“I confini della linea rossa”, di Adriano Sofri
Fra i danni collaterali della tragedia siriana c’è il rischio di una precipitosa perdita di distinzioni costruite attraverso i decenni. Ian Buruma (“La moralità delle bombe” pubblicato ieri) raccoglie un argomento che sembra di buon senso a tanti nell’angustia di questi giorni: che senso ha stabilire “linee rosse” sulle armi chimiche? Forse che gli ammazzati a colpi di proiettili e bombe convenzionali sono meno morti? Dalla Convenzione di Ginevra del 1925 a quella del 1993 è cresciuto l’orrore per le armi chimiche, da Ypres 1917 alla nostra Eritrea, alla guerra Iraq-Iran, alla curda Halabja 1988 e ai sobborghi di Damasco. Orrore per gli effetti, per i bersagli indiscriminati, e disgusto per la slealtà estrema, erede dell’avvelenamento dei pozzi. In gara con l’orrore cresceva l’avidità di potenze grosse e piccole per il possesso di armi chimiche e biologiche che ne autorizzassero la prepotenza e promettessero, se non l’espansione vittoriosa, la rappresaglia dopo la sconfitta. Gli Stati Uniti ora segnano il passo davanti alle linea rossa che hanno voluto tracciare: può darsi che Obama avesse pronunciato l’intimazione …