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“Quelle 51 donne salvate da una legge in pericolo”, di Michela Marzana

Doina di Tortona si è salvata in tempo. Così Marta che vive in Romagna e Tosca di Ventimiglia. L’ha scampata anche Carla, nel mirino di uno stalker nella sua San Martino Sannita. Sono 51 le donne salvate dal decreto legge sul femminicidio. E sono altrettanti i potenziali carnefici spediti in carcere, o ai domiciliari, che potrebbero essere liberi e pronti a finire quello che avevano iniziato contro le loro vittime. Infatti, il decreto varato dal Consiglio dei ministri l’8 agosto, che prevede per i reati di stalking l’arresto obbligatorio in flagranza, l’allontanamento d’urgenza e l’irrevocabilità della querela, potrebbe non diventare mai legge. Il testo è in discussione alla Camera nelle commissioni congiunte Affari costituzionali e Giustizia, ma zavorrato da 414 proposte di modifica, piovute da destra e da sinistra.
Tuttavia, il problema delle violenze contro le donne in Italia non si può sperare di risolverlo solo attraverso misure preventive e repressive. Il fenomeno è la conseguenza della profonda crisi identitaria che riguarda non solo gli uomini e le donne, ma più in generale le relazioni intersoggettive.
Si può veramente pensare di combattere la piaga delle violenze contro le donne senza prenderne in considerazione il carattere strutturale e limitandosi ad adottare una serie di misure repressive? C’è un’urgenza evidente di risposte immediate: è in gioco, nell’immediato, la vita di centinaia di persone. Ma il problema delle violenze contro le donne, in Italia, non è solo un’urgenza. Anzi. È soprattutto un problema strutturale che non si può sperare di risolvere introducendo l’irrevocabilità della querela nei confronti degli uomini violenti, l’arresto obbligatorio per maltrattamento e stalking di chi è colto in flagrante delitto, e con le molteplici aggravanti nei confronti dei coniugi e dei compagni previste nel decreto legge approvato l’8 agosto dal Consiglio dei ministri. C’è da rallegrarsi se davvero le forze dell’ordine cominciano in molti casi a intervenire in modo efficace per proteggere le vittime. Attenzione però a non sottovalutare il vero problema legato alle violenze di genere.
Ovvero le sue radici, le sue diramazioni, le sue conseguenze e la sua prevenzione. Continuare a normare solo gli interventi repressivi — che peraltro, in molti casi, sono già normati — significa infatti non capire che la violenza contemporanea contro le donne è la conseguenza immediata della profonda crisi identitaria che, al giorno d’oggi, riguarda non solo gli uomini e le donne, ma anche più in generale le relazioni intersoggettive.
Quando si capirà che, senza la promozione di una cultura della tolleranza e dell’accettazione reciproca, la violenza non sarà mai arginata? Quando si comincerà a proteggere davvero le vittime finanziando in maniera adeguata i centri anti-violenza che da anni chiedono risorse per le proprie fondamentali attività? Quando si affronterà il problema della presa in carico psicologica degli uomini che maltrattano le donne? Quando si deciderà di introdurre nelle scuole un’educazione mirata a disinnescare comportamenti violenti e alla gestione dei conflitti?
Problemi che il decreto legge non affronta. Tutte questioni che, finché non saranno trattate, non permetteranno di trovare soluzioni reali ed efficaci al carattere strutturale della violenza contro le donne.
In parte destabilizzati dalle recenti trasformazioni delle relazioni umane, molti uomini non riescono ad accettare l’autonomia femminile: insicuri e incapaci di sapere “chi sono”, accusano le donne di mettere in discussione il proprio ruolo; narcisisticamente fratturati,
pensano che le donne debbano aiutarli a riparare le proprie ferite, trasformandosi in persecutori di fronte ad ogni manifestazione di indipendenza, come se il semplice fatto di perdere la propria donna significasse una perdita d’identità.
Ecco perché il problema delle violenze — ancora prima dei passaggi all’atto che questo decreto cerca di combattere — è un problema culturale e formativo: in assenza di punti di riferimento e di fronte alla frantumazione dei rapporti umani, ci si illude che, con la violenza, ci si possa riappropriare di un’identità e di un ruolo che non esistono più da molto tempo. Mentre l’educazione e la cultura permetterebbero di riscrivere la grammatica delle relazioni umane, aiuterebbero i ragazzi e le ragazze a prendere coscienza della propria dignità e del proprio valore, insegnerebbero ai più piccoli il rispetto delle differenze e dell’alterità.
Il dramma della violenza contro le donne comincia nelle famiglie e nelle scuole e viene rafforzato con le pratiche di discriminazione. Fino a quando non si affronterà il problema dell’educazione per insegnare l’uguaglianza e la pari dignit à di tutti, del potenziamento dei centri anti-violenza per l’aiuto delle vittime, della diffusione di messaggi di odio e di intolleranza che violano la dignità delle persone, delle condizioni materiali di accesso al lavoro, e della presa in carico degli uomini maltrattanti per evitare che la violenza si trasmetta da una generazione all’altra, le misure legislative saranno sempre e solo dei palliativi. Certo necessari, ma mai sufficienti

