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“Il coraggio di fermarsi”, di Carlo Sini

Manifestazioni, marce, digiuni, cortei per la pace: ognuno di noi quanti non ne ricorda e ne ha visti nel corso degli anni? L’esperienza insegna che della loro efficacia pratica possiamo dubitare con ragione, ma questo non significa che le iniziative pacifiste siano inutili e che non abbiano alla lunga un peso non soltanto morale. Ben pochi, però, credono davvero che le campagne pacifiste cancelleranno, in un futuro prevedibile o ragionevole, la guerra dalle vicende mondiali e mi metto anch’io tra gli scettici e tra i più. Le guerre accompagnano la storia umana da tempo immemorabile e ogni spiegazione economica, psicologica, antropologica, biologica o altro, sembra sempre e da sempre insufficiente a darcene una comprensione definitiva ed efficace. Forse, se ne fossimo capaci, le nostre sensatissime aspirazioni pacifiste ne troverebbero conforto e magari qualche suggerimento più efficace. Intanto però tutti sappiamo che i conflitti presentano sempre ragioni di facciata e ragioni più profonde e nascoste delle quali ben pochi sono in grado di sapere davvero qualcosa. Le ragioni di facciata servono appunto a salvare, con l’impiego di molta retorica, la faccia pubblica dei contendenti: solo gli ingenui se ne fidano totalmente. Qui tutti sembrano avere ragione ed è spontaneo pensare che abbiano invece ognuno una parte, sia pure non uguale, di torto. Poi ci sono le ragioni nascoste, quelle che conoscono solo i servizi segreti, le agenzie militari, i consiglieri politici ufficiali e non, in una parola i governi nella loro azione mai apertamente dichiarata e per niente pubblica. Tutti facciamo in proposito molte supposizioni: sarà il petrolio, sarà lo scacchiere medio-orientale, sarà il problema delle armi atomiche, sarà la questione palestinese e così via: tutti ci improvvisiamo strateghi della storia mondiale, con scarsa fortuna e ancor minore competenza. Nel caso attuale, chi solo legge e si informa un po’ più a fondo, misura poi i limiti della sua ignoranza circa la complessità del mondo arabo e delle sue interne divisioni. Una cosa però credo che sia chiara a molti per non dire ai più: la fragilità della posizione americana relativamente alle ragioni di un intervento bellico in Siria e la sostanziale inutilità pratica di tale eventuale attacco, unitamente alla sicura pericolosità delle conseguenze su scala mondiale che potrebbero derivarne. E allora l’opinione pubblica davvero non capisce. Si può accettare, sia pur senza condividere, la cinica necessità delle azioni di forza nello scacchiere internazionale: è parte della politica «reale», che di certo non è modificabile dalle nobili e sagge ragioni delle cosiddette «anime belle». Ma non si può accettare che l’uso della forza appaia addirittura e persino sprovvisto di ogni razionalità coerente ed efficace. Si dice: gli Stati Uniti, il loro Presidente, devono intervenire per una ragione di prestigio, per tener fermi i propositi a suo tempo annunciati e perché bisogna creare un deterrente all’uso delle armi chimiche, che tutti condannano. Si può rispondere che non si salva il prestigio con azioni inutilmente distruttive, non sorrette dal diritto internazionale e dall’Onu e con esiti contrari agli scopi stessi che si proclamano, poiché il riaprirsi degli scenari della guerra fredda reca minacce, pericoli e costi di ogni genere che nessun cosiddetto prestigio potrebbe giustificare. Da tempo il prestigio mondiale degli Stati Uniti d’America è in serio declino; tutti poi ricordano le menzogne relative alle armi di distruzione di massa di Saddam (un precedente sul quale la Russia e i suoi alleati possono oggi giocare abilmente). D’altra parte,l’amministrazione Obama non è quella di Bush (anche questo lo sanno tutti). E allora chiedo se un gesto capace di rigenerare almeno in parte il prestigio internazionale perduto non potrebbe essere quello di ammettere francamente la ragionevolezza quanto meno di sospendere l’attacco, in attesa di più ampie consultazioni, di ulteriori prove, di ulteriori tentativi diplomatici. Io credo che non sia del tutto ingenuo pensare che un gesto di franca consapevolezza e di sottesa e sia pur sommessa autocritica aumenterebbe immensamente quel prestigio personale e mondiale che si dice Obama vorrebbe difendere. Se è così, avanti a tutta forza, certo, con le iniziative e le manifestazioni pacifiste in ogni paese e sede pubblica; ma nel contempo si continui a rivolgere un invito pressante alla diplomazia europea (e italiana in particolare) perché trovi i canali efficaci al fine di convincere gli Stati Uniti che al momento attuale un rinvio nessuno lo avvertirebbe davvero come una sconfitta, ma anzi come un prova di maturità e di reale forza nella condivisione e nella conduzione della vita politica sul pianeta.

L’Unità 08.09.13