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“Compito in classe dalla A alla Z: l’alfabeto del nuovo anno scolastico”, di Salvo Intravaia

A come ATA. Il personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario) precario, da un anno a questa parte, sta vivendo in una sorta di purgatorio: le loro assunzioni vengono bloccate o dilazionate nel tempo perché il loro destino è legato a quello degli insegnanti Inidonei per motivi di salute. Il governo Monti, con la Spending review, ha declassato questi ultimi al rango di Ata, ma la cosa non è andata giù ai 3mila insegnanti che, dopo decenni di onorata carriera, si sono ritrovati fuori dalla classe perché la loro salute non li accompagna più. Adesso, il governo delle larghe intese sta cercando di trovare una soluzione al declassamento degli inidonei. In questo caso, si sbloccherebbero alcune migliaia di posti accantonati per accogliere gli inidonei. Ma, in attesa di trovare la copertura finanziaria per riportare al ruolo di insegnante maestri e prof in difficoltà, è tutto bloccato.

B come Bes. Bes sta per Bisogni educativi speciali ed è l’ennesimo acronimo che ritroveremo nelle discussioni scolastiche nei prossimi anni. L’anno scorso, il ministro dell’Istruzione pubblicò due documenti che spiegavano alle scuole come si dovessero fare in quattro per supportare, non solo gli alunni disabili con tanto di certificazione medica, ma anche tutti gli alunni che si trovassero in difficoltà – anche momentanea – economica e con problemi di tipo sociale e psicologico. Gli istituti avrebbero dovuto predisporre, entro lo scorso 30 giugno, un apposito piano per programmare tutti gli interventi a supporto degli alunni meno fortunati. Ma, senza nessuna informazione specifica, le scuole brancolavano nel buio. E qualche settimana fa è arrivata la più classica delle risposte: nessuno obbligo per quest’anno. Rinvio al prossimo anno e attuazione, in fase sperimentale, per quest’anno.

C come Concorsi. Il papocchio creato dal concorso a cattedra bandito dopo 13 anni dall’ex ministro Francesco Profumo ci costringe a ripeterci e a dedicare la C ai concorsi, iniziati male e finiti allo stesso modo. Gli ultimi giorni di agosto, le commissioni giudicatrici hanno ingaggiato una vera corsa contro il tempo per consegnare le liste definitive dei vincitori entro il 31 agosto: ultima data utile per assumere coloro che ce l’hanno fatta. Ma la fretta, si sa, è cattiva consigliera e gli errori sono stati a decine. Ma la cosa più sorprendente è un’altra. Le migliaia di futuri docenti che si sono sobbarcati una lunghissima preparazione e un iter concorsuale lungo e complesso avranno una sgradita sorpresa: soltanto una piccola parte dei vincitori di concorso saranno assunti quest’anno, perché il ministero ha assegnato un numero di posti insufficiente. Per assumere il 26° in lizza in Molise nella graduatoria della scuola primaria occorrerà aspettare – al ritmo di un’assunzione all’anno – ben 26 anni.

D come Dispersione scolastica. Sarà una delle emergenze scolastiche anche per il prossimo anno, visto che non si riesce ad abbatterla in maniera consistente. L’ultimo dato – relativo al 2012 – reso noto da Eurostat colloca l’Italia tra le nazioni con il più alto tasso di alunni “che abbandonano prematuramente gli studi”: il 17,6 per cento. Soltanto dopo Spagna, Portogallo e Malta e distante 6 o 7 punti percentuali da nazioni come Francia e Germania. La scuola italiana e in primis la politica non riescono a rendere l’istruzione appetibile. Un neo che ci rimprovera anche l’Ue: l’Italia dovrebbe raggiungere entro il 2020 un livello di dispersione almeno del 15 per cento.

E come Edilizia scolastica. Il patrimonio edilizio delle scuole italiane è vecchio e obsoleto. Lo ha fatto capire il ministro Maria Chiara Carrozza presentando le linee guida del suo dicastero a deputati e senatori. I 42mila plessi scolastici italiani sono stati per oltre 3 quarti costruiti prima del 1980 e spesso per finalità diverse rispetto a quelle scolastiche. Con 10 istituti su cento presi in affitto da privati. Per rendere sicuri tutti i plessi scolastici sparsi sul territorio nazionale occorrerebbero oltre 10 miliardi di euro. Ma sarà difficile che, in un momento di crisi come quello che il nostro paese sta attraversando, si riescano a trovare tutte queste risorse.

