti). Il costo della chiusura, già di per sè, raggiunge i 2,4 miliardi, ma non tiene conto del rischio di perdita di ordini e commesse che potrebbero venire dirottati nel giro di poche settimane verso la concorrenza. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi l’allarme l’ha già lanciato: «Ho ricevuto molte telefonate da parte di imprenditori che lanciavano un appello drammatico perché gli stock di acciaio forniti dal gruppo Riva iniziano ad esaurirsi con danni incalcolabili sia sul piano produttivo sia sul versante occupazionale », ha detto al Sole 240re. Siamo appesi a un filo, è stato il suo ragionamento, e rischiamo di uscire da settori strategici come l’acciaio, la meccanica, la componentistica. Con un appello alla politica perché fornisca «un quadro di certezze giuridiche in cui operare». Forte la preoccupazione anche tra i sindacati. Per la leader della Cgil Susanna Camusso «l’equilibrio tra i provvedimenti giudiziari e la tenuta occupazionale di Riva Acciaio può risolversi con un apposito decreto». L’obiettivo è scongiurare la chiusura dei sette stabilimenti: «Occorre una norma – spiega Camusso – che garantisca continuità produttiva, rapporto con i fornitori, attività lavorativa. Bisogna farlo rapidamente prima che questo blocco determini la perdita del lavoro con la chiusura degli stabilimenti. C’è il rischio del declino delle fabbriche e questo mette in difficoltà un sistema produttivo che deve rivolgersi al mercato ». Un coro unanime, cui si unisce anche il leader di Sel Nichi Vendola. Il segretario della Fiom Maurizio Landini parla della cassa integrazione chiesta dall’azienda come di una «prospettiva importante ma non sufficiente». Quello che serve davvero, dice, è il commissariamento, altrimenti «il vero rischio è una drastica riduzione del gruppo», e su questo è d’accordo anche la Fim. «La Cig è importante – spiega Landini – perché la messa in libertà dei dipendenti era stata una drammatizzazione insopportabile, considerando anche il mancato pagamento degli stipendi; utilizzare la cig vuol dire tornare almeno alla normalità. Ma il vero problema è far lavorare quei lavoratori, la questione è la ripresa produttiva». A partire dal fatto che per Landini la responsabilità principale della situazione «è dell’azienda e della proprietà, che non ha fatto investimenti e ha violato leggi: ci sono responsabilità precise che vanno affrontate. Poi – continua – ci sono anche ritardi ed errori, dei governi e anche, non lo nascondo, dei sindacati».

L’Unità 15.09.13