attualità, politica italiana

“Il copione sgualcito”, di Piero Ignazi

L’ennesima replica di un copione ormai sgualcito lascia indifferente la grande platea dei moderati. Tra i tanti che per atteggiamento mentale o scelta politica respingono tutto quanto sappia di sinistra circola delusione e smarrimento. Il loro campione è all’angolo. Lancia invettive stridule e ripete slogan dal sapore amaro. Ma non basta il velo consolatorio della nostalgia a riscaldare gli animi.
Il messaggio televisivo di Berlusconi è algido, livido, lontano. Riflette plasticamente la fine di una epoca. La cacciata da Palazzo Chigi con tanto di lancio di monetine due anni fa non aveva travolto il Cavaliere perché, nonostante tutte le sue responsabilità, non ci “aveva messo la faccia”. Questa volta l’epilogo si consuma sulla sua figura e sulla sua storia. La cacciata dal Senato poteva essere minimizzata adottando un profilo alto, e cioè accettando le sentenze pur proclamando, e argomentando, la propria innocenza. Invece nulla di tutto questo. Come nell’autunno del 1994, grida ancora al complotto, ai nemici potenti e oscuri che ce l’hanno con lui e lo vogliono far fuori in tutte le maniere. E per questo chiama a raccolta gli italiani: per evitare la “catastrofe” . Che, a rigor di logica, sarebbe causata da chi mal governa il paese. Ma proprio qui si incaglia il messaggio. Qualche residuo di senso rimane nel chiamare a raccolta il proprio popolo affinché esso difenda il leader: in fondo colpendo lui si vuole abbattere tutta una componente politica. Ma ogni ratio si perde quando si cerca il nemico contro cui scagliarsi.
Se questo è rappresentato dalla sinistra, come ripetuto più volte nel messaggio, allora come si può continuare a governare assieme ai carnefici? Il cortocircuito è completo: la sinistra mi vuole in galera eppure rimaniamo loro alleati. Anzi, semmai sono loro che non ci vogliono più, mentre noi rimaniamo tranquilli e sereni al loro fianco. Nella politica italiana anche questo è possibile, ma non lamentiamoci se poi gli europei ci guardano come degli esseri strani. In Germania i due grandi partiti hanno collaborato insieme, e forse torneranno a farlo dopo le elezioni di domenica, e nessuno di loro si sognerebbe di dipingere in quei termini l’avversario. La carriera del cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder terminò proprio per le sue espressioni irriguardose verso la sfidante Angela Merkel durante i festeggiamenti per la splendida rimonta dell’-Spd alle elezioni del 2005. I codici di comportamento della politica tedesca non permettevano queste cadute di stile nei confronti di un avversario, tanto meno se diventava un potenziale partner di governo. Qui da noi l’insulto è la regola. Berlusconi e il centro- destra (si pensi all’epopea di Umberto Bossi) non si sono mai fatti mancare nulla su questo terreno. E anche ora il Cavaliere ha sparato ad alzo zero contro gli alleati di governo, oltre che verso i magistrati. Il Pd ha reagito con una certa durezza attraverso il suo segretario e lo stesso presidente del Consiglio si è dimostrato infastidito. Ma sono punture di spillo rispetto alla gravità del messaggio berlusconiano. Il Pd deve pretendere un chiarimento politico agli alleati sul rispetto delle istituzioni e dello stato di diritto. Limitarsi alle deplorazioni non basta più. Il Pdl, o quello che verrà, deve essere portato di fronte alla scelta se seguire fino in fondo la deriva plebiscitaria del suo leader o adottare un comportamento più istituzionale. Più che sull’Imu o sull’Iva, il confronto finale e decisivo va fatto sulle regole del gioco. Può darsi che la grandissima parte della classe dirigente del Pdl segua fideisticamente il proprio leader. Trascura però, così facendo, il distacco già in atto con l’opinione pubblica moderata, molto più attenta ai problemi concreti e quotidiani del nostro sistema. Una opinione pubblica esasperata anch’essa dai problemi giudiziari del Cavaliere e in cerca di nuove alternative. Il Pd ha l’occasione per inserirsi in questa divaricazione.

La Repubblica 20.09.13