attualità, politica italiana

“Una scelta di irresponsabilità istituzionale”, di Luigi La Spina

La notizia ha dell’incredibile. Le dimissioni in massa di tutti i parlamentari del Partito della Libertà, se la Giunta del Senato dovesse votare per la decadenza del leader del centrodestra, Silvio Berlusconi, da palazzo Madama, in un momento cos ì difficile per le sorti del Paese, annunciano una prova di irresponsabilità istituzionale, prima ancora che politica, davvero sconcertante. Il giorno dopo le assicurazioni di Alfano al presidente della Repubblica, proprio mentre il premier Letta parla all’Onu e alla comunità finanziaria internazionale per convincere gli interlocutori dell’Italia sulla nostra stabilità politica, quando i conti pubblici sono tornati a rischio e i casi Telecom e Alitalia manifestano la grave crisi del nostro sistema produttivo, il dramma personale del leader del centrodestra rischia di portare l’Italia in una situazione di vero caos parlamentare, politico e istituzionale, con conseguenze economiche e finanziarie del tutto imprevedibili.

L’impressione è che la tragedia di un uomo, passato dagli onori della ribalta internazionale e dalla percezione di un successo imprenditoriale e politico straordinario e destinato a non finire mai nel consenso della maggioranza degli italiani, alla prospettiva di un arresto e, magari, del carcere sotto un diluvio crescente di accuse, abbia tolto a Berlusconi quella lucidità che gli aveva consentito sempre di calcolare, con molta accortezza, le conseguenze di ogni sua mossa. In questo tunnel di disperazione spinto, per giunta, da un manipolo di ultrà che non vedono il loro futuro politico e anche personale se non asserragliati intorno a lui, in una furibonda e inutile guerriglia contro chiunque non lo aizzi a iniziative sempre pi ù incontrollate e controproducenti. Nella sostanziale incapacità dei molti e più avveduti suoi parlamentari di avere il coraggio di sottrarsi a un rassegnato e vile accodamento alle assurde proposte avanzate da tali ultrà.

Eppure, l’annuncio delle dimissioni in massa apre uno scenario tanto evidente quanto preoccupante. Mira, infatti, a impedire o a rendere drammatico il voto dell’assemblea al Senato per la ratifica della decisione della Giunta e a superare anche il verdetto della Corte d’Appello di Milano sull’interdizione di Berlusconi dai pubblici uffici previsto per metà ottobre. Dal momento che si tratta di una nuova sentenza, infatti, i suoi legali potrebbero ancora fare ricorso in Cassazione e, così, rinviare di alcuni mesi l’espulsione del leader del Pdl da palazzo Madama. Lo scontro istituzionale, giudiziario e politico non potrebbe, naturalmente, non travolgere il governo, ma l’illusione di Berlusconi, alimentata da quella disperata corte di ultrà, di ottenere subito le elezioni anticipate sarebbe sicuramente frustrata da altre e ben più gravi dimissioni, quelle già annunciate di Napolitano. Con il risultato che il nuovo presidente della Repubblica sarebbe eletto non da un nuovo Parlamento, ma dall’attuale. Un futuro che non sembra davvero più rassicurante per Berlusconi e più promettente per il centrodestra italiano.

Al di là di una contabilità miserevole sulle convenienze personali e politiche, però, quello che davvero stupisce è la distanza tra la comprensione di una fase molto delicata del Paese e l’annuncio di una mossa così irresponsabile. L’Italia è al bivio tra un destino di decadenza produttiva ormai drammatica, con il rischio di una crisi finanziaria che porterebbe a nuovi, pesanti sacrifici per tutti i cittadini, e la speranza di agganciare una pur flebile ripresa internazionale. Una situazione che richiederebbe, davvero, comportamenti adeguati alla gravità del momento da parte di tutta la classe politica. Non è difficile prevedere quale sarebbe l’accoglienza della maggioranza degli italiani, compresi molti elettori moderati, nei confronti di una così sconsiderata iniziativa dei parlamentari Pdl. Basterebbe domandarlo, peraltro, a quelle 500 donne, in coda su una strada di Genova, per il sogno di acchiappare uno dei tre posti di commessa che un negozio ha messo in palio.