F come Fornero. Per i docenti italiani la riforma Fornero delle pensioni è arrivata come un fulmine a ciel sereno. L’idea di non potere lasciare l’insegnamento prima sei 67 anni, e forse anche dopo, ha gettato l’intera categoria nello sconforto. Perché, stando a studi abbastanza recenti sul Burnout, i docenti sono tra i più esposti alle malattie di tipo psichiatrico.

G come governance. Negli ultimi anni, si parla sempre più spesso di governance della scuola. Da quando, cioè, è stata lanciata l’Autonomia scolastica si pone il problema di un nuovo modello di governo della scuola affidata, con ampi margini di discrezionalità, ai dirigenti scolastici e agli organi collegiali della scuola. Ma spesso negli istituti mancano le risorse adeguate e anche qualche idea. Così, una governance che consenta alle scuole di affacciarsi nel terzo millennio rischia di realizzarsi soltanto a metà.

H come Handicap. E’ forse l’anno in cui l’organico di diritto di sostegno verrà ampliato dagli attuali 63mila a 90mila posti. Una buona notizia per genitori e alunni disabili, oltre che per gli insegnanti che potranno essere assunti a tempo indeterminato nei prossimi anni, perché aumenteranno gli alunni che manterranno lo stesso docente per più anni. Una continuità didattica che per gli alunni affetti da disabilità è ancora più importante che per gli alunni normodotati.

I come Inidonei. Dopo anni di dibattito, dal prossimo settembre, i docenti inidonei, quasi sempre per motivi di salute, passeranno nelle segreterie scolastiche o nei laboratori per essere utilizzati come assistenti amministrativi o tecnici di laboratorio. Di questo declassamento, che non dovrebbe comunque portare a riduzioni stipendiali, si lamentano ovviamente gli interessati. Ma, in questo modo, le casse dello stato verranno alleggerite di circa 3 mila e 800 stipendi di personale Ata: quasi 100 milioni per anno.

L come Libri di testo. Digitali o cartacei? In questi anni si sta consumando una vera e propria guerra tra i sostenitori del digitale spinto al massimo anche tra i libri e coloro che preferiscono andare avanti con gradualità. Lo stesso ministro dell’Istruzione Francesco Profumo ha spinto al massimo per la digitalizzazione dei libri, ma il suo successore ha dovuto fare marcia indietro. Su questo aspetto si gioca anche la spesa per i libri che, nonostante le tante promesse, non è mai calata.

M come Merito. Mai come in questi anni di crisi si parla di merito a scuola. L’albo delle eccellenze è stato istituito nel 2007 dall’allora ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni e adesso è arrivato il bonus-maturità, che dovrebbe premiare gli studenti più bravi che intraprendono la carriera universitaria. Ma il meccanismo va ancora perfezionato e non vale per tutte le facoltà.

N come Novità. Ogni volta che i docenti sentono parlare di novità per la scuola, tremano. Le novità annunciate dai diversi ministri, spesso, si traducono in tagli e aggravio di lavoro per gli insegnanti. Quando il cambiamento non si traduce in normative difficilmente applicabili nell’immediato, come il registro online o l’attenzione verso gli alunni con Bisogni educativi speciali.

O come Organi collegiali. Da ormai oltre un decennio si parla di riforma degli organi collegiali, che hanno visto la luce nel 1974, quasi 40 anni f. E per questa ragione ormai superati. La stessa partecipazione dei genitori alla rappresentanza scolastica è sempre più scarsa e c’è chi spinge per fare entrare nel governo delle istituzioni scolastiche, oltre che le famiglie, anche i soggetti che operano nel territorio e

P come Prove Invalsi. Il prossimo anno, le prove Invalsi – che misurano le competenze in Italiano e Matematica degli alunni italiani – arriveranno all’ultimo anno delle superiori. E completeranno tutto il ciclo dell’istruzione italiana. Sarà così possibile osservare l’evoluzione dei saperi degli alunni italiani nelle diverse aree del paese, soprattutto dove il gap con la media nazionale e le nazioni europee è forte.

