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“Classi-pollaio dove insegnare è pura follia”, di Mila Spicola

Sono Antonio, ho 15 anni, frequento la I superiore dell’istituto professionale XX, Catania. Sono stato bocciato una volta, in prima media. Già lavoro, aiuto un meccanico nel mio quartiere. Non mi piace studiare perché già in terza elementare non capivo molto e mi annoiavo. Sì è vero, i professori li faccio impazzire, così mi sospendono e me ne sto in officina. Mi sono iscritto al superiore per l’obbligo e per far contenta mia madre. In classe siamo in 38,almeno una 20ina li conosco, son tutti come me. Non ci chiamano per nome, e manco per cognome. Avanti ca finisciunu l’appello è finita la prima ora. E le altre volano: tra grida e urla passa a matinata. Chissa è a scola. Mi faccio solo quest’anno e ciao. Mia madre mi dice “dai, magari ci pigli gusto e ti prendi il diploma” “Mamma, siamo in 38 e in 20 uncicapemu na beata mazza di chiddu chi dicinu, anche se sti mischini si sforzano, seconnu tia ncapu a 38 u spiegano a mmia? Non vedono l’ora che ci leviamo dalle palle. A noi è meglio perderci che tenerci. Così gli alziamo la media nelle prove Invalsi».
«Sono Chiara, sono commercialista, insegno discipline giuridiche economiche in un istituto professionale, primo incarico in assoluto perché ho vinto il concorsone. Sono contentissima di averlo vinto. C’è che son finita in questa scuola di Catania, professionale, primo anno classe di 38 alunni. Allucinante, saltano sulle sedie, entro in classe e nemmeno se ne accorgono, ma siamo impazziti? Per fortuna ho preso il part time, così almeno non chiudo lo studio. C’è che anche solo un’ora in quella classe mi fa perdere il senno, ma che ragazzi sono? Come si fa ad insegnare così?».
«Sono Fulvio, ho 13 anni, sono un anno avanti e sono in IV ginnasio, liceo Mamiani di Roma, in classe siamo in 32. Mio padre è medico, mamma avvocato. Da grande voglio fare il magistrato. I compagni son tutti nuovi e mi sembrano fighi. I prof ancora non so. Al primo giorno quella di italiano ci ha lasciato un tema con delle domande di grammatica, storia e geografia. Dopo due giorni ce li ha riportati e il voto più alto era sei, il più basso zero. Mamma è andata a scuola e ha fatto l’inferno. Anche se ho preso sei: è il voto più basso che ho mai avuto. La prof l’ha tranquillizzata, non ha valore è un test d’ingresso per capire a che livello siamo e non deve preoccuparsi se siamo in tanti: è “fisiologico”, almeno in otto o dieci non passeranno l’anno e così l’anno dopo e quello dopo ancora. Ma lo sa fin da subito? “È fisiologico».
«Sono Anita, ero architetto una volta, oggi insegno in una scuola media a rischio, da 7 anni ormai, a Palermo. Dura è stata dura, i primi tre anni piangevo tutti i giorni quando tornavo a casa in motorino dallo Zen. Però ho vinto io e ci son rimasta. Secondo giorno di scuola. Quelli di terza son cresciutissimi ed è tutto un baci e abbracci poessorè. Certo Salvo è sempre un rompicoglioni epocale e inizia già a provocare. Ma lo so che è per questa Anna, una bocciata che viene dalla sezione F caruccia, come dargli torto se vuol farsi bello. E in questo ha sempre seguito. Non è che gli altri siano più sereni o interessati alla scuola. Anna non parla ma so che è tosta tosta. E con parecchi problemi a casa. Salvo bello non è e usa le armi che ha: far casino in classe. Lo guardo dritto negli occhi e lui si blocca. I miei alunni, quelli che faticosamente si guadagnano la promozione, si iscrivono tutti al superiore. Quelli come Salvo e Anna e come circa il 30% di questa classe, alle superiori durano una settimana, poi iniziano a fare assenze, sempre più lunghe, fino a Natale: a gennaio alcuni se li son già persi per strada. Il 30% di questa terza, la mia terza, ha già scritto in fronte “potenziale disperso”, sono quelli che le prove Invalsi le scarabocchiano tutte, alle superiori (e il nostro miracolo è farceli andare) andranno in scuole professionali, composte da classi di 30-36-40 alunni, giusto il tempo di mandarsi a quel Paese . Come può una collega seguirli uno ad uno, in classi di 30/38 ragazzi, tutti difficili?»
NON È CRONACA DEL 1960

Le storie di cui sopra sono tutte vere. Accade adesso, non nel 1960. Il Decreto Scuola ha stanziato 15 milioni di euro per combattere la dispersione scolastica, prevedo, al di là delle apprezzabilissime intenzioni, l’inefficacia sostanziale di un provvedimento saltuario a fronte di uno strutturale come impedire il formarsi di classi pollaio. È follia insegnare
in classi di 30-38 alunni. Specie in scuole e in zone ad alto rischio di dispersione scolastica. Accade però il contrario: le classi pollaio, cioè le classi con un numero di alunni illegale perché composte da più di 24 alunni, nelle prime classi delle scuole superiori italiane, specialmente nelle zone a rischio, sono la norma, non l’eccezione. Sono la risposta al refrain che «gli insegnanti in Italia sono troppi». In realtà sono pochi in rapporto a un numero crescente di alunni nelle scuole superiori, grazie a Dio. Un dirigente mi ha risposto «ma tanto son di 30 solo alle prime classi, poi arrivano a 20/24», è «fisiologico». È fisiologico? Non è fisiologico: è quello che si ottiene.
È più facile perdere/bocciare e non riuscire a recuperare un ragazzo fragile in una classe composta da 38 allievi, ma anche di 32, che in una classe composta da 24 allievi. Va da sé che i «capaci e i meritevoli» di oggi sono ancora i Fulvio che partono con vantaggi eccezionali già dalla prima elementare. A questo modello di scuola corrisponde pari pari un modello di Paese quale lo vediamo e di cui individuiamo tutti i limiti: il modello di Paese dei divari economici. Dei primi premiati per inerzia e degli ultimi lasciati a casa. Sarebbe il caso di riflettere bene: perché gli ultimi di questo Paese bloccato son grossomodo gli stessi ulti- mi delle classi, o i loro figli. I miei ragazzi incollocabili, per cui troviamo un banco temporaneo perchè tra due anni alcuni non ci saranno più. Qualcosa non mi torna in questo sistema incancrenito.
Torniamo al tema delle classi pollaio, sono tra l’altro classi, ripeto, illegali ai sensi della normativa per la Sicurezza e per la Tutela della Salute nei luoghi di lavoro. Non basterebbe già questo ad eli- minarle, se la causale formativa non basta? Nelle zone depresse del Paese abbiamo le mamme di Antonio, non quelle di Fulvio, quelle che si arrendono di fronte all’incapacità di sostenere i figli fragili negli studi. Le storie di sopra, tutte vere raffigurano alcuni dei motivi per cui la scuola italiana è lungi dall’essere l’ ascensore sociale, la scuola inclusiva che recupera gli ultimi e li porta in cima. La scuola che ci serve adesso per torna- re a essere un Paese competitivo e a benessere diffuso deve essere la scuola che punta agli ultimi.
Le classi pollaio agiscono contro gli ultimi e la scuola di oggi conferma, ahimé ancora adesso, il modello selettivo avallante di fatto i divari sociali messo in piedi ai tempi di Gentile. Possiamo chie- dere e ottenere almeno una cosa? Eliminare le classi oltre i 25 alunni.

l’Unità 24.09.13