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“Da oggi siamo tutti un po’ meno liberi”, di Luigi Manconi

Oltre quarant’anni fa, l’Avanti! titolava: da oggi ognuno è più libero. Sia detto senza alcuna retorica: con l’approvazione del cosiddetto «pacchetto sicurezza» quell’annuncio (allora motivatamente ottimista) va rovesciato. È vero, nell’anno di grazia 2009 siamo tutti un po’ meno liberi.
Le norme approvate vanno analizzate, ma già si può dire che la classificazione come reato dell’immigrazione irregolare e l’introduzione delle «ronde» costituiscono due lesioni profonde come non mai inferte al nostro ordinamento giuridico. E un significativo passo indietro nel sistema dei diritti e delle garanzie. Il risultato è di criminalizzare i migranti non per i loro comportamenti ma per il solo fatto di non essere nati in Italia, subordinando la regolarità del soggiorno al possesso di un permesso “a punti”, che la pubblica autorità potrà azzerare sulla base di criteri alquanto fumosi.
Ma qui emerge una questione ancora più profonda: per la prima volta nel nostro sistema penale viene sanzionata la mera condizione di irregolarità.
È reato, e aggravante nel caso si commettano altri reati, un semplice stato, una condizione, un dato esistenziale (migrante: come, in altre epoche e in altri regimi, povero, omosessuale, zingaro… ). Il «pacchetto» contiene, poi, una serie di dispositivi che renderanno i processi di regolarizzazione e di integrazione sempre più complessi e tortuosi. Dall’obbligo di regolarità del soggiorno ai fini dell’accesso ai servizi a quello di dimostrazione di validità del soggiorno per il perfezionamento degli atti di stato civile; dall’obbligo di certificazione dell’idoneità alloggiativa ai fini del ricongiungimento, all’introduzione di un contributo (tra 80 e 200 euro) per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno.
Tutto ciò avrà l’effetto di disincentivare i meccanismi di ingresso nella legalità e nella visibilità del sistema di cittadinanza e la conseguente crescita dell’area dell’irregolarità.
Altrettanto grave è il fatto che si sia riconosciuta a comuni cittadini la possibilità di co-gestire il monopolio della violenza legittima (l’uso della forza legale), da sempre prerogativa esclusiva dello Stato e suo stesso fondamento costitutivo. Lo Stato si spoglia, così, di un suo compito primario per «appaltarlo a privati», che potranno usare il potere terribile della forza verso chi identificheranno come minaccia.
Strana idea di sicurezza, questa, che finisce col subordinare il diritto a un’asimmetria radicale: inflessibile con chi è percepito come diverso, indulgente se non del tutto inerte con chi si arroga il potere di definire il parametro della diversità.
L’Unità del 3 luglio 2009

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