La Repubblica 26.09.13

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“Donne salvate”, di Fabio Tonacci

Ci sono 51 donne salvate, almeno per ora, dal decreto legge sul femminicidio. E ci sono 51 potenziali carnefici, in carcere o ai domiciliari, che rischiano di uscire per finire quello che avevano iniziato. Perché quel decreto varato dal Consiglio dei ministri l’8 agosto, che prevede per i reati di stalking l’arresto obbligatorio in flagranza (prima era facoltativo), l’allontanamento d’urgenza e l’irrevocabilità della querela, potrebbe non diventare mai legge.
Il testo è in discussione alla Camera nelle commissioni congiunte Affari costituzionali e Giustizia, zavorrato da 414 proposte di modifica, piovute da destra e da sinistra. «Punta troppo sui provvedimenti punitivi e poco sul sostegno alle vittime », dicono i critici. «E non poter revocare la querela scoraggerà le denunce». Arriverà in aula la settimana prossima, poi il passaggio al Senato per l’approvazione definitiva entro il 15 ottobre. Tempi strettissimi, forse troppo. Eperò quel decreto, sicuramente perfettibile, un risultato l’ha prodotto. Da quando è entrato in vigore, il 17 agosto scorso, sono stati arrestati in flagranza 51 uomini. Sorpresi e ammanettati mentre erano aggrappati al balcone della casa della ex, nascosti sotto il letto con un coltello da sub in mano (è successo ad agosto a Marina di Ravenna), davanti a una stazione dei carabinieri mentre cercavano di impedire alla loro vittima di sporgere denuncia.
DOINA, LA PRIMA
Doina non era nemmeno a casa quando il suo ex marito, 43 anni, disoccupato, albanese come lei ma di 7 anni più grande, si era di nuovo avvicinato troppo. Fino a un anno fa vivevano insieme, a Tortona. «Poi ci siamo lasciati — racconta — lui troppo possessivo. Ma non riusciva ad accettarlo. Prima ha cominciato a minacciarmi, poi le percosse, le vessazioni psicologiche, la macchina rigata e danneggiata con lo zucchero nel serbatoio. Alla fine l’ho querelato, anche perché volevo difendere i nostri due figli piccoli». Ecco, i figli. Erano nella casa di un parente di Doina, accuditi da due amici, la sera del 19 agosto quando di nuovo lui è apparso, infischiandosene del divieto di avvicinamento. Ai suoi occhi, i due erano estranei che non avevano il diritto di stare dove stavano. La rabbia sale, comincia a urlare, aspetta il rientro di Doina. «Ma per fortuna i miei amici hanno chiamato i carabinieri, che lo hanno trovato ed arrestato».
Ora è in carcere, ad Alessandria, in attesa del processo. Uno dei pochi casi in cui la detenzione in prigione non è durata solo pochi giorni, l’arco di una speranza. Ma che succederà se il decreto non venisse convertito in legge? «Beh — ragiona Maria Carla Bocchino, primo dirigente del Servizio Centrale Operativo della Polizia — è chiaro che ogni avvocato proverà a chiedere la scarcerazione. Ma non è detto che il gip la conceda».
MARTA E TOSCA, CORAGGIO E DISILLUSIONE