Q come Quota 96. E’ diventata una vera e propria telenovela che non riesce a trovare un finale decente. La riforma Maroni delle pensioni prevedeva le “quote” per lasciare il lavoro: somma tra età e anni di servizio. Due anni fa si poteva andare in pensione con 61 anni e 35 di servizio, che sommati fanno proprio 96. Ma la riforma Fornero cambiò tutto e gli insegnanti che nel 2011 – l’anno si conclude il 31 agosto per la scuola – avevano già maturato la quota 96 vennero bloccati dalla nuova riforma, creando un pasticcio simile a quello degli esodati. Circa 9mila docenti che avevano chiesto di andare in pensione sono rimasti congelati a scuola. E adesso si cerca una soluzione e, soprattutto, una copertura finanziaria per lasciare liberi coloro che avevano maturato i requisiti per andare in pensione.

R come Reti di scuole. Quella delle reti di scuole sembra la strada maestra per ottimizzare le risorse – non solo materiali – che sono presenti all’interno degli istituti italiani. Progetti in rete sono già stati avviati da alcuni anni dal ministro ma occorre che cambi anche la mentalità degli insegnanti per operare in rete con i colleghi delle altre scuole.

S come Scatti stipendiali. Per il quarto anno consecutivo gli scatti automatici sugli stipendi degli insegnanti sono stati bloccati dal governo attuale e da quelli precedenti. Un provvedimento, che oltre a determinare la perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni pari ad almeno il 15 per cento, peserà nelle tasche degli insegnanti per decine di migliaia di euro fino alla pensione. Sul web circolano applicazioni che in automatico calcolano quanto perderanno i lavoratori pubblici con il blocco dei contratti: non meno di 30mila euro per un docente al di sotto dei cinquant’anni con 20 di servizio alle spalle.

T come Tecnologie. L’ultimo dossier dell’Ocse sulla digitalizzazione delle scuole italiane fa emergere tre aspetti: pochi strumenti, poche risorse economiche e docenti poco inclini al cambiamento. Nelle scuole italiane ci sono pochi computer – 42 computer ogni cento studenti in prima superiore, contro gli 83 della Danimarca e i 51 della Germania – e spesso sono affollatissimi di alunni: solo il 20 per cento dei computer in quarta elementare lavorano con meno di tre scolari davanti. In Spagna la percentuale sale al sono 50 percento.

U come Università. Mai come quest’anno il percorso scolastico e quello universitario sono legati a filo doppio. Il bonus-maturità – contestato da studenti e famiglie, ma mantenuto dal ministero nonostante le evidenti disparità che crea fra gli studenti – crea un ponte tra scuola e università. Ma il meccanismo verrà certamente rivisto perché nel 2014 i test di ammissione alle facoltà a numero programmato nazionale si svolgerà ad aprile e sembra difficile che si possa legare l’ammissione al voto di maturità.

V come Valutazione. Ormai quasi tutti – insegnanti compresi – si sono rassegnati all’ingresso della valutazione nella scuola. Sembra che non sia possibile in nessun modo prescindere da qualche meccanismo di valutazione se si vuole migliorare la performance complessiva del sistema scolastico italiano. Al momento, la valutazione è riservata agli apprendimenti fondamentali degli alunni di sei classi dei tre ordini di scuola. Per docenti e dirigenti scolastici la valutazione è ancora lontana.

W come Week end. La settimana corta nelle scuole italiane si sta estendendo e non solo per esigenze didattiche. Le amministrazioni cali e provinciali pressano gli organi collegiali delle istituzioni scolastiche perché adottino questa soluzione al fine di risparmiare sulle spese energetiche. Tenere per due giorni a settimana migliaia di plessi scolastici potrebbe fare risparmiare infatti sulle bollette di luce e riscaldamento.

Z come Zaini. Anche quest’anno, essendo abortita ogni norma che limiti le dimensioni dei libri scolastici,gli alunni di tutte le età saranno costretti a trascinarsi pesanti zaini colmi di libri e tutto quanto serve per una normale giornata scolastica. Tutte le proposte avanzate o annunciate in passato dai diversi esponenti politici – armadietti per lasciare a scuola parte del corredo scolastico o volumi più leggeri – si sono sempre scontrati con insormontabili difficoltà, soprattutto di tipo economico. E la questione è passata nel dimenticatoio.

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