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“Le lacrime di Napolitano”, di Umberto Rosso

«QUANTO più tu abbia la ventura di inoltrarti, in età avanzata, nel tuo percorso di vita, tanto più avverti il vuoto di quelle che sono state presenze assai care, venute meno via via nel corso degli anni…». La frase però si ferma in gola, un groppo di commozione fin quasi alle lacrime, che un bicchiere d’acqua non basta a mandar giù. L’aula magna della Bocconi, sorpresa e disorientata da quel capo dello Stato umano troppo umano, sopraffatto dai sentimenti, poi capisce e lo aiuta e conforta con l’applauso più forte. Una, due, tre volte. Un applauso e un bicchiere d’acqua. Giorgio Napolitano, il presidente che a qualcuno è sempre sembrato un presidente freddo, l’uomo della razionalità assoluta e del controllo “comunista” sulle emozioni, tutto “politica” e poco “personale”, si è emozionato davvero tanto nel ricordo di Luigi Spaventa.
Ma negli ultimi tempi, in molte occasioni, il presidente della Repubblica non ha nascosto i suoi momenti di commozione. Soprattutto quando ha parlato dell’Italia e all’Italia che soffre e che non ce la fa. Quando si è rivolto ai giovani del Sud che sono senza lavoro o ai ricercatori che sono stati costretti a lasciare l’Italia per inseguire il loro sogno. Rivolgendosi agli operai che nelle miniere in Sardegna come nelle acciaierie dell’Ilva perdono il posto. O rievocando le pagine di un’Italia che ha pagato duramente il prezzo della libertà, come nei suoi viaggi a Sant’Anna di Stazzema o ricevendo al Quirinale le comunità ebraiche e le vittime dello sterminio nazista.
Ora, ecco appunto senza più “filtri” anche i ricordi personali, ecco Luigi Spaventa, come in altre occasioni ricordando le figure che hanno segnato la vita del nostro paese. Stavolta lo confessa, «vorrei esprimere, se mi è concesso, un sentimento personale, che affiorava in me nel preparare questo intervento». Un racconto di un’Italia che non c’è più, e il capo dello Stato non fa mistero che c’è di mezzo anche il velo della nostalgia, dei tempi andati, forse di un’Italia migliore. «Finisci – dice per avere quasi il senso del dissolversi del tuo mondo come sfera di affetti radicati e di comunanze essenziali. E quel che allora può soccorrerti è il ricordo che ridiventa vita come qui oggi, è il sentire vicine figure, storie, pensieri che ancora possono accompagnarti». Serve, a questo punto, un altro bicchiere d’acqua e un altro applauso.
Scorrere in pubblico l’album di famiglia può fare di questi scherzi. Senza troppe indulgenze però. Perché nella confessione “dal vivo” alla Bocconi, c’è sempre spazio per una rivisitazione anche sferzante degli anni trascorsi nel Pci. La grande macchina comunista delle preferenze per esempio? «Si è sempre detto, ed è vero, che il partito induceva masse di elettori a dare la preferenza a candidati che non conoscevano, benchè illustri». Ma, rievoca Napolitano, «nessun miracolo fu più grande del far confluire nelle elezioni europee del 1989 oltre centomila preferenze sul nome, per tanti difficile perfino da pronunciare, di Maurice Duverger, eminente costituzionalista francese». O come nel caso del “benaltrismo” di sinistra, termine coniato proprio da Spaventa, «le visioni più avanzate rispetto ai problemi sul tappeto che erano sempre così nobilmente astratte…».

La Repubblica 28.09.13