attualità, politica italiana

“Chi non vuole le riforme”, di Carlo Galli

La riforma della Costituzione sta cominciando a muovere vivacemente le acque della politica. Ma in direzioni ben diverse. Da una parte, c’è la gazzarra del Movimento 5 Stelle, con quanto di goliardico, di provocatorio, di consapevolmente propagandistico vi è connesso. L’occupazione del tetto del Parlamento – con i deputati virtuosi vicini al Sole, mentre l’Aula soffoca, laggiù, nella palude partitica – è uno scadente gesto di dannunzianesimo in ritardo. La lotta politica si può svolgere – durissima – dentro le istituzioni; si può anche svolgere fuori dalle istituzioni, nelle piazze e nelle fabbriche; ma non si può svolgere contro le istituzioni. Non può ridicolizzare né offendere il Parlamento, nel quale, piaccia o no, proprio a norma di Costituzione si rappresenta la sovranità del popolo – con il corollario conseguente del mandato libero -. L’amore per la nostra Carta (anche se professato da una forza politica che si dichiara esterna al moderno principio di rappresentanza), è certamente lodevole; ma si richiederebbe un po’ più di coerenza: il Parlamento è parte integrante della democrazia repubblicana disegnata dalla Costituzione. Mentre la forma di certe proteste – spettacolare, allarmistica, disperata come se Annibale fosse alle porte – vuol far passare l’idea falsa che nell’Aula non si possa parlare liberamente, o l’idea sbagliata che sia stia assassinando la Carta. Con il risultato di accreditare ulteriormente la sciagurata opinione – tanto lungamente ribadita dai poteri forti di questo Paese, e tanto prontamente ripresa da alcuni giornali – che la politica sia nel suo complesso una pagliacciata, degna di essere abolita. Il velleitario rivoluzionarismo populistico e anti-istituzionale è, come sempre, funzionale a disegni non democratici. Tutt’altra cosa, e di ben diverso spessore è invece il Manifesto dell’Assemblea per la Costituzione, in cui alcuni illustri costituzionalisti democratici, insieme ad alcune personalità di primo piano nella società civile, richiamano con forza il valore simbolico e politico della Costituzione – in particolare dei Principi fondamentali – e invitano il Parlamento a pensare di attuarla piuttosto che di riformarla.

C’è da essere d’accordo con loro quasi su tutto: la cultura, l’impegno, la passione che esprimono non possono non essere condivisi da una forza di sinistra democratica. C’è semmai da ricordare che i Principi e la Prima parte della Costituzione non sono coinvolti in nessuna revisione; e che le revisioni che si faranno saranno funzionali al programma di meglio realizzare, appunto, lo spirito della Costituzione. Si può polemizzare sulle deroghe all’art. 138 che dovrebbero rendere più spedito, ma certo non facilissimo, l’iter di revisione: ma non si tratta di un vulnus drammatico, perché l’essenza dell’articolo – la sede parlamentare della revisione, e la piena tutela delle minoranze – non è toccata. Si può temere, legittimamente, il semipresidenzialismo e battersi contro di esso: ma finora non si è entrati nel merito, e gli argomenti su questo punto vanno tenuti per quel momento. Si può sostenere, giustamente, che il primo problema del nostro Paese è la riforma del sistema politico (ridare vita ai partiti, insomma, per renderli più forti rispetto ai nuclei di interessi opachi che da molto tempo hanno il sopravvento) più che la riforma della Costituzione. Ma non si negherà che interventi volti a eliminare il bicameralismo perfetto e a semplificare i livelli amministrativi – all’interno del modello parlamentare, e senza che si preveda un drammatico rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio – possano dare alla politica maggiore speditezza. La quale non è un male in sé, e non risponde necessariamente a un disegno aziendalista ed efficientista; anzi serve proprio a rilegittimarla agli occhi dei cittadini, a far vedere che la politica è un’attività importante, e quindi, sia pur indirettamente, aiuta anche i partiti a ri-costituirsi, a prendere sul serio la propria insostituibile azione politica. Per non parlare della legge elettorale – di per sé estranea alla materia costituzionale – che è da riformare subito, per motivi che è perfino inutile elencare. La Costituzione va amata di un amore sincero, non superstizioso né strumentale; e va responsabilmente riformata perché sviluppi appieno il proprio potenziale democratico. Con la consapevolezza che la riforma della politica è, certo, un obiettivo più impegnativo; e che, nondimeno, la sinistra riformista non può sottrarsi al compito di iniziare col mettere in sicurezza le istituzioni dalla marea populista che le sta per sommergere. E con l’auspicio – la certezza – che le forze migliori e più appassionate della società civile non faranno mancare a quest’opera il loro sostegno critico.

L’Unità 08.09.13