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“Ghizzoni: sui ‘Quota96’ non ci arrendiamo”, di Alessandro Giuliani

C’è tanta amarezza. Il personale della scuola che attendeva una deroga per liberarsi dalle sabbie mobili della legge Fornero stavolta ci credeva davvero. Tanti rappresentanti del nuovo Governo, compreso il ministro Carrozza, avevano speso parole di interessamento. I pareri delle commissioni parlamentari erano stati tutti a favore. Come le dichiarazioni di tanti esponenti politici oggi presenti sui banchi del parlamento Invece, per il secondo anno consecutivo, per migliaia di ‘Quota96’ (docenti e Ata con almeno 35 anni di contributi e 61 anni di età anagrafica) è arrivata la doccia fredda: le porte della pensione sono rimaste chiuse. E quelle della scuola, dopo la pausa estiva, si sono riaperte.
A mettersi di traverso, è stata la Ragioneria Generale dello Stato. Che, oltre a rilevare il problema della mancanza di fondi, tra i 100 e i 200 milioni di euro, ha fatto rilevare quanto sarebbe stato pericoloso concedere quella deroga: per gli economisti dalla PA il via libera alla scuola avrebbe scatenato la stessa rivendicazione da parte di centinaia di migliaia di dipendenti di altre amministrazioni. Con questa premessa era quasi inevitabile che anche la Commissioni Bilancio ponesse resistenze all’approvazione del disegno di legge. Per una parte dei ‘Quota96’ la delusione è stata tale da avviare un presidio permanente sotto Montecitorio.
Per capire cosa potrà accadere ora, se la questione è chiusa, abbiamo incontrato la deputata carpigiana Manuela Ghizzoni, (Pd) vicepresidente della commissione Istruzione alla Camera, da diverso tempo in prima linea per caldeggiare la causa e prima firmataria della proposta di legge sfumata sul filo di lana.

Onorevole Ghizzoni, partiamo dalla fine: è vero che o giochi non sono fatti?
Certamente. L’11 settembre è ripresa la discussione in Commissione Lavoro alla Camera. Si è partiti esaminando i punti critici messi in risalto dalla Commissione Bilancio. La relatrice, Antonella Incerti, ha chiesto che, arrivati a questo punto, gli approfondimenti del caso vengano affidati a un comitato ristretto: sarà composto da rappresentanti di tutti i componenti dei partiti, numericamente scelti in proporzione alla consistenza di eletti del loro schieramento. Un punto a favore è che tutti i commissari si sono pronunciati a favore di questa decisione dichiarandosi disponibili.

Quali sono le novità rispetto all’iter che ha portato al naufragio del suo disegno di legge?
Prima di tutto la relatrice ha chiesto che si faccia finalmente chiarezza sui numeri dei dipendenti della scuola coinvolti. Anche perché fino ad oggi ci sono state voci e opinioni discordanti. In particolare, il Miur ha quantificato la platea dei potenziali danneggiati dalla riforma Fornero in circa 3.500 docenti e Ata. A luglio, però, un’elaborazione fornita dall’Inps ha fatto schizzare questo numero a 9mila dipendenti coinvolti.

Chi ha ragione?
La questione è complessa. Di sicuro, però, si tratta di stime dovute all’analisi della serie storica dei pensionamenti dalla scuola. E non di numeri reali. Il Ministero dell’Istruzione, poi, ha fornito la quota limitandosi a coloro che avrebbero raggiunto i requisiti anagrafici al 31 agosto 2012, sebbene la normativa vigente preveda che il requisito anagrafico sia conseguito entro l’anno solare. A fronte della complessità della questione, la relatrice ha chiesto l’attivazione di una procedura che consenta di arrivare a dati certi e non più ipotetici.