Marta amava un uomo che non esisteva. Non era un padre single, non aveva avuto una figlia con una modella straniera che lo aveva lasciato, nemmeno viveva a Bologna, come invece recitava la storiella che le aveva servito per due lunghi anni. Figuriamoci se le aveva detto di quel cellulare segreto che teneva sopra la credenza. «Ho scoperto i suoi tradimenti per caso, ritrovando il telefonino e decine di messaggi di donne sconosciute — dice Marta, 51 anni, un lavoro e una casa sulla riviera romagnola — l’ho lasciato, ma lui non l’accettava. Un anno fa sono partite le molestie, le telefonate ossessive, le minacce. Io non ci potevo credere, avevo dormito con lui per due anni e non aveva mai alzato un dito». E invece Marta una mattina si ritrova con la faccia sull’asfalto, perché il “suo” Marco, 45 anni, l’aveva spinta dalla macchina in corsa. Epilogo dell’ennesimo vano tentativo di convincerla a rimettersi con lui. «Sono andata dai vigili urbani e nemmeno mi hanno dato ascolto — racconta — mi dicevano di aspettare a fare la denuncia, di pensare alla ditta che aveva, che lo potevo rovinare. Cose così».
Fino all’ultimo sfregio, ai primi di settembre. Un topo sgozzato lasciato sullo zerbino di casa. Un messaggio che non aveva bisogno di didascalie. «Il coraggio di denunciarlo l’ho avuto solo dopo aver letto cosa prevedeva il nuovo decreto. Mi ha fatto sentire tutelata».
Qualcuna lo è davvero. Ma non tutte. «Non voglio raccontare proprio niente», urla al telefono Tosca, da Ventimiglia. La sua disgrazia non è ancora finita, ha solo trovato una tregua momentanea il 9 settembre, quando l’ex compagno, manovale di 60 anni, è stato trascinato via di peso dai carabinieri mentre ubriaco distruggeva a calci l’auto di lei. Arrestato in flagranza, dopo una sfilza di denunce che non avevano portato a niente. «Ma che tutelata? Quello tra un mese esce e io faccio la fine delle altre…», dice, prima che il suono metallico della linea che cade segnala che la conversazione è finita. È vero?
PUNTI DEBOLI E PUNTI DI FORZA
«Con il decreto svuota-carceri — spiega ancora Maria Carla Bocchino — la custodia in cella in effetti si traduce spesso nei domiciliari. E anche l’allontanamento d’urgenza del presunto stalker da casa sconta il fatto che nessuno poi riesce a controllare che sia rispettato». Dunque? «Il decreto rimane uno strumento validissimo. L’irrevocabilità della querela, ad esempio, impedisce che poi la vittima, sotto minaccia, ci ripensi. Si sono anche accelerati i tempi della giustizia. Perché ora l’atto persecutorio viene trattato dai magistrati con la priorità dei reati di mafia, terrorismo e omicidio».
Carla, di San Martino Sannita, 31 anni, queste cose non le sa. Nemmeno le interessa. Troppo impegnata ad arrabattarsi con la vita, tra un lavoro precario e un ex marito che le ha torturato la mente negli ultimi tre anni, dal giorno in cui si sono separati. «Nemmeno la mia famiglia mi credeva quando raccontavo loro di cosa era capace quell’uomo », ha detto ai poliziotti a cui alla fine, quest’estate, si è rivolta. «Mi ha picchiato pure durante una festa di paese e nessuno dei presenti fece qualcosa per fermarlo». Lui alcolizzato, disoccupato, violento. Carla ignora che è anche grazie a quel decreto legge che il 13 settembre la polizia lo ha arrestato. Con un coltello a molletta nascosto nei calzini, si era fiondato sotto casa. L’ha bloccata in strada e l’ha minacciata di morte, con lo stesso coltello con cui le aveva rigato la macchina. Poi si era calmato, grazie all’intervento della sorella di Carla. Senza l’arresto obbligatorio previsto dal decreto, forse i poliziotti non sarebbero andati fino a casa sua per arrestarlo. È salva, per ora. All’Onu il premier Enrico Letta dice che «il rispetto dei diritti umani è fondamentale, la nostra attenzione va ai più deboli, alle donne, ai bambini». Ma il persecutore di Carla in carcere c’è stato appena tre giorni. Ora è ai domiciliari. E nessuno vigilerà.

La Repubblica 26.09.13