La Stampa 26.09.13

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“La scelta della disperazione”, di CLAUDIO TITO

LA POLITICA non sempre è fatta di razionalità, lucidità e calcolo. Le emozioni, i sentimenti, anche quelli incontrollabili, a volte condizionano le scelte. Oppure le determinano.
Un esempio lo ha fornito ieri il centrodestra. L’idea di far dimettere tutti i parlamentari del Pdl – o Forza Italia – risponde ad un solo stato d’animo: la disperazione. I racconti che quasi tutti gli esponenti berlusconiani fanno del loro leader, sono su questo punto assolutamente convergenti. Il Cavaliere si sente sull’orlo del precipizio per l’avvicinarsi della decadenza e per la paura che, senza le protezioni del suo mandato parlamentare, possa essere raggiunto da richieste di custodia cautelare a causa dei processi in cui è coinvolto.
E infatti la minaccia di abbandonare in blocco la Camera e il Senato è stata ieri sera brandita come un’arma e poi lasciata lì, sul tavolo. Non è stata innescata ma nemmeno ritirata. Se ne riparlerà semmai la prossima settimana o quando l’aula di Palazzo Madama voterà il suo addio al Parlamento. È per il momento una chiara forma di pressione nei confronti del Pd. È come se Berlusconi dicesse al partito di Epifani e al capo dello Stato Napolitano: potete ancora salvarmi, potete rinviare la decisione in giunta o bocciare la decadenza. Altrimenti faccio esplodere la bomba.
Ma si tratta di un avvertimento che non tiene conto di quel che sta avvenendo in Italia e soprattutto non considera gli attuali rapporti di forza. Una intimidazione – o un bluff – che lo “strano alleato” del Partito Democratico e il Quirinale non possono prendere in esame. La risposta infatti è già arrivata. Il Pd non può fare altro. Anzi, stavolta non può nemmeno far finta di soppesare la minaccia. La procedura che porta alla decadenza del Cavaliere è ineludibile per le forze di centrosinistra. Qualsiasi cedimento al Senato su questo aspetto verrebbe recepito dai loro sostenitori come un tradimento.
Ma c’è di più. Lo scontro in corso anche sulla politica economica del governo, le difficoltà emerse nella maggioranza in queste settimane nel rimettere ordine nei nostri conti pubblici spingono il Partito Democratico ad anticipare i tempi della verifica. Non più sulla legge di Stabilità, ma subito. Il tira e molla del Pdl, le incertezze sulle misure da adottare per far quadrare il bilancio dello Stato, i continui strappi di Berlusconi stanno diventando insostenibili per il Pd e per la sua base. Non a caso anche il presidente del Consiglio Letta ha iniziato a considerare la necessità di andare subito al redde rationem. L’inaffidabilità del Pdl, il rischio che tutte le misure “europeiste” di correzione dei conti, quelle meno digeribili per gli elettori, si possano ritorcere contro i democratici, sta spingendo Epifani ad essere ancora più intransigente.
Una situazione quindi che rischia di precipitare in ogni caso. Per molti le parole del Cavaliere sono state infatti l’inizio della campagna elettorale. Nel centrodestra già hanno individuato nel mese di marzo la data per richiamare gli italiani alle urne. Berlusconi ritiene che i sondaggi lo stiano aiutando e che per riuscire nell’impresa deve bloccare ora l’avanzata dei grillini. Ma la disperazione – se la mossa del centrodestra non si rivelerà solo un trucco – non aiuta ad esaminare con freddezza tutte le potenziali ripercussioni. Dimentica ad esempio che molto probabilmente non potrà ricandidarsi.
Anche lo strumento selezionato per provocare la crisi di governo appare contorto: le dimissioni in blocco sono una strada complicata. Serve l’approvazione dell’aula, poi l’impegno anche dei subentranti a lasciare lo scranno. È chiaro che il Parlamento sarebbe comunque inagibile. Ma il sistema riporterebbe una lesione senza precedenti: se si accettasse che una minoranza – non una maggioranza – è in grado non solo di far cadere un governo ma anche di costringere il Parlamento a sciogliersi, assisteremmo ad un vero e proprio paradosso della rappresentanza parlamentare. Senza contare che l’articolo 67 della Costituzione renderebbe inaccettabile il percorso imposto da Berlusconi ai suoi parlamentari: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».
E tutto questo senza considerare gli effetti sulla nostra credibilità internazionale e soprattutto sul giudizio che l’Unione europea darà del nostro Paese. E senza considerare che il presidente della Repubblica Napolitano farà di tutto per evitare le elezioni anticipate. Almeno per il 2014. Nella galassia del centrodestra, poi, quando si arriverà al momento della verità, non tutti potrebbero obbedire ai diktat di Via del Plebiscito. Risuonano ancora nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama i “non ci sto” dei deputati e senatori pidiellini eletti in Sicilia. Forse allora anche Berlusconi dovrebbe ascoltare quel che diceva Albert Camus: «Il vero democratico crede che la ragione possa illuminare un gran numero di problemi e forse regolarne quasi altrettanti». La ragione, non la disperazione.

La Repubblica 26.09.13