Perché non è stato fatto prima?
Perché sino ad oggi, la discussione della proposta di legge è avvenuta contro il tempo, dando la priorità all’intenzione di mandare in pensione tutti gli interessati al 1° settembre 2013. Ora, invece, tramontata questa possibilità, i tempi per approfondire la questione ci sono: stiamo parlando di un anno.

Ma la ripresa in Parlamento dell’esame del suo ddl però è un progetto lungo e impegnativo. Non ci sarebbe un’altra strada per risolvere il problema degli “esodati” della scuola?
Certamente. Si può presentare un emendamento ad uno dei decreti all’esame del Perlamento oppure il Governo può intervenire inserendo la soluzione nella imminente legge di stabilità. Rispetto alla prima ipotesi, c’è un impegno dell’onorevole Boccia, parlamentare del Partito Democratico e Presidente della Commissione Bilancio. L’esperienza ci ha insegnato che occorre lavorare su questo obiettivo con particolare determinazione. Ma ogni nuova iniziativa parlamentare deve essere intrapresa, a mio avviso, solo se si ha la certezza di conseguire finalmente il risultato: le persone coinvolte in questa vicenda non potrebbero sopportare un ulteriore fallimento
Lo sa che in tanti ‘Quota96’ prevale lo scoramento?
Lo so ed è questa consapevolezza che mi fa affermare che ogni nostra nuova iniziativa deve essere assunta a fronte della certezza di un esito positivo. La loro delusione è comprensibile. Anche perché queste persone sanno bene che il legislatore, introducendo la riforma delle pensioni del 2011, ha commesso un grave errore: non tenere conto della specificità della scuola. E non mi riferisco solo all’unica finestra che docenti e Ata hanno per andare in pensione.
Quali altri aspetti non sono stati considerati?
Uno è sicuramente la possibilità di far lasciare il servizio a personale frustrato e avanti negli anni (l’Italia ha il personale scolastico più vecchio d’Europa). E nel contempo bloccare l’assorbimento nella scuola di personale più motivato. Anche a vincere quella sfida educativa che negli ultimi tempi ha assunto connotati sempre più complessi.

Si riferisce ad alcune categorie della scuola in particolare?
Penso, ad esempio, alle maestre d’infanzia. A donne che a 62-63 anni, anziché portare il nipotino al parco, vengono lasciate forzatamente in sezioni composte da oltre 20 bambini e con alunni al loro interno anche disabili. Ogni commento sarebbe superfluo.

Si tratta di ragioni sacrosante. Che il Pd, assieme ad altri partiti, hanno sempre messo in evidenza. Perchè non sono bastate?
Sulla vicenda il mio partito ha assunto un preciso impegno, che però non è stato onorato. Sono prevalse altre priorità, evidentemente, in un contesto politico ed economico innegabilmente difficile.

È un concetto difficile da far capire. Non pensa?
Io, personalmente, non ho mai illuso nessuno. Di sicuro, però, ci ho messo la faccia. E questo l’ho fatto presente anche al mio partito. A cui ho mandato un serio rimprovero.

Avete già in mente delle proposte concrete per sbloccare la questione tra un anno?
Occorre dare delle risposte ai quesiti in atto. E per farlo si potrebbe cominciare attribuendo maggiore equità nella rimodulazione dell’Imu. Ciò comporterebbe, peraltro, maggiore serenità economica e sociale al Paese.

La Ragioneria generale dello Stato la pensa diversamente: la scuola non giustifica deroghe per i suoi dipendenti.
Invece io dico che è giunto il momento di riflettere sulle specificità della scuola. E che non è un mio personale pensiero. Dico solo che di recente un giudice del lavoro ha considerato illegittimo l’obbligo di far permanere in servizio il personale proprio a causa delle peculiarità del mondo della scuola. Il problema è che all’ambiente formativo italiano, quindi in primis ai suoi operatori e dipendenti, tutti siamo abituati a chiedere solo doveri. Dimenticando che anche la scuola ha i suoi diritti.

La Tecnica della Scuola 18.09.13

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