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“Paola, morta per difendere lo Stato”, di Marco Bucciantini

Adesso si valutano i problemi, si cercano soluzioni. Si riuniscono i responsabili del governo e della polizia. Entrano in campo le maiuscole. Adesso succede. Come se un motore invisibile avesse cominciato a girare. Adesso che Paola è morta ammazzata, ventotto coltellate conficcate su questa madre sacrificata in una guerra quotidiana, difficile, silenziosa, fondamentale per la tenuta di un territorio, per dare senso a quell’espressione di comunità che non si mantiene da sola, non cresce spontanea come i capperi sui muri.
Va coltivata, ovunque. Paola Labriola era una di questi contadini che seminano il nostro Paese. Faceva un lavoro di frontiera, perché si misurava con i margini dell’umanità, con i limiti dell’umanità. Cercava – con i colleghi – di «includere» in questa comunità anche chi vive ammorbato dai disagi psichici, chi si è chiamato fuori dalla vita, chi la confonde e la imbroglia con le droghe. Ogni giorno, ogni ora, ogni momento Paola lavorava un passo di qua dalla sottile linea rossa, nella struttura che accoglieva il disagio psichico e sociale.
Com’è finita è cronaca dell’altroieri: un uomo adulto, rovinato, senza calore, le ha chiesto soldi per la droga, i soldi per qualcosa, o solo per chiedere, per avere un pretesto mentre lei, con educazione e sorridendo si scusava per averlo fatto aspettare, occupata da un altro paziente. Poi le coltellate. Le parole disperate dei colleghi, rabbiose, fuori dal camice: «Avevamo chiesto la vigilanza privata, qui entra chiunque». Le più pericolose sono le persone in astinenza, potenzialmente violenti. È un problema di centinaia di strutture per la salute mentale, di altrettanti Sert (gli avamposti di servizio per le tossicodipendenze). Paola era consapevole e sconfortata, sembra che avesse considerato anche la possibilità di un trasferimento, tanto era preoccupata dalle frequentazioni della struttura, e dall’assenza di protezione. Questi ambulatori sono posti necessari per una comunità, sono reti di protezione, sono – addirittura – la «nobilitazione della politica», intesa come governo di un territorio e per questo è per forza più importante dov’è più difficile da curare. Per dirla con un po’ di imbarazzante utilitarismo, senza queste strutture le nostre vie sarebbero più insicure.
I dottori del centro di igiene mentale di Bari dove Paola lavorava (in un quartiere complicato e dal nome bellissimo: Libertà) avevano dunque chiesto un sostegno. «Bastava un agente». Non serviva l’esercito: bastava un agente che controllasse gli accessi, che intervenisse nei casi di improvvise aggressioni. Forse non avrebbe salvato Paola, forse sì. Ma non è questo il punto. La solitudine di questi lavoratori: questo è il punto. «Non ci sono soldi per i vigilantes», fu la risposta. Motivata: «Dal vostro centro abbiamo avuto solo una segnalazione di situazione pericolosa». Mercoledì è arrivata la seconda segnalazione, irreparabile. Poi sono arrivate le parole di chi non aveva quei soldi, o non credeva a quel pericolo. «Paola è martire della città», ha detto il sindaco Michele Emiliano, che ha proclamato il lutto cittadino e ha avuto almeno il merito di parole gravi, che marcassero questo fatto e non lo disperdessero nella cronaca nera. E tutti hanno detto che «è una morte sul lavoro», altro posto fondante e simbolico di questo Paese, altro luogo dove si abbassa la guardia, dove si muore, sui cantieri e negli ambulatori.
Un’indagine di Cittadinanzattiva da anni aveva rivelato lo stato di inadeguatezza («d’illegalità») in cui operavano «i servizi territoriali per la salute mentale e per le dipendenze patologiche, per la loro collocazione, per scarsità di spazi e di personale, per la riduzione a prestazioni per lo più ambulatoriali…». Quello che un tempo hanno fatto le associazioni, oggi diventa priorità di governo, si legge sulle agenzie: «si è riunito nella prefettura di Bari il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica… per affrontare il tema della sicurezza davanti ai luoghi dove operano i centri di salute mentale e di cura delle tossicodipendenze…». Bisogna dare risposte ai cittadini, così colpiti da questa brutalità, ha detto qualcuno dei protagonisti del comitato. Fornendo subito alcune risposte, come gli «accorpamenti e potenziamenti per i 45 centri della regione». E adesso salteranno fuori anche i soldi per assicurare una minima vigilanza, una guardia, due telecamere. Adesso.
Non serviranno a scriverla in un altro modo, questa triste storia, che racconta la crisi economica e morale di un Paese più di mille numeri: Paola questo lo aveva capito. Altri, no.

L’Unità 06.09.13