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“I misteri della terra che trema”, di Fabio Tonacci

Qualcosa sta cambiando nelle profondità della terra, proprio sotto la penisola. L’Italia trema di più, trema più forte. Quest’estate, dal 21 giugno al 4 settembre, i sismografi hanno registrato ben 7116 terremoti. Un record, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2012. Vuol dire che ogni giorno ci sono state in media quasi cento scosse: 94,88 a voler essere precisi. E questo rende l’estate del 2013 la più “movimentata” degli ultimi dieci anni, anche più di quella del 2009 che si portava dietro gli effetti del tremendo sisma dell’Aquila del 6 aprile. Non è un caso, è una tendenza. I piccoli terremoti crescono, aumentano di numero e di intensità. Perché qualcosa sta cambiando nella crosta terrestre sotto di noi. Sì, ma cosa?
La rete di osservazione dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, che ha strumenti piazzati in trecento punti sul territorio, rileva ogni movimento di placche, dai più piccoli spostamenti di magnitudo 0.4, impercettibili per gli esseri umani, ai grandi eventi superiori al quarto grado della scala Richter.

Come i tre che hanno terrorizzato la Lunigiana a metà giugno, il peggiore dei quali ha raggiunto magnitudo 5.2. Di terremoti di questa scala ne sono stati registrati 12 negli ultimi tre mesi: due a Minucciano in Toscana (entrambi di magnitudo 4.4), tre nel mar Adriatico a largo di Ancona (4.9, 4.0, 4.4), due a Patti (4.1 e 4.2) e uno a Pachino (4.0) in Sicilia. L’ultimo il 2 settembre scorso con epicentro a qualche chilometro da Belvedere Marittimo, nel mar Tirreno. Nello stesso periodo di un anno fa ce n’erano stati solo 5 della stessa potenza. Più che raddoppiati, dunque.
«È aumentato il tasso di “sismicità di fondo” dell’Italia», spiega Claudio Chiarabba, il direttore del dipartimento terremoti dell’Istituto, mentre sullo schermo del suo computer appare la mappa dell’estate del record: una cartina martoriata da più di settemila puntini colorati di varie dimensioni a seconda della magnitudo. La maggior parte dei quali sull’Appennino tosco-emiliano, tra l’Umbria e le Marche, in Irpinia, sulla costa tirrenica della Calabria, nella parte nord orientale della Sicilia. Con una inquietante stella sopra la Lunigiana, che ha subìto il terremoto più forte. «Il tasso è cresciuto notevolmente. Vuol dire che se prima l’Italia tremava in media 50 volte al giorno, oggi registriamo quasi il doppio delle scosse». La mappa sismica non è cambiata, le zone ad alta pericolosità sono sempre le stesse. Solo che tremano di più.
La variazione è avvenuta nel 2009, proprio a ridosso del terremoto dell’Aquila. «Non sappiamo ancora se quell’evento, di magnitudo 6.3, che ha provocato la morte di più di trecento persone e ha distrutto gran parte della città — dice Chiarabba — sia stato la causa della variazione della sismicità di fondo, o il suo primo effetto». I numeri che escono dal sistema Iside, il grande database dell’Ingv, disegnano inquietanti curve verso l’alto. Progressioni a salire, per cui i terremoti superiori al grado 2 rilevati in Italia nella medesima finestra temporale, dal 21 giugno al 4 settembre, passano dai 348 del 2008 ai 793 di quest’estate. Quelli superiori al grado 3 crescono da 32 a 80. E la ricerca, che sarà presto pubblicata su alcune riviste scientifiche internazionali, è stata condotta su dati omogenei, eliminando cioè ogni possibile distorsione dovuta alla sensibilità migliorata dei sismografi.
«La sismicità di un territorio non è sempre costante, segue dei cicli storici», prova a spiegare Alessandro Amato, uno dei più autorevoli ricercatori in materia. Esistono le tempeste sismiche, per esempio. «L’ultima c’è stata a cavallo tra il 1600 e il 1700, con una serie di eventi devastanti in l’Irpinia, Benevento, Nocera, Norcia. E in Sicilia orientale». Il terremoto della Val di Noto, nel 1693, è ricordato come il peggiore della storia d’Italia
ed è classificato al ventitreesimo posto tra i più disastrosi dell’umanità: si stima che una scossa di 7,4 gradi provocò 60.000 vittime e rase al suolo tutta una parte dell’isola, tra cui le città di Ragusa, Lentini, Catania. Che poi risorsero, in stile barocco. Non proprio un precedente confortante.
Siamo all’inizio di una nuova tempesta? «Non possiamo saperlo », dice Amato. Anche perché al momento, quando si cercano le cause di questa “frenesia” tellurica, non si va oltre il muro delle ipotesi. Potrebbe essere dovuta a un aumento dei gas imprigionati nella crosta terrestre, che rende meno solide le faglie e dunque più mobili le placche pressate l’una contro l’altra. Oppure potrebbe essere una conseguenza dell’attività dell’uomo. In Oklahoma, in Texas e in Ohio un incremento del tasso di sismicità simile a quello rilevato dall’Ingv in questi giorni è stato collegato all’attività di trivellamento delle compagnie petrolifere e all’estrazione degli idrocarburi. «Ma da noi — osserva Chiarabba — sarebbe difficile provarlo, visto che tutto il nostro territorio è su faglie attive ». L’Italia infatti si ritrova se-
duta su una roccia schiacciata da un lato dalla zolla africana, dall’altro dalla placca europea. Col risultato che la sua “schiena dorsale”, gli Appennini, ne subisce di continuo gli effetti.
Scagionato anche il vulcano Marsili, il bestione sottomarino alto 3000 metri, che si trova a 150 km a nord delle coste della Sicilia, inabissato nel Tirreno. In rete sono spuntate ricerche, o pseudo tali, che dimostrerebbero un legame tra l’attività del vulcano e i terremoti di agosto e settembre che hanno colpito quella zona. «Non ci sono prove scientifiche a sostegno di questa tesi», sostiene il direttore del-l’Ingv, «non è quella la causa dell’aumento della sismicità dell’Italia ».
Per rispondere alla domanda che a questo punto ogni profano si fa, e cioè se l’aumento dei piccoli terremoti comporterà anche un incremento di quelli più potenti, Chiarabba si affida all’immagine del sacchetto di palline bianche e nere. «È chiaro che più estrazioni si fanno, e più alta sarà la probabilità di pescare una pallina nera, cioè un sisma importante, in mezzo a tante palline bianche, cioè le scosse deboli e innocue. Anche se in sismologia l’argomento statistico è controverso, ci sono varie scuole di pensiero e non sempre è riconosciuto come valido». I dati, al momento, raccontano di un’attività crescente anche dei terremoti superiori al terzo e quarto grado.
Gian Vito Graziano, presidente dei geologi, rovescia l’ottica del problema: «Fino a quando la scienza non sarà in grado di prevederli con esattezza, non dobbiamo puntare sulla previsione, ma sulla prevenzione. L’aumento della sismicità rilevato dall’Ingv deve servire a scuotere le coscienze dei cittadini e a indirizzare la classe dirigente. Non è possibile che sia ancora in vigore una legge urbanistica datata 1942: va cambiata al più presto ». Tradotto: bisogna costruire meno e investire di più sull’adeguamento dei centri storici alle più recenti norme antisismiche. «In questo modo — dice Graziano — avremo case più sicure senza deprimere l’industria edile».

La Repubblica 06.09.13

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“LA MANO DELL’UOMO CONTRO LE CALAMITÀ”, di GIOVANNI VALENTINI

I terremoti, d’accordo, sono calamità naturali. Non si possono prevedere, se non in termini ristretti di tempo. Ma, senza arrendersi alla fatalità, se ne posso prevenire gli effetti e contenere le conseguenze più disastrose. E lo dimostrano già diversi casi, anche in Italia, dalle Marche all’Umbria: come per esempio l’ultimo evento sismico di magnitudo 5 che il 21 luglio scorso ha colpito l’Anconetano, senza provocare vittime e rovine. Dopo il precedente terremoto del 1972 — ha ricordato il geologo Enzo Boschi — fu il sindaco democristiano Trifogli a utilizzare addirittura leggi straordinarie del tempo di guerra, per mettere in sicurezza gli edifici pubblici e privati.
Sta proprio qui il problema. Si sa che la Penisola, protesa nel mar Mediterraneo come un pontile galleggiante, è sempre stata sismica e sempre lo sarà. Questa è la legge della natura o se si preferisce della geografia. La mano dell’uomo non può evidentemente modificare la situazione, ma può adottare senz’altro misure di prevenzione per ridurre o azzerare i danni. Tanto più in un Paese instabile come il nostro, e non solo politicamente, dove i terremoti — fisici o metaforici — sono all’ordine del giorno.
È dunque la messa in sicurezza degli edifici, a cominciare ovviamente da scuole e ospedali, l’antidoto più efficace contro il rischio sismico. Quanto alla pericolosità sismica, invece, quella attiene alla probabilità di registrare scosse in un tempo determinato ed è prevista da una mappa dell’intero territorio italiano. Su questa base, spetta poi ai singoli Comuni predisporre un Piano di Protezione civile secondo norme che risalgono addirittura agli anni Ottanta.
Ma, oltre a salvaguardare innanzitutto la sicurezza della popolazione, gli interventi di ristrutturazione anti-sismica e di riqualificazione energetica possono contribuire anche a rilanciare un settore portante dell’economia nazionale come quello dell’edilizia, nella prospettiva della Green Economy e dello “sviluppo sostenibile”. A maggior ragione, naturalmente, gli stessi criteri tecnologici devono valere per le nuove costruzioni.
I terremoti, insomma, non sono una maledizione biblica. Quando purtroppo si verificano, al pari delle frane o delle alluvioni, è già troppo tardi per rimediare. Ecco perché bisogna provvedere per tempo, a tutela dei cittadini, del territorio e dell’ambiente: anche qui è meglio prevenire piuttosto che curare.

La Repubblica 06.09.13